Presto Aleppo sarà liberata. Si chiude una fase decisiva della guerra siriana, dal momento che la conquista della città da parte dell’esercito di Damasco pone fine alle speranze di un regime-change perseguito in maniera ossessiva dagli avversari di Assad. Questi ha ormai vinto la sua guerra, resta da capire chi ha perso.Tanti, infatti i suoi avversari, in Occidente e nel mondo arabo, ormai costretti ad accettare il fallimento di una strategia sanguinaria. Uno scacco soprattutto per l’Arabia Saudita e la Turchia, che di questo conflitto sono stati i principali attori regionali.E però, mentre Ankara compensa la sconfitta in Siria grazie a un nuovo rapporto con la Russia, foriero di nuove e forse più proficue opportunità, per l’Arabia Saudita di tratta di una sconfitta secca, che la porta sull’orlo del precipizio.La Casa Reale saudita ha investito miliardi di dollari nella diffusione dello jihadismo di marca wahabita. Un investimento a lungo termine, i cui profitti sono ancora di là da venire. La vittoria dei suoi manutengoli in Siria, invece, rappresentava per Ryad un’occasione più che unica di incassare subito un’area di influenza più che strategica per contenere l’ambito sciita che guarda a Teheran.Non è andata così. E nessuno compenserà Ryad per i miliardi di dollari buttati in questa guerra. Soldi usati per comprare mercenari in tutto il mondo, radicalizzati alla bisogna e gettati nel calderone siriano dopo un costoso addestramento negli appositi campi (per inciso, molti dell’Isis hanno fatto analogo percorso). Costi ai quali si aggiungono quelli della paga giornaliera (alta), della logistica e delle armi, comprate, quest’ultime, presso interessate aziende occidentali.Per fare un solo esempio, Joe Cox, la deputata laburista uccisa poco prima della Brexit, due giorni prima del suo assassinio aveva denunciato sulla sua pagina fb che l’Arabia Saudita, solo nel 2015, aveva acquistato dalla Gran Bretagna 6 bilioni di armamenti…Armamenti che sono serviti anche per la guerra in Yemen, dove Ryad appoggia il sovrano deposto Abd Rabbih Manṣūr Hadi contro il presunto usurpatore, Abdullah Saleh, e i ribelli houti, islamici di rito sciita, che lo sostengono in armi.Una guerra che avrebbe dovuto sancire l’egemonia anche militare di Ryad sugli Stati del Golfo, e che invece si è rivelata tutt’altro. Tanto che negli ultimi mesi i ribelli hanno addirittura bombardato in territorio saudita, cosa impensabile all’inizio del conflitto. Un’altra disfatta per le forze saudite…Questo rinnovato quanto disastroso attivismo bellico ha portato le casse di Ryad al lumicino. Anche perché nel frattempo essa ha dovuto fare i conti con il crollo del prezzo del petrolio, l’unica vera ricchezza del Paese.Un deprezzamento in parte voluto, dal momento che con questo calo, causato da una sovrapproduzione mondiale, ha messo fuori gioco la produzione di gas di scisto americana (creandosi però non pochi attriti col potente alleato). E ha procurato non poche difficoltà alla Russia, con la quale battaglia nel quadrante siriano e altrove.Ma non potendo incassare in Siria, dove ha palesemente perso, tutta questa strategia economico-energetica si è rivelata un bagno di sangue per Ryad, tanto che è dovuta correre ai ripari.Così la stabilizzazione del prezzo del petrolio ottenuta in questa settimana in sede Opec (attraverso un’intesa che limita la produzione mondiale), più che una vittoria dell’Arabia Saudita suona come un’altra sonora sconfitta.Costretta a raggiungere a tutti i costi un accordo sul punto, ha chiuso definitivamente la contesa petrolifera con la Russia, di fatto rinunciando a farla crollare economicamente (come volevano invece quei circoli internazionali ostili a Putin ai quali aveva fino ad allora obbedito). Ma se la resa alla Russia era nell’aria da tempo, molto più umiliante per Ryad è stato trovare un accordo anche con gli iraniani, il cui consenso all’intesa è stato ottenuto grazie a concessioni oltremodo vantaggiose per Teheran.Insomma, l’Arabia Saudita è in un momento di estrema debolezza. A tanto l’ha condotta la scelta scellerata di cercare in tutti i modi lo scontro frontale con l’Iran. Una strategia che doveva trovare compimento nel conflitto siriano e che sembrava vincente, stante che Ryad sembrava avere dalla sua l’establishement del mondo occidentale.Non è andata così. L’accordo sul nucleare iraniano è stato un punto di svolta in questa guerra strisciante tra sunniti e sciiti, rafforzando i secondi. L’intervento russo in Siria ha poi mosso definitivamente l’ago della bilancia del Medio Oriente, peraltro spostando alcuni degli alleati di Ryad verso il campo avverso (Egitto e Turchia). L’elezione di Trump, che aveva più volte espresso il suo favore all’intervento russo in Siria, ha rappresentato infine il colpo di grazia di una strategia suicida.Se l’Arabia Saudita ancora non è crollata sotto il peso della sua hubrys e delle perdite economico-finanziarie subite è perché è ancora il primo produttore mondiale di petrolio nonché un punto di equilibrio globale dal punto di vista geopolitico. Ma todo cambia, e anche in fretta. E Ryad, sicura della vittoria finale, non ha predisposto alcun piano alternativo. Rischia di precipitare nell’abisso.
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