La Tunisia ha evitato elezioni anticipate all’ultimo minuto, anzi per essere più precisi a due minuti dalla scadenza che avrebbe probabilmente portato il Paese a nuove consultazioni legislative: allo scoccare di giorno 25 agosto infatti scadevano i termini per la presentazione del nuovo governo da parte del premier incaricato Hichem Mechichi, alle 23:58 del 24 agosto quest’ultimo ha ufficialmente annunciato la formazione della nuova compagine governativa. Una corsa all’ultimo momento utile che ben può testimoniare la delicatezza dell’attuale contesto politico tunisino, frammentato e instabile oltre che attraversato da un’onda lunga di malcontento popolare dovuto alle sempre più precarie condizioni economiche.

Il governo del presidente

La nascita del nuovo esecutivo è per la Tunisia forse il più importante punto di svolta dal 2011 ad oggi, da quando cioè le proteste popolari hanno fatto dell’ex rais Ben Alì la prima vittima eccellente della primavera araba. Da allora, il Paese ha virato verso un ordinamento in grado di dare maggior potere al parlamento e ridimensionare il presidenzialismo che fino ad allora aveva caratterizzato lo scenario politico. Sono quindi nati, specialmente dopo il varo della nuova costituzione del 2014, governi di coalizione frutto di mediazioni e contrattazioni tra diversi partiti entrati in parlamento. La funzione del presidente non è però stata prevista come rappresentativa: di fatto la Tunisia ha scelto un semi presidenzialismo, in cui al capo dello Stato sono state riservate competenze esclusive in materie delicate come Esteri o Difesa. Primo ministro e governo sono invece agganciati alla fiducia del parlamento, pur se comunque nominati sempre dal presidente della Repubblica. Un sistema misto che ha voluto fare della Tunisia il primo esperimento arabo in cui evitare l’emersione della figura di un vero e proprio rais. Questo però ha portato ad una crescente instabilità politica, con governi spesso condizionati dalle beghe politiche parlamentari. Una situazione ancor più accentuata dal frazionamento del parlamento uscito dalle elezioni dello scorso ottobre, in cui nessun partito è andato oltre il 25% ed in cui nessuna vera maggioranza ha potuto prendere piede.

E così, ecco che ad entrare in scena è stato il presidente Kais Saied, eletto sempre nello scorso ottobre grazie alla vittoria al ballottaggio contro il magnate delle tv Nabil Karoui. Figura emersa quasi dal nulla, soprannominato “robocop” per il suo atteggiamento apparentemente freddo e distaccato, Saied proviene dal mondo accademico in cui ha insegnato diritto costituzionale. Si è candidato come indipendente promettendo una lotta senza quartiere contro la corruzione. Discorsi che hanno convinto gli elettori, disorientati nel marasma di un quadro politico a cui è stata riposta sempre meno fiducia. Nel momento di formare il primo governo del suo mandato, Saied ha ascoltato il parlamento dando tempo ai partiti di trovare la quadra attorno ad un nome da indicare come premier. È nato così il governo di Fakhfakh, durato però pochi mesi in quanto divorato dalle beghe della maggioranza che lo sosteneva. A questo punto Saied ha deciso di far da solo: ha nominato l’uscente ministro dell’Interno, il tecnico Hichem Mechichi, dando a lui l’incarico di formare un esecutivo tecnico.

La nascita di un esecutivo tecnico

L’operazione è andata in porto alle 23:58 del 24 agosto: Mechichi, in una conferenza stampa che i tunisini hanno seguito quando era oramai notte, ha presentato i nuovi ministri parlando della prospettiva di lavorare da subito per il Paese. Il nuovo esecutivo ha 28 membri al suo interno, di cui 8 donne, nessuno con tessere di partito in tasca. Si tratta di tecnici impegnati ciascuno nel campo delle deleghe loro assegnate, gran parte dei nuovi ministri non ha passate esperienze dirette in politica. Si parla di governo del presidente non solo perché voluto da Saied, ma anche perché all’interno dell’esecutivo ci sono figure a lui molto vicine. Nuovo ministro dell’Interno è ad esempio Menzel Mhiri, coordinatore della campagna elettorale di Kais Saied a Sousse, mentre agli Esteri è stato nominato Othman Jarandi, consigliere diplomatico del capo dello Stato.

Un parlamento sempre più impopolare

La mossa di Saied è stata vista di buon occhio dai tunisini: l’unico neo è forse rappresentato dal fatto che a Mechichi, in qualità di ministro dell’Interno del precedente esecutivo, viene attribuita la durezza della repressione delle manifestazioni contro la povertà e la corruzione avvenute nei mesi scorsi in diverse città del Paese. Per il resto però, l’opinione pubblica sembra apprezzare la volontà del presidente di esercitare in pieno le sue funzioni e dirigere con un governo tecnico l’attuale delicata fase politica. Questo perché la credibilità del parlamento e dei partiti ha raggiunto oramai i minimi storici: le dispute tra le varie formazioni, le beghe interne e le risse accadute anche dentro l’aula nelle scorse settimane, hanno reso il perno istituzionale della Tunisia post Ben Alì sempre meno popolare. Sono molto pochi i tunisini che credono ancora nella validità del lavoro dei rappresentanti del potere legislativo e delle varie formazioni politiche rappresentate in parlamento. Saied ha designato da sé il premier, non ha ascoltato i diktat dei partiti e conta su due aspetti fondamentali per far ottenere la fiducia al “suo” governo: da un lato l’appoggio dell’opinione pubblica all’esecutivo tecnico, dall’altro lo spauracchio per molti parlamentari di tornare al voto. In caso di mancato via libera da parte della camera infatti, entro i primi mesi del 2021 la Tunisia sarebbe nuovamente chiamata alle urne.

Curioso come nel primo Paese che ha destituito un “rais” nel mondo arabo per mezzo di una protesta popolare adesso risulti gradita la figura di un presidente che ha deciso di oltrepassare la volontà del parlamento. Saied, pur nei limiti della nuova costituzione tunisina, ha impresso una svolta “presidenzialista” al suo mandato, scaricando di fatto i partiti e riducendo i margini di manovra del parlamento multipartitico sorto dopo il 2011. Non certo un ritorno al passato, ma comunque una forte presa di posizione da parte del capo dello Stato capace di imprimere una prima importante svolta nella Tunisia post Ben Alì. E che questo passato comunque riecheggi tra i tunisini, è dimostrato anche dai sondaggi: secondo molti istituti tunisini, in caso di elezioni anticipate primo partito sarebbe quello dei desturiani, eredi politici proprio di Ben Alì.