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Fin dalla fine della Guerra Fredda e della dissoluzione dell’Unione Sovietica, abbiamo potuto assistere alla trasformazione di un sistema bipolare globale in un Nuovo Ordine Mondiale dominato dagli Stati Uniti. Senza dubbio gli equilibri si sono profondamente spostati fin dai primi anni ’90 e l’incontrastato dominio degli Stati Uniti ha gradualmente ceduto il posto ad una nuova realtà più complessa, caratterizzata dalla multipolarità dello scenario mondiale. In particolare nell’ultimo decennio abbiamo visto molti giocatori di ambito limitato, riemergere come poteri rilevanti e con una presenza internazionale significativa. Sicuramente la Turchia ricade in quest’ultima categoria; negli articoli precedenti abbiamo esaminato la strategia Turca nel Mediterraneo e nell’area del Medio Oriente e Nord Africa. Adesso daremo uno sguardo ai piani di Ankara nei confronti dei suoi vicini Occidentali nei Balcani.

Mosse Intenzionali e Diplomazia Multifronte

Mercoledì scorso, 11 dicembre, il Ministro degli Esteri Turco Mevlut Cavusoglu ha ricevuto il Ministro degli Esteri e degli Affari Europei della Croazia, Gordan Grlić-Radman, nella sua prima visita ufficiale in Turchia. I due ministri si sono incontrati di nuovo recentemente, durante il summit NATO dei Ministri degli Esteri che si è tenuto a Bruxelles a novembre. Vale la pena notare che Cavusoglu si sta concentrando su due aspetti. Primo, su un ulteriore rafforzamento dei legami tra i due paesi, e poi tra la più ampia comunità dei paesi dei Balcani Occidentali, con particolare riguardo alla Bosnia.

Considerando poi che questo approccio sta avendo un posto di rilievo da anni nell’agenda Turca, c’è un altro punto, anche più interessante, che spiega le ragioni delle motivazioni Turche che sono dietro alle recenti strette relazioni con la Croazia. Da gennaio e per i primi sei mesi del 2020, la Croazia avrà la Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea. La Croazia ha apertamente sostenuto la proposta di integrazione della Turchia nell’UE, con l’ambasciatore Croato ad Ankara. Inoltre, questo è anche uno degli argomenti che Cavusoglu sostiene ogni volta che ne ha la possibilità, evidenziando la sua convinzione che la Croazia avrà lo stesso atteggiamento durante il suo mandato alla Presidenza UE.

Questa insistenza verso l’accesso nell’UE potrebbe sembrare poco comprensibile a chiunque abbia seguito le più recenti mosse della Turchia. Le ricerche e le attività di trivellazione nella Zona Economica Esclusiva di Cipro, l’offensiva su vasta scala nel nord della Siria, il coinvolgimento di Ankara nella guerra civile in Libia – con la violazione dell’embargo sulle armi imposto dalle Nazioni Unite- e l’ultimo controverso patto con il Governo di Accordo Nazionale con base a Tripoli, sono solo alcune delle azioni che hanno ricevuto la condanna unanime dei membri dell’UE. Eppure, la Turchia sta ancora facendo pressioni per il suo potenziale ingresso nell’UE. Queste tattiche, quindi, non dovrebbero sollevare questioni, dato che questa strategia è parte integrante della politica estera turca, che applica l’approccio multifronte. Ankara crea sistematicamente un contesto flessibile ed imprevedibile, in cui è fondamentale la capacità di adattare la sua politica in funzione delle circostanze.

I legami religiosi e la lotta per il potere di Ankara

Come abbiamo detto più volte in precedenza, la Turchia durante il mandato di Erdogan si è messa in evidenza come garante del mondo Islamico. Finora abbiamo assistito all’implementazione della sua strategia nel Medio Oriente, in cui Ankara ha aiutato gli amici dei gruppi e delle nazioni Mussulmane Sunnite con mezzi materiali e militari, in considerazione delle continue tensioni e dei conflitti in corso nella regione. Nei Balcani lo scenario è diametralmente opposto, dato che il Presidente Turco sta cercando di raggiungere obbiettivi simili, ma con mezzi completamente diversi. Dato che sono passati più di due decenni da quando i conflitti a Sarajevo e in Kossovo sono finiti, la situazione nei Balcani Occidentali si presenta molto più stabile, in termini di violenza del conflitto, malgrado un contesto politicamente volatile. Da questa parte, l’influenza Turca nell’area dovrebbe stabilirsi con un potere più soft, e finora è stato proprio così.

