La sfida per succedere a Theresa May vede due protagonisti contendersi il ruolo di leader dei Tory e di futuro primo ministro britannico: Boris Johnson e Jeremy Hunt.

Il primo, 55 anni, già Sindaco di Londra ed ex Ministro degli Esteri, è considerato un personaggio molto controverso della politica inglese, apprezzato da molti e disprezzato da tanti altri, è inoltre ritenuto il favorito l’atteggiamento euroscettico e per la linea dura adottata riguardo la Brexit, che galvanizza buona parte del partito conservatore e che gli ha permesso di ottenere l’appoggio pubblico della maggioranza dei parlamentari; il secondo, 52 anni, è l’attuale Ministro degli Esteri, cioè colui che ha sostituito proprio Johnson dopo le sue dimissioni.

La carriera politica di Boris Johnson iniziata nel 2001, culmina con la nomina a Sindaco della capitale inglese nel 2008 e poi a Ministro degli Esteri nel 2016, carica mantenuta fino al 2018 anno in cui si dimette.

Il percorso politico di Jeremy Hunt ha il suo esordio nel 2005, diventando prima il ministro ombra per la disabilità, poi ministro della cultura, dello sport e dei media nel 2011, infine nel 2012 diventa Ministro della Sanità, carica che ricopre fino al 2018.

Considerato più moderato rispetto a Johnson, Hunt mantiene un profilo più istituzionale, preferendo il dialogo con l’Unione Europea contrariamente al rivale, che si dice pronto a mettere in atto il cosiddetto no-deal entro il 31 ottobre.

Boris Johnson infatti è stato uno dei principali sostenitori del referendum che ha sancito l’uscita del Regno Unito dall’Ue, al contrario Jeremy Hunt ha avuto un atteggiamento ambiguo, dapprima sostenendo il “remain” e poi allineandosi con la volontà popolare appoggiando il processo di uscita dall’Unione.

Proprio la Brexit mette ulteriormente in difficoltà gli sfidanti aprendo la questione del confine irlandese. Mentre Theresa May si è sempre dichiarata contraria a ricreare un confine tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, stato membro dell’Unione Europea, Johnson e Hunt hanno proposto soluzioni tecnologiche che permetterebbero di lasciare aperto il confine ed, allo stesso tempo, di rispettare gli Accordi del Venerdi Santo, anche se l’Irlanda del Nord uscirà dal mercato unico e dall’Unione doganale.

In materia di fisco ed economia entrambi condividono la volontà di procedere ad un importante taglio delle tasse, con l’obiettivo di ridare slancio alle imprese. Il risultato potrebbe però provocare effetti opposti pesando sui conti pubblici. Boris Johnson, proprio in materia fiscale, propone due alternative: la prima prevede un incremento della soglia minima di entrate che permette di attivare l’obbligo di versare i cosiddetti “National insurance contributes”, cioè i contributi destinati allo Stato per finanziare svariati benefit sociali; la seconda alternativa prevede un aumento da cinquanta mila a ottanta mila sterline all’anno, ossia la soglia minima del reddito per rientrare nella fascia di tassazione più elevata.

Entrambe le ricette proposte hanno in comune lo stesso problema: le coperture. Se quanto proposto da Boris Johnson viene considerato a dir poco azzardato, Jeremy Hunt va addirittura oltre. In particolare quest’ultimo auspica un taglio notevole della tassa sul reddito d’impresa (corporate tax), passando dall’odierno 19% al 12%, mossa che sta provocando non poche preoccupazioni agli analisti.

Il giro di boa della sfida è avvenuto il 9 luglio scorso quando Hunt e Johnson hanno messo in scena un duello televisivo senza esclusioni di colpi, andato in onda su ITV e che potrebbe aver rappresentato per Hunt l’ultima vera occasione per cercare di risalire nei sondaggi nettamente a favore del rivale.

Molti sono stati gli argomenti trattati durante il dibattito ma, come era facilmente prevedibile, l’argomento “Brexit” ha catturato maggiormente la scena. E’ stata inoltre affrontata la spinosa questione che ha tenuto banco in questi ultimi giorni: le critiche rivolte all’amministrazione di Trump da parte dell’ambasciatore britannico negli Stati Uniti Kim Darroch.

Le note informative dell’ambasciatore rese pubbliche dal quotidiano britannico “Daily Mail”, poco eleganti nei confronti del Presidente Donald Trump, additato come un “inetto”, hanno aperto una vera e propria crisi diplomatica con Londra, portando nelle ultime ore alle dimissioni dello stesso Darroch.

Hunt proprio durante il dibattito aveva dichiarato che, nel caso fosse diventato Primo Ministro, l’ambasciatore sarebbe rimasto al suo posto, mentre Johnson ha evitato di rispondere e di esprime un giudizio con chiarezza. Intanto centosessanta mila membri del Partito Conservatore hanno votato tramite posta per scegliere il futuro leader dei Tory e Primo Ministro Britannico e solo il 23 luglio scopriremo chi sarà il vincitore: il dirompente e carismatico Boris Johnson o il moderato Jeremy Hunt?

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