Le ultime 24 ore hanno visto il primo contatto ufficiale tra Mosca e Washington da quando è scoppiato il conflitto in Ucraina. Nella giornata di ieri, il segretario della Difesa Usa, Lloyd Austin, ha avuto un colloquio col suo omologo russo, Sergei Shoigu, in cui ha chiesto un cessate il fuoco immediato in Ucraina e ha sottolineato la necessità di mantenere aperti i contatti diplomatici tra i due Paesi.

A sua volta, il ministero della Difesa russo ha riferito che nella conversazione telefonica sono state discusse “questioni di attualità della sicurezza internazionale, inclusa la situazione in Ucraina”.

A quanto sembra nelle prossime ore potrebbe esserci un’altra telefonata tra il capo di Stato maggiore della Difesa russo, Valery Gerasimov, e il suo omologo americano, sempre su iniziativa di Washington.

La stessa richiesta statunitense è stata portata in un importante consesso internazionale: gli Stati Uniti e i paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico (Asean) hanno sottolineato in una dichiarazione congiunta “l’importanza di un’immediata cessazione” delle ostilità in Ucraina durante il vertice Usa-Asean tenutosi a Washington venerdì.

Questo primo contatto è stato possibile anche in funzione di un segnale di de-escalation giunto da oltre Atlantico: tre giorni fa, infatti, l’amministrazione statunitense ha elaborato una guida sulla condivisione con Kiev dei dati di intelligence, ricalibrata per evitare l’aumento delle tensioni tra Washington e Mosca, che vieta il loro utilizzo per colpire le massime cariche politiche e militari russe e per effettuare attacchi nel territorio della Federazione. Washington, però, non ha scoraggiato l’Ucraina dall’intraprendere eventuali futuri attacchi oltre confine da sola.

Le autorità statunitensi ritengono infatti che nessun problema specifico sia stato risolto nel corso della telefonata tra Austin e Shoigu che, come affermato da un funzionario Usa, “non ha risolto alcun problema specifico e non ha portato a cambiamenti diretti su ciò che la Federazione Russa sta facendo in Ucraina”.

Inoltre Washington, sempre ieri, ha tenuto a sottolineare che in questa fase si è concentrata sul sostegno militare all’Ucraina e non sui negoziati con la Federazione Russa, secondo quanto affermato dall’assistente del segretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici Karen Donfried. “Siamo profondamente convinti che la diplomazia sia l’unico modo per porre fine a questo conflitto. Ma la Russia non ha mostrato la volontà di negoziare seriamente”, ha affermato. “Parliamo regolarmente con i nostri partner ucraini e hanno la stessa valutazione. Quindi oggi ci concentriamo sul rafforzamento della posizione dell’Ucraina sul campo di battaglia il più possibile in modo che quando verrà il momento, l’Ucraina avrà quanta più influenza possibile al tavolo dei negoziati”, ha detto ancora Donfried chiarendo che “noi vogliamo porre fine alla guerra il prima possibile fornendo supporto per il successo dell’Ucraina, in modo che questi negoziati siano condotti alle condizioni dell’Ucraina”.

Sullo sfondo di quanto accaduto ieri, arrivano le dichiarazioni a Sky News del capo dell’intelligence militare ucraina, il generale Kyrylo Budanov, che sostiene che il presidente russo, Vladimir Putin, è gravemente malato di cancro e in Russia è già in corso un golpe per sostituirlo. Quanto alla guerra, secondo il generale “ci sarà una svolta entro metà agosto e sarà finita entro la fine dell’anno”. La propaganda di Kiev, quindi, spinge verso la prosecuzione del conflitto trovando sponda nelle dichiarazioni di Washington riguardanti il sostegno militare all’Ucraina per farla giungere al tavolo delle trattative da una posizione di forza.

Secondo diverse analisi militari, infatti, l’operazione bellica è, in linea generale, in una fase di stasi eccezion fatta per il settore del Donbass, dove nel saliente di Severodonetsk l’esercito russo avanza per chiudere la morsa su Kramatorsk. Un’offensiva resa possibile dal ritiro strategico poco più a nord, nell’area di Kharkiv, dove gli ucraini sono arrivati in prossimità del confine con la Federazione (in alcuni punti sembra sia già stato raggiunto), mettendoli in grado – potenzialmente – di effettuare sortite in territorio russo per colpire la rete logistica di Mosca più in profondità. Un rischio però già calcolato dai russi, che infatti hanno “trincerato” da tempo la regione di confine nell’oblast di Belgorod rinforzandone anche le difese antiaeree.

