Tra alti e bassi, tra momenti di confronto e di scontro, la presenza italiana in Libia da più di cento anni è una costante importante nel Mediterraneo. A volte Roma e Tripoli sono state forzatamente unite, altre volte violentemente separate, in altri contesti invece hanno dato vita a matrimoni di convenienza. Fatto sta che, nel bene e nel male, Italia e Libia non hanno mai potuto fare a meno l’uno dell’altra. Oggi, con una Libia frammentata e spaccata da una guerra senza fine, con un governo a Tripoli oramai nell’orbita della Turchia e con una Cirenaica che ha trovato altri lidi, cosa aspettarsi dal rapporto tra i due Paesi? Ma soprattutto, l’Italia ha ancora speranza di avere un ruolo in Libia?

La presenza coloniale italiana

Tutto è partito, come si sa, nel 1911: l’avventura dell’Italia in Libia ha preso piede nel settembre di quell’anno, quando Roma ha dichiarato guerra all’Impero Ottomano che ancora deteneva le province che poi verranno unite per formare per l’appunto la Libia. L’obiettivo era quello di occupare soprattutto Tripolitania e Cirenaica e dare quindi all’Italia i suoi possedimenti coloniali. Con il trattato di Losanna del 1912 il nostro Paese si vedeva riconosciuta l’amministrazione civile e militare su questi territori, ma non la sovranità che invece è rimasta all’Impero Ottomano. Almeno formalmente, visto che l’Italia non ha mai revocato il regio decreto n. 1247 del 5 novembre 1911, con il quale unilateralmente aveva proclamato l’annessione di queste terre nordafricane. Soltanto con il trattato di Losanna del 1923 anche a livello internazionale è stata riconosciuta la piena sovranità di Roma nelle province della Tripolitania e della Cirenaica. Nel 1934 poi, è stato creato un unico governatorato che ha preso il nome dato alla zona dai romani, ossia Libia.

Il rapporto tra italiani e libici non era certo dei migliori: il nostro Paese, sia durante l’ultima fase pre fascista che durante l’era mussoliniana, ha dovuto usare la forza per controllare tutto il territorio della Libia. Anche dopo il 1934 sono stati diversi gli episodi di rivolta contro gli italiani, sedati poi dalle forze di Roma. Al fianco però di questi episodi, più di 30 anni di presenza italiana hanno in qualche modo stretto i rapporti tra le due sponde del Mediterraneo. E questo risulterà molto importante anche quando con la seconda guerra mondiale l’Italia perderà il controllo sulla Libia.

La presenza italiana nell’immediato dopoguerra

Nel 1939 gli italiani in Libia erano circa 120.000, a Tripoli rappresentavano più del 30% della popolazione. Dal 1945 in poi il Paese è passato nelle mani della Gran Bretagna, la quale ha piazzato con Re Idris la dinastia Senoussi al timone concedendo quindi l’indipendenza alla Libia il 25 dicembre 1953. In quel momento la comunità italiana ha iniziato ad affrontare non poche difficoltà: essa infatti rappresentava un ex Paese colonizzatore che ha perso la guerra e contro cui potevano emergere rivalse da parte dei libici. Si calcola che già sul finire degli anni ’60, gli italiani in Libia erano circa 20mila.

Ma al di là di questa situazione apparentemente del tutto sfavorevole alla nostra presenza sull’altra sponda del Mediterraneo, in realtà i rapporti tra Italia e Libia sono sempre rimasti stretti. Il petrolio libico ha iniziato a fare gola anche alle nostre società, le quali hanno potuto sfruttare le conoscenze e le ramificazioni decennali sul territorio. Dal canto loro, le conoscenze e le innovazioni tecnologiche apportate dagli italiani sono diventate fondamentali per i libici. Dunque complessivamente si può ben comprendere come l’influenza italiana sulla Libia, anche in questa fase storica così delicata e pur tra molti bassi e pochi alti, non è mai venuta meno.

L’espulsione del 1970

L’1 settembre 1969 per la Libia è iniziata l’era di Muammar Gheddafi. Il rais, nativo di Sirte, con un colpo di Stato ha rovesciato la monarchia retta da Re Idris ed ha proclamato una Repubblica che si ispira ai valori del panarabismo e del nasserismo. La parola d’ordine dunque è affrancamento dall’era coloniale e quindi dagli anni della presenza in Italia nel Paese nordafricano. Gheddafi non ha mai fatto mistero della volontà di ottenere dal nostro governo un risarcimento per l’era coloniale. In diverse interviste, anche durante i primi mesi di governo, ha spesso mostrato le cicatrici procurate dallo scoppio di una mina lasciata dagli italiani nella sua Sirte mentre giocava con dei cugini risultati poi deceduti a causa dell’esplosione.

Questo non faceva però presagire quanto accaduto poi il 7 ottobre 1970: quel giorno infatti, Gheddafi ha deciso per l’espulsione di tutti gli italiani ancora presenti in Libia e la confisca delle proprietà.Tutti i ventimila italiani che abitavano o lavorano nel Paese nordafricano sono dovuti andare via, lasciando in Libia averi, abitazioni ed a volte anche affetti. Una cicatrice importante lungo l’asse Roma – Tripoli e nelle vite di migliaia di italiani, che però non impedirà ulteriori sviluppi dei rapporti italo – libici.

