La Russia? Ha “già perso geopoliticamente” la sua guerra in Ucraina e sta di fatto diventando uno stato vassallo della Cina. Lo scorso 14 maggio, Emmanuel Macron spiegava così, e con queste parole, il rapporto di forza in essere tra Pechino e Mosca, con quest’ultima che sarebbe diventata una perfetta ombra subordinata del Dragone. “La Russia ha di fatto avviato una forma di vassalalizzazione rispetto alla Cina. Ha perso l’accesso al Baltico, che per lei era fondamentale, e accelerato la decisione di Svezia e Finlandia di aderire alla Nato”, affermava il presidente francese, sottolineando che una situazione del genere “era impensabile” fino a qualche anno fa.
Le dichiarazioni del capo dell’Eliseo hanno generato la pronta risposta dei diretti interessati, desiderosi di presentare la loro partnership su un piano paritario e in un contesto di mutui vantaggi. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha sottolineato che le relazioni tra la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese sono quelle di due partner strategici, e che niente hanno a che fare con la dipendenza evocata da Macron.
Certo è che da quando, prima dello scoppio della guerra in Ucraina, Vladimir Putin è volato in Cina per incontrare Xi Jinping in occasione dei Giochi Olimpici Invernali, e stringere con lui un’ “amicizia senza limiti”, Mosca si è avvicinata sempre di più all’orbita di Pechino. E non viceversa, visto che tra le due nazioni quella ad annaspare in acque più movimentate coincide proprio con la Russia, esclusa dai mercati occidentali e alla ricerca di una nuova dimensione internazionale.
Putin ha quindi riabilitato la dimensione asiatica del suo Paese, cercando di convivere nella regione fianco a fianco con l’ingombrante Cina. Poco importa se Mosca e Pechino, separate da molteplici tematiche, hanno in comune la volontà di cambiare l’architettura del mondo, considerata a trazione occidentale; nell’ottica occidentale, la pragmatica intesa sino-russa, tanto più se presentata come un qualcosa di paritario, è pressoché impossibile da concepire. Come ha ben sintetizzato Macron, una delle due potenze deve essere vassalla dell’altra, in un perfetto gioco a somma zero. Ma le cose stanno veramente così?
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Equilibri e squilibri
“La Cina si accontenta semplicemente di monetizzare la sua crescente influenza geoeconomica sulla Russia garantendole sconti sulle esportazioni di idrocarburi e conquistando il suo mercato di consumo. Ma probabilmente è solo questione di tempo prima che Pechino richieda a Mosca maggiore lealtà politica per il suo aiuto nel mantenere a galla il governo di Putin”, ha scritto sull’Economist Alexander Gabuev, direttore del Carnegie Russia Eurasia Center.
Eppure, i diretti interessati, Xi e Putin, non danno la sensazione di essere due galli racchiusi nel solito pollaio. Al contrario, il presidente russo ha appena annunciato che incontrerà il suo omologo cinese (definito “una persona che fa molto per lo sviluppo delle relazioni e dei legami russo-cinesi”) in occasione del summit sulla Via della Seta, in programma oltre la Muraglia ad ottobre. “Molto presto avremo alcuni eventi e ci sarà un incontro con il presidente cinese”, ha detto ancora il capo del Cremlino durante una lezione ad un gruppo di studenti intitolata “Conversazioni su ciò che conta”. “Sono felice di chiamarlo amico – ha rivelato lo stesso Putin, secondo cui Xi lo considererebbe tale.
A parole e nei fatti espliciti, la sensazione è che tra Russia e Cina regni un perfetto equilibrio. Scavando in profondità è però impossibile non osservare il graduale rosicchiamento cinese nello spazio d’azione russo (vedi l’espansione di Pechino in Asia centrale, ex cortile di casa di Mosca).
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Vassallaggio o rapporto tra pari?