La logistica resta comunque il tallone d’Achille dell’esercito di Putin, ma è ragionevole pensare che le linee di rifornimento per l’offensiva nel Donbass siano già state spostate e attivate da settimane, in quanto le operazioni belliche, ora sotto la direzione del generale Alexander Dvornikov, hanno solo ora assunto il carattere di una vera e propria offensiva, nonostante il passaggio a questa nuova fase sia incominciato già da poco meno di un mese. Dvornikov, infatti, è un comandante che ha avuto modo di fare esperienza nel conflitto siriano, che, sebbene di tipo diverso (era in generale di tipo asimmetrico, volto alla counterinsurgency), ha permesso di mettere in pratica nuove dottrine sull’utilizzo delle unità base delle forze armate russe, i “gruppi di battaglioni tattici”, o Btg.

Tornando a quanto affermato da Budanov, la possibilità di un golpe in Russia è estremamente bassa, nonostante abbiamo la certezza che alcuni vertici militari (e oligarchi) siano fortemente critici sulla condotta di questo conflitto: tra di essi Igor Girkin, ex colonnello dell’Fsb (i servizi di sicurezza russi), già veterano del conflitto in Donbass nel 2014 e di molti altri precedenti (Cecenia, Daghestan, Bosnia e Transnistria). Girkin, che ha molto seguito in Russia, il 12 maggio ha apertamente accusato Shoigu di negligenza dal suo account Twitter invitando però il presidente Putin a “indagare nel suo staff prima che sia troppo tardi”. Una questione legata alle informazioni false e distorte che sarebbero state fornite al Cremlino dai servizi di intelligence – e che a quanto pare continuano a esserlo – riguardo alla situazione militare in Ucraina che non ha nulla a che vedere, quindi, con la possibilità di un putsch.

Questo contesto spiega quindi le dichiarazioni del capo dell’intelligence militare ucraina, che ha anche sottolineato la presunta malattia del presidente russo, apparso a dire il vero piuttosto provato nelle sue ultime apparizioni pubbliche.

La telefonata fatta dal segretario Austin potrebbe anche trovare spiegazione in un contesto più ampio: cercare di arrivare a una tregua per sbloccare i porti ucraini da dove parte il grano che serve a sfamare principalmente il Nord Africa ma non solo. Come ha ricordato il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock, la situazione in Ucraina potrebbe portare a una carestia globale in quanto “a causa delle azioni della Russia, le forniture sono state tagliate, i prezzi stanno salendo alle stelle – non solo qui, ma in tutto il mondo – e c’è una grave carestia”. La Baerbock ha affermato anche che questo “blocco delle esportazioni alimentari” è deliberato e quindi diventa parte della guerra ibrida di Mosca e che “la Russia sta alimentando il terreno per nuove crisi”.

Se, infatti, l’Unione Europea si affida, complessivamente, all’Ucraina per il 34% del suo fabbisogno, l’Africa risulta essere il più grande importatore mondiale di grano: in particolare, tra il 2018 e il 2020, ha importato 3,7 miliardi di dollari di grano (32% delle importazioni totali di grano del continente) dalla Russia e altri 1,4 miliardi di dollari dall’Ucraina (il 12% delle importazioni di grano del continente). Questa situazione, senza precedenti negli ultimi tre anni, è legata in particolare al calo della produzione in alcuni Paesi della regione. Nell’area del Mena (Middle East North Africa) è l’Egitto il più grande importatore da Russia e Ucraina con l’80% degli acquisti totali insieme al Libano.

La scarsità di approvvigionamenti (Kiev ha comunque tagliato l’export di grano per far fronte al fabbisogno interno) e il conseguente aumento dei prezzi potrebbero innescare, dal punto di vista di Washington, un’ulteriore destabilizzazione della regione mediorientale e africana con un impatto più incisivo delle rivolte viste durante le cosiddette Primavere Arabe, una possibilità che va assolutamente evitata perché aprirebbe nuove faglie in cui potrebbero inserirsi la Russia ma soprattutto la Cina.





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