Quando nel giugno del 2016 il Regno Unito, con uno dei voti più contestati della storia della democrazia a suffragio universale, ha sancito l’approvazione popolare all’uscita del Paese dall’Unione Europea, in molti hanno definito quel voto la vera e propria apertura del vaso di Pandora, da cui, come nel mito ellenico, sarebbero fuoriusciti tutti i mali che per decenni il Regno aveva tentato di oscurare, sopprimere e in molti casi risolvere.È stato un voto traumatico e che ha diviso profondamente il popolo britannico, in cui non vi è stato solo lo scontro fra i favorevoli e contrari, ma i cui si sono scisse le molteplici anime che compongono quel caleidoscopio culturale che caratterizza la Gran Bretagna.Una di queste anime che si è di nuovo risvegliata dopo qualche anno di pacificazione a seguito del fallimento del referendum del 2014, è indubbiamente quella del popolo scozzese, e soprattutto della sua ala più intransigente.Il voto sul Brexit ha infatti scavato ancora di più il solco di ideali e di comunanza di intenti fra i due eterni rivali del Regno, consegnando l’immagine di un’Inghilterra profonda, rurale e industriale, convintamente a favore dell’uscita dall’Europa ed una Scozia in cui ovunque ha vinto in larga parte il “remain”. Naturalmente, da questa differenza di vedute, non poteva che scaturire l’ennesimo scontro fra i due poli della Gran Bretagna. Edimburgo ha da subito espresso profondo rammarico per il risultato del voto di giugno, chiedendo a gran voce di poter avviare da sola accordi di cooperazione con l’Unione Europea. Troppi profondi i legami con l’Europa per la Scozia, che ha da sempre visto l’Unione Europea come un faro per il possibile distacco finale da Londra nell’amalgama più grande dell’Europa. E troppo profondi i legami commerciali e industriali che legano la Scozia al continente europeo, soprattutto nell’estrazione degli idrocarburi. Dopo anni di stasi dovuta alla sconfitta del movimento indipendentista al referendum, oggi Brexit ha di nuovo scosso le coscienze della alte cariche scozzese e il primo ministro Nicola Sturgeon ha di nuovo parlato di referendum secessionista a seguito dalle decisione di uscire dall’Europa. La volontà del primo ministro scozzese è quella di indirlo addirittura già nelle prossime settimane, ed ha immediatamente messo in allarme il governo May. Secondo il partito indipendentista scozzese e secondo l’intero fronte del “Leave”, Brexit ha significato un cambiamento radicale delle condizioni con le quali il popolo scozzese aveva votato per il referendum del 2014, ed oggi i risultati potrebbero essere molto diversi alla luce dell’uscita dall’Europa. Dall’altra parte del fronte, il governo May è fermo nel non considerare qualsiasi proposta secessionista da parte della Scozia. Troppo ravvicinato il voto del 2014, che aveva per molti significato finalmente la pietra tombale per le spinte indipendentiste scozzesi. Troppo importante, ora che la Brexit sembra possa lentamente iniziare a procedere, la permanenza della Scozia e la compattezza del Regno Unito. Infine, è palese, c’è la ferma volontà da parte di Londra di evitare qualsiasi accensione di focolai indipendentisti in tutto il Regno. La stessa Irlanda del Nord votò, a parte alcune aree, in maggioranza per rimanere nell’Unione Europea, ed i problemi del rapporto con la confinante Irlanda, territorio Ue, hanno sollevato molte perplessità dalle parti di Belfast. Se la Scozia promuovesse ora, con un atto di forza, un referendum separatista utilizzando come pretesto il voto della Brexit, il rischio è che anche l’Ulster potrebbe chiedere maggiori garanzie nel rapporto con l’Unione Europea, soprattutto perché così fortemente legata all’Irlanda europea. Curiosamente, un appoggio inaspettato verso la strategia di Londra di negare validità a qualsiasi decisione in casa scozzese, giunge proprio dalla stessa Europa “tradita” dalla Brexit. Lo stesso ex presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ha affermato recentemente che Bruxelles non potrebbe accettare alcuna separazione dall’Inghilterra senza il consenso del governo del Regno, ed ha anzi paventato l’impossibilità di accordarsi con la Scozia ponendo come limite il Trattato di Lisbona. In tutto ciò, non soltanto pesano le incertezze sulle trattative tra Londra e Bruxelles per l’uscita dall’Ue, che già si preannunciano faticose e non prive di drammaticità, ma nello specifico, pesa la ferma volontà di molti Stati europei di non accogliere con gioia un eventuale referendum in Scozia, specialmente Belgio e Spagna, che vedrebbero nell’instaurazione di rapporti privilegiati con i separatisti scozzesi, un pericoloso messaggio di apprezzamento per i movimenti secessionisti che agitano i rispettivi Stati. La strada per gli indipendentisti scozzesi sembra essere di nuovo in salita.
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