Apparentemente, i paesi, su cui l’attenzione della Turchia è più concentrata, sono quelli con la più alta percentuale di popolazione Mussulmana, cioè la Bosnia-Erzegovina, il Kossovo e l’Albania. Questa narrazione va molto indietro nel tempo fino ai primi anni di governo dell’AKP in Turchia e che può essere attribuita ad uno dei primi più stretti alleati di Erdogan, che adesso è diventato un suo nemico politico. Ahmet Davutoglu, nel suo libro emblematico “Strategic Depth” analizza il perché la Turchia dovrebbe basare la sua espansione nei Balcani Occidentali sui Mussulmani Albanesi e Bosniaci, due categorie che simpatizzavano con la loro eredità Ottomana e che guardavano positivamente alla politica dell’AKP nei Balcani. Oltre ai legami religiosi, la Turchia ha anche adottato una posizione simile in termini di politica estera, prendendo le parti di Bosniaci ed Albanesi durante le crisi di Sarajevo e del Kossovo, rispettivamente.

Insieme alla religione, la Turchia ha anche investito nell’espansione della sua influenza tramite la cultura, creando scuole Turche nelle nazioni qui sopra citate. L’uso dell’istruzione come strumento per raggiungere gli obbiettivi di politica estera di lungo periodo, non è una cosa nuova; comunque, nel caso della Turchia, questa strategia ha portato conseguenze indesiderate per Erdogan, considerando che numerose scuole Turche all’estero facevano parte del network del cosiddetto Movimento Gülen, guidato dal peggior nemico di Erdogan e presunto organizzatore del fallito colpo di stato del 2016 in Turchia, Fethullah Gülen. Quando Ankara ha deciso di riorganizzarle, la maggior parte di queste scuole nei Balcani alla fine è stata chiusa e in molti casi sostituita sotto l’egida della Fondazione Maarif, un’organizzazione culturale gestita dal governo, creata per servire al “programma di espansione” Turco, come si è descritto prima.

Contemporaneamente, Ankara sembra sfruttare ogni opportunità per rendere chiara la sua influenza in altri stati dei Balcani. Erdogan intrattiene legami stretti con il Partito di Azione Democratica, SDA, il principale partito Bosniaco in Bosnia Erzegovina. L’estate scorsa la visita di Erdogan a Sarajevo è stata l’opportunità per il Presidente Turco di sostenere la candidatura, poco prima delle elezioni, del suo alleato e leader dell’SDA, Bakir Izetbegović,  che è riuscito a farsi rieleggere a settembre. Inoltre, la Turchia non dimentica mai di mostrare i muscoli e sottolineare la portata politica di Ankara, quando si parla della lunga disputa con i sostenitori di Gülen. Recentemente il Ministro per la Sicurezza della Bosnia ha revocato il permesso di soggiorno a quattro cittadini Turchi, dietro le pressioni del governo Turco. Inoltre, durante un’operazione segreta in Kossovo l’anno scorso, sei cittadini Turchi accusati di avere legami con Fetullah Gülen sono stati arrestati e deportati in Turchia; questo incidente ha causato ampie controversie e scandalo politico nel paese ed ha chiaramente mostrato il profondo coinvolgimento del governo Turco negli affari interni di altri paesi Balcanici.

Aspetti Strategici e Conclusioni

La politica Turca nei Balcani Occidentali rientra in un contesto di potere attenuato, in cui le tradizioni comuni e gli interessi reciproci sono usati per assicurare l’influenza di Ankara sui paesi vicini. Nei casi in cui gli elementi culturali, storici e religiosi non possono facilitare questo processo, Ankara ha strategie alternative che finora hanno avuto abbastanza successo. La Turchia tradizionalmente è in contrasto con la Serbia, non solo per torti storici e religiosi che vanno indietro di secoli ma soprattutto perché Ankara ha apertamente sostenuto i nemici di Belgrado nel recente passato. Eppure, Erdogan ha provato ad aggirare questo ostacolo, puntando sul settore finanziario ed incoraggiando gli investimenti Turchi e le partecipazioni ai maggiori progetti in Serbia. Ed in verità, nell’ultimo decennio, il volume di affari tra i due paesi è cresciuto in modo esponenziale.

D’altro canto, la Turchia sta prevalentemente adottando una diplomazia coercitiva verso la Grecia e Cipro, caratterizzata da manifestazioni di forza e retorica provocatoria. La minaccia attuale verso la Grecia, tuttavia, può essere compresa meglio se si valuta la posizione di Ankara nei confronti di Atene alla luce della politica portata avanti nei Balcani, come abbiamo appena detto. Mentre la Turchia si dimostra aggressiva a Sud, la politica di stabilire legami amichevoli con i paesi dei Balcani Occidentali – molti dei quali vicini alla Grecia – potrebbe alla fine portare Atene ad un punto senza uscita militare e diplomatico.

Traduzione a cura di Marina Modafferi

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