Ci sono dei palazzi a Nicosia, la capitale di Cipro, dove la storia è rimasta ferma a quasi mezzo secolo fa. Sono quegli edifici compresi nella cosiddetta “zona verde”, una fascia cuscinetto presidiata dalle Nazioni Unite che è una vera e propria terra di nessuno nel cuore della città. Da un balcone ci si affaccia verso la parte greca, dall’altro verso quella turca. In mezzo non c’è vita. Nei palazzi della zona verde è possibile trovare appesi ancora i calendari del 1974, anno della divisione di Nicosia e di Cipro, così come oggetti e mobili dell’epoca lasciati dalla popolazione in fuga e mai più ritornata. Oggi i margini per un ritorno alla normalità appaiono sempre più ristretti. L’ultima visita del presidente turco Recep Tayyip Erdogan nella parte turca di Cipro ha anzi acuito le tensioni tra le parti.

20 luglio 1974, quando tutto ebbe inizio

Spesso si parla del muro di Nicosia come di una barriera che divide la zona greca da quella turca. Una definizione molto più artificiosa di quanto si possa pensare. Prima del 1974 non esisteva un sud grecofono e un nord turcofono come adesso. Le due comunità vivevano sparse all’interno dell’isola. Non senza tensioni. Dall’anno dell’indipendenza di Cipro dalla Gran Bretagna nel 1960 erano attivi movimenti paramilitari greci e movimenti paramilitari turchi. Quando il 15 luglio 1974 un golpe a Nicosia ha portato al potere Nikos Sampson, sospettato dai turchi di essere un ultra nazionalista filo ellenico, il fragile equilibrio si è definitivamente rotto. Il 20 luglio l’allora premier turco Bulen Ecevit ha quindi ordinato l’avvio della cosiddetta “Operazione Atilla”. Soldati inviati da Ankara sono sbarcati quello stesso giorno nella località costiera di Kyrenia. Per la Turchia si trattava di una missione legittimata dalla volontà di mettere in sicurezza la popolazione turcofona. Secondo la visione greca invece, era appena iniziata un’operazione di occupazione che violava il Trattato di Garanzia del 1960, con il quale si era giunti all’indipendenza cipriota.

La diplomazia attivatasi nei giorni successivi non è riuscita a far giungere a un accordo. Le operazioni belliche sono andate avanti anche a ferragosto, giorno di una nuova ondata di sbarchi di soldati turchi nella zona nord di Cipro. Ankara ha così occupato buona parte delle province settentrionali, costringendo i greco-ciprioti a rifugiarsi a sud. Come risposta, dalle province meridionali i turco-ciprioti sono stati costretti a trovare riparo a nord. É nata così la netta divisione tra le due comunità ancora oggi ben visibile e rappresentata dal muro di Nicosia. Le Nazioni Unite hanno stabilito una linea di demarcazione in cui piazzare propri osservatori per evitare il contatto tra le due comunità. Sono passati 47 anni e la situazione non è mutata. Nella capitale cipriota i palazzi abbandonati da chi ha avuto la sfortuna di abitare lungo la linea verde dell’Onu sono ancora vuoti e lasciati al degrado.

I tentativi di pace negli anni

Nel 1974 ambo le parti sono state accusate di aver compiuto atrocità verso la popolazione civile. La creazione in poche settimane di migliaia di rifugiati sia tra i greci che tra i turchi ha acuito le distanze e le diffidenze reciproche già esistenti. Per anni quindi nessuno ha realmente voluto l’abbattimento del muro e la fine delle divisioni. Nel 1983 nella parte nord dell’isola è stata creata la Repubblica Turca di Cipro. Le barriere di Nicosia da quel momento in poi hanno diviso due Stati: uno internazionalmente riconosciuto retto dalla dirigenza grecofona, uno invece riconosciuto solo da Ankara considerato come un Paese alle dirette dipendenze della Turchia. Due entità che non si sono mai parlate, almeno fino all’inizio degli anni 2000 quando la parte grecofona si apprestava ad entrare nell’Ue. Nel 2004 in particolare l’allora segretario Onu Kofi Annan ha promosso un piano federalista per la riunificazione. Il 24 aprile di quell’anno, in un apposito referendum tenuto nelle due parti di Cipro, il 64% dei turcofoni ha votato a favore del progetto, ma i Sì hanno rappresentato appena il 24% nella parte greca. Fallito il piano, negli anni successivi si è provato a far avanzare nuovi progetti per il ritorno dei rifugiati nelle loro case e il riavvicinamento tra le parti. Senza però arrivare a concreti passi in avanti.

Erdogan: “Unica soluzione quella dei due Stati”

Durante i primi anni dell’era Erdogan in Turchia la questione cipriota è stata solo sfiorata dalla diplomazia di Ankara. Almeno fino a quando tra il 2015 e il 2016 a largo dell’isola sono stati scoperti importanti giacimenti di gas. Il diritto internazionale parla chiaro: l’unico Stato riconosciuto è quello grecofono e soltanto questo governo ha il diritto di poter sfruttare le risorse del mare di Cipro. Una posizione che ovviamente non è condivisa dalla Turchia. Specialmente perché uno degli obiettivi di Erdogan è quello di rendere Ankara sempre più protagonista nel Mediterraneo orientale e i giacimenti in tal senso rappresentano una risorsa energetica e politica vitale. Per questo si è iniziato a soffiare sempre più a favore del nazionalismo turco-cipriota. Nell’ottobre del 2020 la vittoria alle presidenziali della Repubblica Turca di Cipro di Ersin Tatar, propenso a un definitivo distacco dalla comunità grecofona, ha agevolato i piani di Erdogan.

Nei giorni scorsi, in occasione dell’anniversario dell’invasione del 1974, il presidente turco si è recato sull’isola. Una visita di per sé carica di tensione. Atterrare in una zona definita internazionalmente occupata è stato visto come atto di provocazione sia da Nicosia che da Bruxelles. E l’intenzione di Erdogan era probabilmente proprio questa. Non a caso ha usato il palcoscenico del parlamento turco-cipriota per lanciare una condanna all’Europa sulla recente sentenza che vieta il velo islamico nei luoghi di lavoro. Perno del suo discorso nella zona nord dell’isola ha riguardato però lo status di Cipro: “L’unica soluzione – ha tuonato Erdogan – è quella dei due Stati”. Un’affermazione che rischia di cancellare i già fragili tentativi di accordo: “La parte greca continua a ignorare i diritti del popolo turco-cipriota nel Mediterraneo orientale – ha proseguito il presidente turco – Rifiutano tutte le proposte sulla condivisione delle risorse di idrocarburi”. Un chiaro riferimento alle sue velleità. Mettere cioè le mani sul gas e sugellare il ruolo del suo Paese nella regione, usando la Repubblica Turca di Cipro come una vera e propria testa di ponte nel Mediterraneo.





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