La Sinistra francese ha visto rapidamente spegnersi il fuoco di paglia acceso nelle ultime due elezioni amministrative, nel 2020 e nel 2021, dalla buona prestazione del Partito Socialista e di altre formazioni della Gauche d’Oltralpe e in vista delle elezioni presidenziali è sempre più probabile una sua sostanziale irrilevanza.
Anne Hidalgo, sindaca socialista di Parigi e candidata presidenziale del partito che fu di François Mitterrand, ha recentemente provato a giocare la carta della candidatura unica tra la sua formazione, i Verdi (più spostati a sinistra in Francia rispetto che in Germania), la coalizione La France Insoumise del vecchio leone Jean-Luc Mélenchon e il Partito Comunista per provare a invertire un trend complesso. La Francia si sposta a destra, Emmanuel Macron con destrezza prova a occupare lo spazio dialettico aperto dall’ascesa di candidati come Eric Zemmour e Valerie Pecresse e dalla presenza di Marine Le Pen come eterna sfidante e a sinistra gli spazi narrativi e politici si chiudono. La proposta della Hidalgo, in questo contesto, ha subito una sonora bocciatura dagli altri partiti di sinistra, ancora memori di quanto la formazione storica della Gauche francese sia stata la loro principale avversaria ai tempi della presidenza di François Hollande e della Grande Recessione.
La sinistra istituzionale francese non è sopravvissuta a livello nazionale al terremoto dell’ascesa di Macron e al vero e proprio disastro con cui, tra scandali, emergenza terrorismo subordinazione in Europa alla Germania di Angela Merkel e proteste interne la presidenza Hollande si avvitò tra il 2016 e il 2017. Mélenchon ha tenuto alti gli onori della Sinistra radicale alle presidenziali del 2017, quarto con poco meno del 20% dei voti a poca distanza dalla Le Pen seconda, ma la sua è stata piuttosto una corsa solitaria. A cento giorni dalle elezioni, Mélenchon è dato attorno al 10% e complessivamente la sua coalizione, i Verdi e i Socialisti si posizionerebbero poco sopra il risultato raggiunto da Mélenchon nel 2017 oggigiorno, col 21% dei voti complessivi.
Un voto di minoranza che, sommato a quello di alcune liste minori, potrebbe però teoricamente portare la sinistra a costruire il primo o secondo cartello elettorale e a sorpassare una destra maggioranza nel Paese ma divisa oggigiorno tra tre candidati tra il 16 e il 17% delle intenzioni di voto per accedere al ballottaggio contro Macron. Ipotesi più facile a dirsi che a farsi, dato che la Gauche appare subire, oggigiorno, una subalternità politico-culturale nei temi tanto alla destra quanto alla figura di Macron. Sul primo fronte, la Sinistra pare aver dimenticato, eccezion fatta per un Mélenchon sempre timoroso però nelle sue uscite di prestare il fianco alla destra radicale, il conflitto tra Francia periferica e metropoli, le disuguaglianze, le problematiche sociali. Ha in larga parte rubricato a jacquerie il fenomeno dei Gillet Gialli, ha dato sponda al mito del politicamente corretto, ha cavalcato la cancel culture e scordato ogni premessa politica di valore strategico. Campionessa di questi errori è stata, da sindaco di Parigi, proprio la Hidalgo, che oggi col 4% potrebbe peggiorare il disastroso 6% del 2017 di Benoit Hamon che costò ai socialisti il risultato più deludente della loro storia alle presidenziali.
Sul secondo fronte, la Sinistra non sa come approcciarsi a Macron. Di fronte a un Presidente che si sposta, consapevolmente, sempre più nel campo della destra non riesce a dimenticare il peccato originale di averlo votato e, in fin dei conti, ritenuto un suo organico esponente. Al tempo stesso, lo considera il male minore di fronte all’avanzata della destra e, per questo, non incide nella critica. Anche in questo caso, specie nel periodo pandemico Mélenchon fa storia a sé in larga misura, ma la sua natura di tribuno radicale e figura divisiva rende complesso estendere un discorso di questo tipo all’intero campo. Yannick Jadot, candidato Verde, ha ad esempio molto più di che spartire con la Hidalgo, ma al tempo stesso teme le primarie uniche per non doversi spingere troppo a favore della causa di eventuali vincitori radicali.
La Hidalgo parla dalla posizione più scomoda e attaccabile, ovvero da candidata di un partito sempre più in disarmo dopo i fasti del passato. Tuttavia la sua proposta è sicuramente l’unica, per quanto complessa, strada che la Gauche ha per continuare a esistere. Difficile pensare a una quota di voti pari alla sommatoria aritmetica dei consensi dei candidati, dato il rischio di perdere sostegno per strada in una fusione a freddo, ma qualora l’operazione riuscisse la sinistra francese dovrebbe trovare un nome capace di andare oltre gli steccati.
Intanto A metà dicembre, in vista di tale possibilità, Christiane Taubira, 69 anni, esponente storica del Partito Radicale della Sinistra originaria della Guyana Francese ha annunciato che potrebbe essere candidata alla presidenza della Repubblica alle elezioni di aprile e di voler sciogliere la riserva entro gennaio. Sondaggi preliminari la porrebbero, oggigiorno, all’8% dei consensi, e a favore della sua popolarità nel campo di riferimento giocano la sua assenza di compromessi in passato, che favoriscono oggigiorno la presa di consensi in un elettorato sempre più polarizzato. Tauriba è associata alle posizioni esplicite prese dando il nome alle leggi che consentirono il riconoscimento della tratta degli schiavi come crimine contro l’umanità (2001, governo Jospin) e il matrimonio per tutti (2013, presidenza Hollande). Nel 2016, ricorda Formiche, “si allontanò dall’impegno politico in dissenso anche con una parte della sinistra in ragione della forte opposizione alla riforma antiterrorismo sostenuta dal governo francese, che prevede la revoca della cittadinanza per i condannati per terrorismo”.
Un nome forte, dunque, sicuramente definibile organica alla Gauche senza ambiguità. Ma anche per questa ipotesi unitaria la strada sembra stretta, complice la rivalità tra Tauriba, i Verdi e Mélenchon che rischia di causare un blocco generalizzato del dialogo. I più maliziosi ricordano che nel 2002 Taubira è stata associata a una divisione della sinistra francese: candidandosi alle presidenziali, colse un 2,3% di voti essenziali a escludere dal ballottaggio Lionel Jospin a favore di Jean-Marie Le Pen, e ora questo le viene rinfacciato. A testimonianza del fatto che nella sinistra francese c’è aria di redde rationem. La politica è anche fattore di tempi e modi da calcolare opportunamente, non mera sommatoria di consensi e intenzioni di voto. E per la sinistra transalpina i tempi sono stati calcolati male, innanzitutto, cercando di cavalcare l’era macroniana dopo il disastro di Hollande. Tanto che a metà 2021 Liberation, testata storica dell’area politica, arrivò a chiedersi malinconicamente a cosa fosse servito sostenere convintamente il presidente al ballottaggio contro la Le Ppen nel 2017. A furia di senni di poi, si avvicina un’altra elezione che rischia di radere al suolo la sinistra. Senza che realistiche possibilità di invertire il trend declinista appaiono all’orizzonte.