I rapporti tra l’Italia e la Libia di Gheddafi

Tuttavia infatti, i contatti diplomatici tra le due sponde del Mediterraneo non sono cessati. Al contrario, è stato lo stesso rais più volte a rimarcare le differenze tra l’Italia coloniale e quella repubblicana, la quale secondo il leader libico è stata tra le più attente alla causa araba tra i vari Paesi europei. Ha avuto da questo momento inizio un rapporto apparentemente ambiguo, in cui ai toni aspri dettati dalle mosse di Gheddafi per emanciparsi del tutto dal periodo coloniale sono seguiti però veri e propri matrimoni di interesse. L’Italia ha potuto sfruttare la conoscenza del territorio per continuare ad avere un’importante influenza in Libia, la quale ha fruttato importanti contratti di natura energetica e petrolifera. Il greggio libico ha una qualità molto rara che lo rende facile da raffinare ed è quindi molto ambito anche dalle nostre società.

Dal canto suo, Gheddafi sa di aver bisogno del “know how” italiano per ammodernare le infrastrutture libiche e provare a far sviluppare il Paese nordafricano. Per questo quindi l’asse Roma – Tripoli tra gli anni ’70 ed ’80 è diventato sempre più importante. Emblema di questa situazione è quanto avvenuto nell’aprile del 1986, quando gli Usa hanno lanciato un raid aereo contro la Libia con l’intento di eliminare Gheddafi. Il rais è stato avvertito delle velleità americane dai servizi segreti italiani e su interessamento dell’allora presidente del consiglio Bettino Craxi. Tra gli anni ’80 e ’90 la Libia è apparsa sempre più isolata sul piano internazionale, questo ha dato modo all’Italia di avvicinarsi sempre di più a Tripoli e diventarne un vero e proprio riferimento. Quando poi Gheddafi ha deciso di porre fine al suo programma di armamento nucleare nei primi anni 2000, l’Italia ha potuto giocare un ruolo decisivo per il riavvicinamento del rais alle altre potenze internazionali. Questo ha portato, tra le altre cose, all’inaugurazione il 7 ottobre del 2004 al Green Stream, il gasdotto che collega la Tripolitania alla Sicilia, operativo proprio dal giorno che richiamava la cacciata degli italiani dalla Libia.

Il culmine del riavvicinamento tra Roma e Tripoli si è avuto nel 2008, quando a Bengasi Gheddafi ha firmato con l’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi il “trattato di amicizia Italia – Libia”, in cui il nostro Paese si è impegnato a riconoscere i danni dell’era coloniale avviando un’intensa fase di collaborazione economica, politica e sul settore della sicurezza.

Gli anni della guerra

Tutto però è cambiato pochi anni dopo, quando la Libia nel 2011 è stata inghiottita dal vortice delle proteste della primavera araba ed il governo di Gheddafi è apparso molto traballante. Francia e Gran Bretagna hanno spinto, sulla base delle accuse mosse a Tripoli di bombardare i manifestanti e seppellirli in fosse comuni, per un intervento militare. Accuse poi rivelatesi false e mai certificate, che hanno però portato nel marzo del 2011 ad un intervento aereo contro la Libia. A queste operazioni, nonostante i buoni rapporti sopra descritti, ha partecipato anche l’Italia. Il nostro Paese, spinto dalla preoccupazione che un intervento fuori dal cappello della Nato potesse creare maggiori danni ai propri interessi nazionali, ha quindi aderito alla missione che da lì a pochi mesi contribuirà a rovesciare Gheddafi.

Anche in questo caso, l’Italia è sembrata aver perso ogni possibile influenza sulla Libia. Gli anni del conflitto civile seguito a quell’intervento del 2011, hanno mostrato invece una tenuta quantomeno per la difesa degli interessi di natura energetica. A mancare è stato soprattutto quel rapporto di esclusività tra Roma e Tripoli, ma i contatti diplomatici e politici sono rimasti costanti ed importanti. Non è un caso che ancora oggi l’unica ambasciata occidentale aperta nella capitale libica è quella italiana. Tuttavia, dopo il vertice di Palermo organizzato nel novembre del 2018 su spinta del governo Conte I, sul dossier libico il nostro Paese è apparso distratto. Ufficialmente Roma riconosce oggi soltanto il governo di Fayez Al Sarraj, ma ha rapporti anche con il generale Khalifa Haftar, che controlla buona parte della Cirenaica. Una posizione che spesso è stata vista ambigua da entrambe le parti in causa. Il problema principale nei rapporti tra Italia e Libia, adesso ha a che fare con l’avanzata dell’influenza delle potenze regionali a discapito di quelle europee. Il governo di Al Sarraj è sempre più orientato verso la Turchia, mentre Haftar ha l’appoggio di Egitto ed Emirati, oltre che quello importante della Russia. Roma, in questo contesto, rischia di essere tagliata fuori.

Le possibilità future

La presenza di turchi e filo turchi in Tripolitania non permette certo di aprire a scenari positivi per il nostro Paese. Al contrario, l’Italia potrebbe veder lesi i propri interessi nazionali, a partire da quelli energetici. Più volte però, come visto in precedenza, quando l’asse Roma – Tripoli sembrava sul punto di essere definitivamente tranciato tra i due Paesi sono nuovamente riemerse le necessità politiche ed economiche di entrambe le sponde del Mediterraneo. L’Italia in futuro potrà giocarsi la carta della conoscenza del territorio e di legami pluridecennali ben consolidati. Occorre però che il nostro Paese torni ad interessarsi in modo continuo e costante del dossier libico.

Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.