Con una mossa inattesa che ha sorpreso alleati e rivali, il Primo Ministro britannico Theresa May ha lanciato il guanto di sfida indicendo un’elezione anticipata per il prossimo 8 giugno. Nel corso del suo intervento di martedì 18 aprile la May ha motivato la sua scelta con la necessità di garantire adeguata continuità ai negoziati sulla Brexit attraverso l’apposizione di un’adeguata maggioranza politica; molto diffidente, in passato, riguardo alla possibilità di un’elezione anticipata, la May è alfine giunta alla scelta cruciale di riportare il suo Paese alle urne dopo che nelle prime settimane seguite all’annuncio dell’attivazione dell’Articolo 50 del Trattato di Lisbona da parte del governo di Londra il clima politico britannico aveva fatto registrare una forte polarizzazione interna riguardo le modalità di conduzione dei negoziati sull’uscita dall’Unione Europea.In un certo senso, la mossa di Theresa May è equiparabile a quella condotta dal Primo Ministro giapponese Shinzo Abe nel 2014, quando il leader di Tokyo indisse una snap election al fine di legittimare con il voto popolare il varo della piattaforma economica dell’Abenomics; in questo senso, l’obiettivo del Primo Ministro britannico è rappresentato dalla legittimazione della modalità di conduzione dei negoziati sulla Brexit portata avanti sinora. La May ritiene concluso l’operato del suo primo governo con l’annuncio dell’uscita dall’Unione Europea e punta ora a formare un esecutivo stabile destinato, con la protezione di un’ampia maggioranza parlamentare, a condurre in porto l’affermazione della nuova Global Britain, rinsaldando il controllo esercitato sulla Brexit da parte del Partito Conservatore. Dal punto di vista tattico, il momento è propizio per i Tories: un sondaggio IMC riportato dal sito del Guardian, infatti, ha assegnato virtualmente al Partito Conservatore il 46% dei suffragi, garantendogli un incremento dovuto principalmente all’erosione dei consensi dell’UKIP, e ha riportato la crisi del Labour Party, attualmente accreditato di un modesto 25%. La trasposizione di questi risultati sul terreno, considerando la natura del sistema elettorale britannico basato sui collegi uninominali, dovrebbe mettere la May al sicuro dalle principali insidie che l’elezione anticipata rischia di porle: da un lato, la necessità di dover annacquare la propria corsa alla Brexit in caso di perdita della maggioranza assoluta conquistata da David Cameron nel 2015 e di formazione di un esecutivo di coalizione; dall’altra, il rischio che a produrre questo scenario possano essere proprio le sconfitte dei Tories in roccaforti del Remain come la Grande Londra, che assegna 73 dei 650 seggi della Camera dei Comuni. Sotto il profilo strategico, il principale vantaggio per Theresa May è dato dalla possibilità di poter condurre il gioco alle proprie condizioni: allo stato attuale delle cose, infatti, il Primo Ministro trova nei laburisti di Jeremy Corbyn un involontario alleato per il ritorno alle urne. Il Labour Party, infatti, dilaniato dalle faide interne e incapace di esprimere una linea univoca sulla Brexit, punta a giocarsi il tutto per tutto alle urne e, in questo contesto, anche Corbyn può trovare dalla corsa al voto un’occasione per il rilancio, sfruttando la sua presa sulla base della formazione per potersi vedere affiancato in Parlamento da una rappresentanza più omogenea in suo sostegno. Fortemente contrario al ritorno alle urne, invece, lo Scottish National Party del First Minister Nicola Sturgeon, che vede rinviata sine die la scottante questione del referendum indipendentista e insidiato l’exploit realizzato nell’ultima tornata elettorale. Il 7 maggio 2015 il SNP ottenne infatti 56 dei 59 seggi parlamentari riservati alla Scozia e, al momento, ha tutto da perdere da un nuovo voto in cui il principale avversario sarà il Partito Laburista desideroso di rifarsi dello smacco subito due anni fa nelle sue tradizionali roccaforti settentrionali.In definitiva, la scommessa di Theresa May è ben ponderata e razionale: partendo da una chiara posizione di vantaggio, il Primo Ministro intende garantire alla sua azione governativa una stabilità e una profondità conseguibili esclusivamente attraverso l’acquisizione di una maggioranza autonoma. L’obiettivo di fondo, espresso dalla stessa May nel corso della sua dichiarazione del 18 aprile, è far sì che dalle urne possa uscire una Stronger Britain: una Gran Bretagna capace di capitalizzare al meglio le conseguenze di lungo periodo della Brexit grazie alla visione strategica della sua leadership. Coraggiosa, ma non temeraria, la scelta della May segna inoltre un solco profondo nel panorama politico britannico, mostrando come, oltre all’inquilina di Downing Street, l’unico vero leader di spessore sia al momento il suo più tenace avversario, il First Minister Nicola Sturgeon. In balia degli eventi, una volta di più, i laburisti rischiano di finire tra l’incudine e il martello: costretti ad accettare un voto che li vede, in proiezione, nettamente battuti, essi non possono al tempo stesso perseguire nell’attuale impasse che rischia di pregiudicare qualsiasi loro prospettiva futura, e sono spinti ad aprirsi alla proposta di Theresa May, rivelandone l’oggettivo sottofondo di razionalità strategica.