Emergono dunque due posizioni agli antipodi su come si stanno sviluppando i rapporti sino-russi. Accanto a chi sostiene che Mosca e Pechino si stiano muovendo su binari paralleli, troviamo chi parla di vassallaggio russo nei confronti della Cina. In mezzo ai due estremi troviamo analisti più cauti. Sono gli stessi che prendono in esame svariati fattori sostenendo che la Cina potrebbe effettivamente avere l’opportunità di trasformare la Russia in un suo vassallo, ma che al momento il Dragone non avrebbe ragioni convincenti per farlo.
In seguito allo scoppio del conflitto ucraino la cooperazione tra Putin e Xi è cresciuta in tutte le direzioni. Di pari passo, il Cremlino non nasconde il fatto di scommettere sul gigante asiatico nel confronto globale con l’Occidente, considerandolo un centro di potere alternativo con interessi e valori simili ai suoi. Il think tank Carnegie ha acceso i riflettori sul fatturato commerciale tra i due Paesi, che l’anno scorso ha raggiunto la cifra record di 190 miliardi di dollari, aumentando del 39% nel primo trimestre del 2023 rispetto allo stesso periodo del 2022.
Se questi sono i numeri, è corretto affermare che Pechino stia usando la sua leva economica, e la rottura della Russia con l’Occidente, per trasformare Mosca in un burattino compiacente? È presto per dirlo con certezza. Anche per quanto concerne la dipendenza economica russa nei confronti del Dragone. Già, perché dopo la crescita record dall’inizio della guerra, la quota della Cina nel commercio russo è pari a circa il 22%. Niente di eccezionale, ricordando che l’ex Impero di Mezzo è attualmente il principale partner commerciale di circa 120 Paesi, molti dei quali economicamente più dipendenti da essa rispetto alla Russia.
Altro aspetto rilevante: al netto di tutte le analisi sulla vassallaggio russo, Mosca non ha aderito al progetto di punta della Cina, la Belt and Road Initiative, (anche se su questo aspetto la convergenza non è mai mancata e potrebbe essere eliminata al summit di ottobre) né ha riconosciuto le rivendicazioni territoriali di Xi nel Mar Cinese Meridionale.
Cosa pensa la Cina della Russia
Per quale motivo la Cina non avrebbe alcuna intenzione di trasformare la Russia in un vero e proprio vassallo? Prendiamo la guerra in Ucraina. L’esperienza in prima fila di Mosca contro l’Occidente ha fornito e sta fornendo a Mosca diverse informazioni di prima mano sulla resistenza alle sanzioni, sul funzionamento delle armi occidentali e su quelle russe (una parte consistente delle armi cinesi viene acquistata dalla Russia o si è evoluta da prototipi russi e sovietici). Informazioni che la Cina non può ottenere da nessun altro, se non da Putin.
La partnership sino-russa consente a Xi di studiare come le sanzioni influenzano l’economia, quali metodi di elusione attuare, la risposta del sistema finanziario e la validità delle misure protettive. Si tratta di un aspetto rilevante, visto che a Pechino è diffusa l’idea che, presto o tardi, il blocco occidentale potrebbe inasprire i suoi rapporti con la Cina, fino ad una possibile guerra aperta.
In ogni caso, quando qualcuno parla di “Russia vassalla della Cina”, all’interno del Partito Comunita Cinese si attiva un senso di cautela, ritenendo che questa possa essere una tattica per creare un cuneo con il partner russo. Allo stesso tempo, ha scritto Nikkei Asian Review, il fatto che l’opinione pubblica definisca Mosca subordinata di Pechino conferma la sensazione che la Cina sia diventata una grande potenza. Al pari, o quasi, con gli Stati Uniti.
È per questo che Xi sta aumentando la sua influenza su Putin, facendo però attenzione che il capo del Cremlino non perda la faccia. Il rapporto sino-russo non è perfetto, ma gli interessi condivisi delle leadership di entrambi i Paesi – e la logica strategica del confronto con l’Occidente – creano, almeno per il momento, la sensazione che esista tra le due parti una solida base per una cooperazione tutto sommato quasi paritaria.