Nel mare di stelle di David che sventolavano sulle strade di Tel Aviv durante le proteste antigovernative dello scorso sabato 7 gennaio sono spuntate anche alcune bandiere palestinesi, che hanno destato grande sdegno nel nuovo ministro della sicurezza nazionale d’Israele, Itamar Ben Gvir.

Bandiere scomode, ministri scomodi

Al comandante della polizia è stato subito trasmesso l’ordine di rimuoverle, in una dimostrazione di forza senza precedenti. L’input è infatti arrivato dal neo ministro della sicurezza ultranazionalista, forte dei poteri accordatigli dal premier Benjamin Netanyahu durante i recenti negoziati per formare il suo sesto governo.

Tale decisione unilaterale ha suscitato imbarazzo nella polizia, che fino a quel momento aveva applicato le precedenti disposizioni dell’Alta Corte di Giustizia. In base a queste, le bandiere palestinesi andavano rimosse solo in presenza di un rischio reale di turbamento della pace. Mentre l’esposizione del tricolore palestinese era stata sempre permessa con molta discrezione in base al luogo e al momento. Le disposizioni di Ben Gvir non lasciano più alcun spazio d’interpretazione: le bandiere “simbolo del terrorismo” – altrove definite come “incitamento all’odio contro lo Stato di Israele”- sono tassativamente vietate nei luoghi pubblici.

Già lo scorso 3 gennaio una visita del neoministro alla Spianata delle Moschee aveva causato grosse tensioni: a pochi giorni dall’insediamento del nuovo governo, Ben Gvir si è recato alla moschea di Al Aqsa, punto notoriamente caldo nella Gerusalemme Est occupata, da dove ha pronunciato parole dure, riprese da diversi media regionali come Middle East Eye: “Il Monte del Tempio (nome ebreo della luogo, ndr) è il luogo più importate per il popolo di Israele. Manterremo la libertà di movimento per musulmani e cristiani, ma vi saliranno anche gli ebrei, e alle minacce risponderemo col pugno di ferro. Non ci arrenderemo alle minacce di Hamas”.  

Il giorno prima l’ex primo ministro Yair Lapid aveva già definito la visita in programma una “deliberata provocazione” che sarebbe costata vite umane, mentre il portavoce dell’autorità palestinese Nabil Abu Rudeineh ha poi commentato lo sconfinamento di Ben Gvir come “una sfida al popolo palestinese, alla nazione araba e alla comunità internazionale”.

Una conseguenza immediata dell’accaduto ha messo in difficoltà il premier Netanyahu, la cui visita negli Emirati Arabi Uniti (la prima dopo la normalizzazione dei rapporti tra i due paesi con gli accordi di Abramo) è stata rimandata dopo che Abu Dhabi ha condannato “l’irruzione” del ministro Israeliano alla Spianata. Secondo l’agenzia turca Anadolu pare che Netanyahu stesso avesse concordato con Ben Gvir di posporre la visita, decisione poi disattesa dal ministro. Diverse critiche internazionali hanno duramente condannato l’iniziativa di Ben Gvir. Tra questi, l’ambasciatore americano in Israele Tom Nides ha bollato l’episodio come inaccettabile per il mantenimento dello status quo, mentre il ministero degli esteri dell’Autorità Palestinese in una dichiarazione ufficiale ha ritenuto Netanyahu stesso responsabile per “l’assalto” ad Al Aqsa da parte di Ben Gvir e per le sue conseguenze sul conflitto arabo-israeliano.

Le numerose preoccupazioni di Netanyahu

L’iniziativa del ministro Ben Gvir e le reazioni che ha scatenato si aggiungono alle già numerose preoccupazioni del neo premier infiammando il sentimento antigovernativo pronto a sfociare in una nuova serie di proteste. Tra i malumori spicca la preoccupazione per il primato giuridico della Corte Suprema, minacciato da una riforma proposta dal ministro della giustizia Yariv Levin in base alla quale il governo potrebbe avere mano libera sulla selezione dei membri della Corte, e il potere di controllo della stessa sulle leggi proposte dalla Knesset sarebbe significativamente ridimensionato. A detta di Aharon Barak, che ha presieduto la Corte dal 1995 al 2006, tali modifiche metterebbero in serio pericolo la democrazia israeliana e fungerebbero da “fertilizzante per lo sviluppo di una tirannia della maggioranza”.

Altre bandiere che hanno creato non poco nervosismo a Tel Aviv sono state quelle arcobaleno. Infatti, un’ulteriore questione che allarma i protestanti israeliani, e in particolare membri e sostenitori della comunità LGBTQ+, riguarda la presenza di politici come Avi Maoz nella coalizione di governo. Il fondatore del partito ultra-conservatore Noam è solito infatti descrivere le persone omosessuali come un abominio di natura.

Il leader spirituale della formazione, il rabbino Zvi Tau, sostiene l’esistenza di un collegamento diretto tra omosessualità, pedofilia e meticciato. Quest’ultimo è un altro grande tema nella retorica del partito, che rigetta la distinzione tra etnia e religione e propone l’immigrazione come mezzo per purificare lo stato di Israele da coloro che sono ritenuti “non abbastanza ebrei”. Grande preoccupazione è destata dal fatto che proprio a Maoz è stata affidata un’unità del ministero dell’Istruzione che si occupa della compilazione dei curricula scolastici.

Spuntano i cartelli “Palestinians lives matter”

Non da ultimo, sono spuntati altri cartelli al fianco alle stelle di Israele nei cortei pro-democrazia del 7 gennaio, quelli che recitavano “Palestinians lives matter”, in riferimento all’intenzione dichiarata dal governo Netanyahu ancor prima dell’insediamento ufficiale di espandere gli insediamenti nei territori della Cisgiordania occupata e delle Alture del Golan, ritenuti illegali da molte voci dell’opinione pubblica. Dal punto di vista dei dimostranti, la sensazione è che ulteriori allargamenti territoriali potrebbero allontanare la soluzione dei due Stati, che nella sua ultima formulazione era stata accolta con tiepido entusiasmo.  

Diverse sono le voci radicali che Netanyahu dovrà imbrigliare per sedare le proteste che agitano le piazze israeliane. La presenza di animi estremi ma necessari nel suo esecutivo rende difficile la missione anche per un premier esperto come lui. Il suo compito si complica ulteriormente se la posta in palio – la tenuta del governo – è per Netanyahu anche garanzia di immunità che lo scherma dal processo per corruzione e frode aperto contro di lui oramai tre anni fa. A questo proposito, nel dimostrare la necessità della riforma del giudiziario, che a sua detta negli ultimi anni è stato eccessivamente attivo e ha esercitato poteri che non gli erano mai stati formalmente assegnati per promuovere un agenda faziosa e di sinistra, il premier si è premurato di assicurare che gli effetti di tali riforme non avrebbero alcuna influenza sul suo stesso processo.

Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.