Manca meno di un anno ai caucus in Iowa e in New Hampshire. A oggi, i candidati democratici alle primarie sono dodici. Ma ce ne sono almeno altrettanti che, tra comitati elettorali allestiti e verifiche del caso attorno ai finanziatori, stanno muovendo i primi passi nella medesima direzione. Arriveremo a circa venti – venticinque candidati.
All’appello mancano soprattutto Joe Biden e Beto O’Rourke. Il primo era considerato il vincitore designato. Il secondo, invece, doveva essere la rivelazione delle elezioni di medio – termine, ma pur tenendo botta è uscito perdente, nel confronto texano, contro Ted Cruz.
Sull’ex vicepresidente di Barack Obama non si hanno troppe notizie: sembra sempre sul punto di ufficializzare la candidatura, ma quell’annuncio non arriva mai. Come se fossimo all’interno di un flashback del 2016, quando Biden è stato costretto al ritiro, a dire il vero, anche per motivazioni familiari. Adesso sarebbe proprio la sua famiglia a spingere, ma il settantaseienne avrebbe chiesto garanzie ai suoi super – donatori. Sì, perché nel frattempo è successo qualcosa.
Bernie Sanders ha raccolto 10 milioni di dollari in una settimana. Il che sta a significare che la candidatura del senatore del Vermont è ormai percepita come canonica, normale, non più al di fuori dei confini partitici. Kamala Harris è, allo stato attuale delle cose, l’esponente più spendibile al centro tra coloro che possono davvero aspirare a ottenere la nomination. L’ex procuratrice è tra i sostenitori del “Green New Deal” della Cortez: questo non può rassicurare quei “poteri forti” che vengono spesso ventilati quando si tratta di constatare quali settori spingono per un esponente moderato. E uno dei tallone d’Achille di Donald Trump risiede proprio lì, negli elettori della borghesia agiata con tendenze repubblicane, che non si sentono più rappresentati da un presidente ultraconservatore, populista e quasi per niente attivo sul piano dell’interventismo. The Donald non è stato un esportatore di democrazia.
Ma se Biden non dovesse scendere in campo, il tycoon rischierebbe di trovarsi nel bel mezzo di un percorso senza ostacoli, seduto sull’unico mezzo in grado di attrarre i voti di chi, di socialismo e dei suoi derivati, non vuole sentirne parlare. Per questo Howard Schultz e Michael Bloomberg stanno ponendo le basi per investire su loro stessi. Nel frattempo, hanno fatto il loro annuncio pure il governatore dello Stato di Washington, Jay Inslee, e quello del Colorado, John Hickenlooper. Sono tutti tentativi di riempire uno spazio istituzionale, quello che solo Biden o la Clinton potrebbero colmare, per ora rimasto senza padroni.
Donald Trump ha annusato l’aria e si è messo a polarizzare la questione. O con lui o con il socialismo: da qualche settimana a questa parte, l’adagio è sempre lo stesso. E negli Stati Uniti, il socialismo – per come lo conosciamo noi – ha sempre e solo rappresentato un pericoloso spauracchio.