L’accordo sulla Siria tra Russia e Turchia annunciato da Putin può riuscire laddove i vari negoziati di Ginevra tra Washington e Mosca (e gli altri attori del conflitto siriano) hanno fallito. Potrebbe cioè portare a una stabilizzazione del Paese dopo cinque anni di guerra.Un accordo possibile oggi, dopo la caduta di Aleppo, perché ormai Assad e i suoi alleati hanno consolidato la loro posizione e hanno il controllo della zona più strategica della Siria. Hanno cioè vinto sul piano militare la battaglia decisiva.Alla Turchia dovrebbe esser stato concesso (il condizionale è d’obbligo essendo i termini del negoziato sotto embargo) un’area di influenza su parte del Paese, che poi era la mira iniziale di Erdogan, attraverso l’accettazione del governo di Damasco del ruolo delle milizie filo-turche.In cambio il presidente turco di fatto accetta la permanenza di Assad al potere, cosa finora rigettata (ma negli ultimi tempi solo per avere più potere contrattuale).L’accordo apre a un negoziato tra Damasco e i vari movimenti jihadisti che verranno riconosciuti come interlocutori; sono esclusi quindi i movimenti dichiaratamente terroristi, quali l’Isis e al Nusra (al Qaeda in Siria).Il coinvolgimento o meno nella trattativa delle fazioni legate al Qatar e all’Arabia Saudita dipenderà dai loro sponsor, ai quali però sarà difficile rifiutare l’offerta, dal momento che lascerebbero i propri tagliagole di fiducia sotto il fuoco incrociato russo-turco.Uno dei punti di convergenza dell’accordo dovrebbe essere la garanzia dell’integrità territoriale siriana. La chiede Assad (e i suoi alleati), ma la vuole anche Erdogan, il quale teme che il collasso della Siria possa far sorgere ai confini della Turchia uno Stato curdo, che a suo parere destabilizzerebbe il suo PaeseLo Stato curdo quindi non nascerà in Siria, ma potrebbe nascere in Iraq, un’ipotesi che non sembra trovare forti ostilità ad Ankara, che vede nel governo del kurdistan iracheno un alleato strategico contro l’Isis e i movimenti curdi più radicali.L’accordo tra Turchia e Russia giunge dopo l’incontro a Mosca tra i rispettivi ministri degli Esteri, ai quali si è aggiunto, significativamente, quello iraniano. Un incontro trilaterale talmente importante che ha scatenato la reazione preventiva delle forze del Terrore. A farne le spese l’ambasciatore russo ad Ankara, ucciso (simbolicamente) mentre visitava una mostra dedicata all’amicizia tra i due Paesi.Se l’incontro moscovita ha aperto tale prospettiva stabilizzatrice, sarà nel secondo incontro trilaterale, previsto per il 20 gennaio ad Astana, capitale del Tagikistan, che verranno tirate le fila di quanto seminato.Data scelta non a caso: allora alla Casa Bianca siederà Donald Trump, fautore di un ritiro dell’America dal teatro di guerra siriano, e tutto potrebbe diventare più facile.Da un summit trilaterale all’altro: in questi giorni Mosca ha sponsorizzato, in parallelo, un altro vertice, con Cina e Pakistan, allo scopo di monitorare e contrastare l’avanzata dell’Isis in Afghanistan, che minaccia di portare la destabilizzazione nel cuore dell’Asia.Due mosse parallele, che vedono Putin in prima linea nell’azione di contrasto al Terrore e di stabilizzazione globale. Un ruolo che gli attira consensi e convergenze nel mondo, nonostante l’ossessiva avversità dell’Occidente.Un’avversità che, al contrario di quanto immaginano l’America e l’Europa, non lo isola, anzi esclude la diplomazia occidentale da alcuni dei tavoli sui quali si stanno giocando i destini del mondo.Una tragica miopia. Da questo punto di vista, se Trump riuscirà davvero a instaurare un nuovo dialogo con Putin, potrebbe riaprire agli Stati Uniti orizzonti che la fallimentare politica estera condotta negli ultimi anni dai suoi predecessori hanno ristretto. Bizzarra eterogenesi dei fini per un presidente isolazionista.
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