Nella partita a scacchi delle nomine europee i leader comunitari hanno individuato in Josep Borrell la figura designata a sostituire Federica Mogherini come Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune (Pesc). Borrell, 72enne catalano, ricopre da poco più di un anno la carica di ministro degli Esteri del governo spagnolo di Pedro Sanchez ed è stato, tra il 2004 e il 2007, presidente del Parlamento Europeo, per poi intraprendere una lunga carriera accademica interrottasi solo con la chiamata ai vertici della diplomazia iberica. Con la sua nomina la Spagna di Sanchez, che da diversi mesi è la prima sostenitrice dell’asse franco-tedesco rappresentato in Commissione e Banca Centrale Europea, ottiene una poltrona importante e torna a controllare la Pesc dopo la lunga esperienza di Javier Solana (1999-2009), espressione del Partito Socialista Operaio Spagnolo (Psoe) come lo stesso Borrell.
Borrell, che è stato capolista del Psoe alle elezioni europee, è una figura di peso della diplomazia spagnola e, sotto certi punti di vista, una figura in controtendenza rispetto agli altri due nomi di spicco scelti dal Consiglio Europeo. Ursula von der Leyen e Christine Lagarde, in un certo senso, rappresentano nomi di garanzia sia per l’asse franco-tedesco che per i rapporti transatlantici, risultando figure note e apprezzate alla Nato (la von der Leyen, in virtù dei suoi incarichi da ministro della Difesa di Berlino) e agli ambienti economico-finanziari statunitensi (la Lagarde, in uscita dal Fmi). Borrell, invece, è figura più spiccatamente europea e, in tutto e per tutto, iberica.
La crisi venezuelana ne dà un plastico esempio. Tra i leader delle principali diplomazie europee, Borrell è stato l’unico ministro degli Esteri a proporre una via ragionata e di realpolitik alla riappacificazione tra Nicolas Maduro e Juan Guaidò,anche in un contesto che aveva visto il Partito Socialista e Pedro Sanchez schierarsi dalla parte di Guaidò. Assieme a poche voci dissonanti provenienti dal governo italiano, con Conte che non ha preso posizione a favore di Guaidò grazie alla linea prudente e ragionata del Movimento Cinque Stelle sulla vicenda, Borrell è stato tra i pochi a non chiudere al dialogo con Caracas, criticando l’avventurismo americano.
L’obiettivo della diplomazia iberica è sempre rimasto, sottolinea Limes, “sfruttare la crisi venezuelana per recuperare il protagonismo internazionale perduto nel settenato di Rajoy”, diventando “il referente europeo per i Paesi dell’area, offrendo loro un’alternativa agli Stati Uniti” e proteggendo al contempo gli asset economici nazionali e le prospettive di penetrazione economico-politica di lungo periodo. A maggio, in un’intervista alla televisione spagnola, Borrell ha detto che gli Stati Uniti si comportano nella crisi del Venezuela “come il cowboy occidentale, che dice ‘guarda come sfodero bene la pistola’”, mentre, a suo avviso, la situazione nel Paese “non si risolve mostrando le armi”, ma cercando e trovando “una soluzione pacifica, negoziata e democratica”. Parole molto più nette delle grigie dichiarazioni di Federica Mogherini, figura rimasta a dir poco invisibile nei principali consessi internazionali in cui i Paesi europei sono stati chiamati a misurarsi negli ultimi anni.
La nomina della Mogherini ha rappresentato il punto più basso della corsa di Matteo Renzi a occupare con i suoi fedelissimi le poltrone assegnate, in Italia e all’estero, alla sua disponibilità e ha portato alla perdita di una grande opportunità per l’Italia, che trovandosi di fronte la disponibilità di indicare la figura del “Ministro degli Esteri” europeo si ritrovò vittima di piccole logiche di partito. L’errore della nomina della Mogherini, compiuto da Renzi per compiere uno sgarbo politico al candidato alternativo Massimo d’Alema, suo acerrimo rivale nel Pd, ha rappresentato un’occasione perduta per l’Italia. Al confronto di Renzi, Sanchez si è dimostrato notevolmente più scaltro e lungimirante, schierando in Europa il pezzo da novanta della sua diplomazia e del suo governo.
Borrell, rispetto alla Mogherini, dà garanzie di maggiore autonomia di giudizio e comprensione degli scenari geopolitici. Soprattutto, incarna una linea intermedia rispetto alle linee di Washington dell’ultimo quinquennio, che ha portato i Paesi Ue a produrre moli di dichiarazioni ma pochi risultati concreti per cercare una linea autonoma su Venezuela, Iran, Ucraina, Siria e altri teatri caldi. In questo contesto, Borrell ha davanti a sè l’esempio positivo del suo connazionale e predecessore Javier Solana, l’ex Segretario Generale della Nato che da Alto Rappresentante seppe far sentire la sua voce contro la guerra in Iraq, le torture di Guantanamo ed Abu Ghirab e lo scontro tra israeliani e palestinesi, portando la diplomazia europea a un livello di autorevolezza, prima che Catherine Ashton e Federica Mogherini ne certificassero il definitivo appiattimento. Dal 2009 il mondo è completamente cambiato: la nomina di Borrell avviene in una fase cruciale in cui l’Europa appare il grande assente diplomatico e geopolitico dei grandi assetti e negoziati internazionali. Difficilmente un solo nome potrà ribaltare la situazione: tuttavia, quel che è certo è che nella definizione delle relazioni internazionali dell’Ue ora la Spagna avrà maggiore voce in capitolo. E Sanchez è riuscito a evitare l’errore compiuto da Renzi cinque anni fa.