La Cina guidata dal presidente-Segretario Xi Jinping, da un anno dominus assoluto dell’Impero di Mezzo, ha negli ultimi anni accelerato la sua proiezione negli scenari globali. La sfida diretta all’egemonia economica statunitense, incardinata nella strategia della “Nuova Via della Seta” è stata la principale, ma non l’unica, mossa con cui Pechino ha ampliato il suo raggio d’azione. Importanti anche le novità sul fronte interno, con progetti come Made in China 2025 che puntano a ampliare la base industriale del Paese, aumentando il valore aggiunto medio dell’output e fornendo una base importante per l’incremento dei consumi della popolazione.

Negli ultimi tempi, tuttavia, vi sono fasi in cui il motore cinese sembra girare a vuoto. La sfida commerciale con gli Usa ha impattato sulle prospettive di crescita per il 2018, che il governo centrale vuole portare a tutti i costi al 6,5% del Pil. Come scritto in precedenza, “Xi Jinping e i vertici del Partito Comunista hanno ordinato di investire nel mese finale del 2018 oltre 2 mila miliardi di yuan, circa 254 miliardi di euro, oltre il 10% del nostro Pil, inizialmente previsti nel bilancio 2019. Un super stimolo economico per consentire un’accelerazione nei lavori infrastrutturali, nella produzione industriale, nelle opere di cantieristica navale e nel resto delle attività produttive che possono permettere all’Impero di Mezzo di fruire dei dividendi economici e politici della crescita”.

Nei prossimi anni, tuttavia, questi sforzi potrebbero essere messi a repentaglio dall’esplosione di un problema sempre più evidente nell’economia cinese: la trappola del debito privato e degli enti locali che rappresenta, assieme al debito corporate statunitense, la più grande spada di Damocle pendente sul sistema finanziario mondiale.

Un debito aggregato insostenibile?

Sommando la quota di debito pubblico del governo di Pechino, i debiti delle amministrazioni locali e quello di imprese e cittadini, il debito cinese tocca, secondo stime prudenti, la vertiginosa quota del 270-280% del Pil, i valori più alti mai fatti registrare da un’economia in via di sviluppo.

Tralasciamo la componente che fa riferimento al governo centrale, in quanto sostenibile sul piano strutturale. Il problema principale è connesso alla correlazione tra le altre componenti del debito e le caratteristiche strutturali del sistema cinese.

Il debito degli enti locali

La corsa alla realizzazione degli obiettivi di crescita è, per le amministrazioni locali del Partito Comunista, motivo di prestigio e, molto spesso, di sopravvivenza politica. Le istituzioni regionali, alcune delle quali amministrano finanze paragonabili a quelle di interi Stati, hanno negli anni scorsi fatto ricorso sistematico a bond emessi dai rispettivi veicoli finanziari (local government financial vehicles, LGFVs).

Secondo un recente rapporto dell’agenzia di rating Standard & Poor’s, nel 2019 la Cina rischia di dover affrontare una preoccupante ondata di default per le aziende pubbliche controllate dalle amministrazioni locali della seconda economia del mondo, che metterebbe a repentaglio “un debito da 5.800 miliardi di dollari accumulato negli anni”, come scrive Valori.it. “I toni usati, per altro, non sono certo rassicuranti: il debito – che in valuta locale ammonterebbe a 40mila miliardi di yuan – viene paragonato a «un iceberg» e la metafora “titanica” è scontata. Il problema, ovviamente, risiede nelle coperture, troppo esigue – suggerisce il rapporto – per offrire sufficienti garanzie”.

Nel 2019, diverse province centrali e occidentali della Repubblica Popolare, tra cui spiccano Hunan, Shaanxi, Sichuan e Yunnan, rischieranno l’osso del collo: il loro rischio di insolvenza è, mese dopo mese, crescente a causa della sproporzione tra il numero di obbligazioni in scadenza e la capacità di rimborso (entrate fiscali meno spese fisse). La proporzione tra le due quantità tocca il 185% per lo Hunan, provincia da oltre 65 milioni di abitanti con un Pil di 450 miliardi di dollari, che presenta le sperequazioni maggiori.

La trappola del debito privato

Ancora più preoccupante è lo squilibrio del debito privato imputabile alle famiglie cinesi, passato dal 18% al 49% del Pil, un dato inferiore alla media globale (59% secondo la rilevazione di MicKinsey) ma superiore, per fare un paragone, al dato italiano (41%). E qua si apre un paradosso di notevole portata. I cittadini cinesi, infatti, uniscono alti tassi di risparmio a elevati livelli di indebitamento: segno che una quota troppo elevata del Pil nazionale è coperta dagli investimenti. Proprio in questa direzione va Made in China 2025, destinato a fornire ai cittadini nuove opportunità di consumo.

Come ha scritto Michael Pettis su Limes, “al cuore di questi squilibri vi è l’elevatissimo tasso di risparmio cinese, altra faccia della scarsa propensione al consumo, entrambi frutto delle marcate sperequazioni interne. Solo il 50% della ricchezza nazionale è infatti in mano alle famiglie cinesi. […] Questo dato spiega da solo il massiccio ricorso al debito in quanto la crescita risulta patologicamente dipendente dagli investimenti”.

A una crescita trainata dagli investimenti si associa un sistema bancario fondato sulle agevolazioni al credito. La finanza cinese, infatti, resta concepita “per espandere il credito il più rapidamente possibile, e gli investimenti in infrastrutture e industrie sono a tal punto sussidiati con trasferimenti palesi o occulti dalle famiglie che mancano meccanismi idonei a limitare, o anche solo identificare, gli stanziamenti improduttivi”.

Le conseguenze per la Cina e Xi Jinping

Il governo di Xi Jinping deve curare con cautela il fronte interno per evitare l’esplosione di una bolla debitoria che potrebbe ripercuotersi a cascata non solo sulle prospettive di crescita della Cina ma anche sulla tenuta degli investimenti per la “Nuova Via della Seta” e del sistema finanziario globale. Risulta vitale per Pechino redistribuire i carichi della crescita interna e puntare a valori che, per quanto ridimensionati, risultino più sostenibili sul lungo periodo.

Essendosi accollata l’onere dello sviluppo infrastrutturale euroasiatico con l’obiettivo di rafforzare la sua proiezione commerciale e scaricare la sua sovracapacità produttiva, la Cina non può permettersi investimenti improduttivi in patria non accompagnati da un reale volano per le condizioni reddituali e consumistiche dei suoi abitanti.

La “trappola del debito” potrebbe dunque essere una delle principali minacce alla stabilità del progetto di lungo termine di Xi. Bo Zhiyue, sempre sull’ultimo numero di Limes, l’ha paragonata per importanza ad altre due trappole di notevole portata: la “trappola di Tacito”, ovvero lo screditamento dell’autorità del Pcc nel Paese a causa delle malversazioni dei suoi dirigenti, a cui Xi ha risposto con la draconiana campagna anticorruzione, e la “trappola di Tucidide“, ovvero il rischio di uno scontro frontale con Washington dovuto unicamente al ridursi dei rapporti di forza tra Cina e Stati Uniti. 

Grande è la confusione sotto il cielo cinese, direbbe Mao Zedong. Ma prima di concludere che la situazione è eccellente, bisognerà aspettare l’evoluzione dei prossimi mesi.

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