Negli ultimi mesi, le voci di una possibile guerra tra Israele e gli Hezbollah libanesi si fanno sempre più forti. Come abbiamo scritto altrove, Tel Aviv sta preparando gli Usa a un nuovo conflitto, che potrebbe comprendere non solo il Paese dei cedri, ma anche la Siria. L’obiettivo è piegare, una volta per tutte, il cosiddetto “asse della resistenza”.
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In questo scenario, quale ruolo avrà la Russia? Abbandonerà le milizie sciite con le quali sta combattendo contro le bandiere nere? Non sono domande da poco, soprattutto se si tiene conto che, in più di un’occasione, i caccia israeliani hanno potuto bombardare i depositi siriani senza che Mosca osasse dire alcunché.
Come riporta Foreign affairs, da mesi gli strateghi israeliani si chiedono: come risponderà Vladimir Putin in caso dovessimo attaccare Beirut? “Se gli scontri tra Israele ed Hezbollah dovessero interferire con gli interessi della Russia, Mosca farà in modo di ridurre la libertà d’azione di entrambe le parti per cercare di arrivare alla fine del conflitto”, scrive la rivista statunitense.
E anche l’alleato iraniano potrebbe prima o poi diventare un problema per Putin. Scrive Foreign Policy: “Il Cremlino vorrebbe circoscrivere l’aspirazione dell’Iran per l’egemonia regionale senza però affievolire le relazioni con Teheran, che rimane il suo più grande alleato regionale”.
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Ma non solo. La rivista americana ipotizza anche che Mosca potrebbe lasciare combattere gli Hezbollah e – quindi, anche l’Iran – contro Israele per fare in modo che entrambe la parti si indeboliscano, diventando così attori di secondo piano nella regione: “Il miglior risultato per il Cremlino sarebbe quindi una breve guerra dentro i confini del Libano che consenta sia ad Israele che ad Hezbollah di rivendicare la vittoria dopo essersi rivolti a Mosca per arrivare alla fine dei combattimenti”.
La guerra del 2006
L’ultimo conflitto tra lo Stato ebraico e il Partito di Dio risale a oltre dieci anni fa. I razzi Katyusha e colpi di mortaio sparati da Hezbollah colpiscono alcune postazioni israeliane oltre il confine. È un diversivo. Una pattuglia del movimento sciita, infatti, sta per tendere un agguato contro due Humvee che pattugliano il lato israeliano della rete di confine. I miliziani del Partito di Dio rapiscono due soldati – Ehud Goldawasser ed Eldad Regev – e, meno di ventiquattr’ore dopo, i caccia israeliani iniziano i bombardamenti contro l’aeroporto Rafiq Hariri di Beirut e – come scrive Gian Micalessin nel suo Hezbollah, il partito di Dio, del terrore e del welfare – “motovedette e corvette bloccano porti e coste. Altre bombe piovono sulle strade che collegano il Paese alla Siria, sbriciolano i ponti, interrompono le principali arterie del sud”. Parafrasando le parole del capo di Stato maggiore di Tel Aviv, Dan HalutzNulla, niente è più al sicuro in Libano.
Seguono bombardamenti incessanti. Scrive Micalessin: “Le vittime delle incursioni israeliane continuate senza sosta per quattro giorni sono ormai oltre un centinaio”. Sono, quelli dell’estate del 2006, alcuni tra i giorni più cupi della storia del Libano. È una guerra combattuta da Israele contro il Partito di Dio, dove entrambi, alla fine, si credono vincitori. Nell’ottobre del 2006, il primo ministro Ehud Olmert dirà alla Knesset, il parlamento israeliano: “Come sarebbe a dire ‘perso’? Abbiamo distrutto mezzo Libano. Non vi basta?”. Anche Hezbollah è sicuro di aver vinto. Se non sul piano militare, almeno su quello della propaganda. E chi ha vissuto quei giorni sulla propria pelle sembra dar ragione ad Hassan Nasrallah, il leader del Partito di Dio.
“Ricostruirò la mia casa insieme ai miei figli. Israele può anche tornare fra dieci anni e distruggere tutto di nuovo: la ricostruirò un’altra volta. Hezbollah ha vinto. Nel 1967 gli israeliani sono riusciti a sconfiggere tutti i Paesi arabi in sei giorni, ma questa volta, in un mese, non sono riusciti a schiacciare la resistenza”
(Hajj Ali Dakrub, abitante di Srifa, Libano meridionale)
Dal 2006, però, sono cambiate parecchie cose: Hezbollah è diventato sempre più importante nella vita politica e militare libanese, soprattutto dopo aver contribuito all’elezione alla presidenza della Repubblica del cristiano Michel Aoun. Attualmente, il Partito di Dio conta 12 seggi all’assemblea nazionale (il parlamento monocamerale libanese), due ministri e collabora sempre più attivamente con le forze armate di Beirut, come in occasione della cacciata dell’Isis dai monti di Jurud, lo scorso agosto. Secondo Avigdor Liberman, ministro della Difesa israeliano, “l’esercito libanese sarebbe diventato parte integrante del network di Hezbollah”.
Il Partito di Dio non è più solamente una milizia, ma un vero e proprio esercito, come ha scritto anche Haaretz a luglio dell’anno scorso. Hezbollah ha infatti potuto accrescere le proprie capacità belliche durante la guerra in Siria. Ma non solo: avrebbe a disposizione più di centomila missili da scagliare contro Israele. Un arsenale immenso che, per il momento, funge da deterrente per una nuova guerra. Ma che domani potrebbe costare la vita a migliaia di israeliani.