Nelle ultime settimane il governo di Mosca ha compiuto significativi passi in avanti per concretizzare un obiettivo che da tempo Vladimir Putin e i suoi più stretti collaboratori avevano indicato come fondamentale, ovvero il graduale distaccamento dal dollaro degli scambi commerciali della Federazione Russa.

Come segnala Italia Oggi, “entro l’ anno il governo della Federazione si doterà di un piano per la de-dollarizzazione dell’ economia nazionale. Non si mettono al bando i verdoni, sia chiaro, ma la strategia di Mosca è pronta a cambiare passo: dove possibile si promuoveranno gli scambi commerciali internazionali in monete nazionali, si vuole poi stimolare l’ utilizzo del rublo e diversificare le riserve del Paese. A questo piano sta lavorando il ministero delle finanze. Per il viceministro Alexey Moiseev, che sta coordinando le relazioni tra il suo dicastero guidato da Anton Siluanov, il Ministero dello Sviluppo Economico di Maksim Oreshkin e la Banca centrale della governatrice Elvira Nabiullina, entro la fine del 2018 si dovrebbero raggiungere risultati concreti”.





Tutti gli interessati hanno tenuto a ribadire, nei loro interventi pubblici, come la mossa non corrisponda a una reazione alle sanzioni commerciali imposte dall’amministrazione Trump ma sia piuttosto dovuta alla volontà russa di esercitare un maggiore controllo sui flussi finanziari e sulla loro denominazione, contribuendo a inserire il rublo in circuiti internazionali piuttosto anemici della divisa di Mosca a causa delle sanzioni occidentali.

La Russia riduce la sua esposizione col dollaro

“Pensiamo alla creazione di un complesso di misure per poter utilizzare altre valute”, aveva spiegato il ministro Oreshkin, molto più conveniente, “oppure di passare al trading in valute nazionali”. Come segnala Bloombergla Russia ha già iniziato la dedollarizzazione graduale dei depositi denominati in valuta estera detenuti dalla Banca Centrale, aumentando in maniera significativa quelli denominati in euro e yuan.

Al tempo stesso, una diminuzione si è manifestata anche nella percentuale di titoli di debito russo denominati in dollari, che pur minore rispetto al 68% del dicembre 2015 rimane comunque attestata a un considerevole 53%.

Il nodo esportazioni

Il settore delle esportazioni rimane, tuttavia, quello decisivo per determinare la potenzialità della Russia in caso di progressivo sganciamento del dollaro. Come ricorda il Financial Timesla modesta dimensione del mercato interno russo e l’insufficiente diversificazione economica rendono Mosca tuttora oltremodo dipendente dall’export di armi, materie prime energetiche e derrate alimentari per sostenere il proprio Pil e la tenuta del suo sistema economico.

La natura degli acquirenti dei prodotti russi determinerà, in questo contesto, il destino della politica anti-dollaro della Russia, che ha chiuso il 2017 con un surplus commerciale di 115 miliardi di dollari. Oltre ai Paesi che già puntano a chiudere le porte alla valuta statunitense (Turchia, Iran, Venezuela, forse anche l’Arabia Saudita) la Russia spera in un ammorbidimento dell’Unione Europea che porti a riconsiderare il ruolo dell’euro e, soprattutto, conta su un fattore oramai divenuto imprescindibile per la sua azione globale: il sostegno della Cina.

Circa un anno fa il governo di Pechino ha ufficializzato la sua decisione di lanciare i cosiddetti “petro-yuan“, ovvero una serie di contratti futures sull’oro nero denominati nella divisa cinese, maggiore concretizzazione dell’ipotesi di “un’evoluzione del sistema in grado di superare l’eccessiva dominazione da parte di un numero limitato di valute di riserva” ventilata da Vladimir Putin al summit Brics del 2017.

I petro-yuan tirano la volata alle mosse di Mosca

Nonostante le potenziali divergenze, Putin e Xi Jinping hanno dimostrato unità d’intenti al recente summit di Vladivostok per quanto riguarda la limitazione dello strapotere del dollaro negli scambi valutari globali. “Molti futures sul petrolio, denominati in yuan, sono stati lanciati sul mercato di Shangai alla fine di marzo 2018 ed hanno rapidamente realizzato scambi per 62.500 contratti; e quindi per un valore nozionale di 27 miliardi di yuan, ovvero 4 miliardi di dollari”, si legge su Formiche

Il colpo decisivo a favore dei petro-yuan potrebbe essere la quotazione in Oriente del gigante petrolifero saudita Aramco, ultimamente molto attiva nel mercato cinese. Al tempo stesso, la Russia potrà vedere la sua strategia di diversificazione valutaria decollare solo se saranno i giganti dell’energia, come Gazprom e Rosneft, a cavalcare per primi l’iniziativa. E lo yuan potrebbe aprire la strada al rublo: gli investimenti cinesi nella “Nuova Via della Seta” ricordano che oramai non è più solo il dollaro il motore dell’economia globale.

Ma la Russia, anche nella sua politica più ambiziosa, non può prescindere dal potente e ingombrante alleato orientale. Questo è il dilemma più grande per il Paese guidato da Vladimir Putin: la sfida al rivale numero uno passa attraverso l’accordo con una Cina enormemente più forte sotto il profilo economico, politico e demografico. E la conquista di un maggior spazio di manovra nei confronti di Washington potrebbe aver come conseguenza una stretta nell’abbraccio con Pechino che potrebbe avere conseguenze di lungo termine controproducenti per una Russia che dalla Siberia all’Asia Centrale non vede certamente la Cina come il vicino più benvoluto. Ma la geopolitica odierna è il regno dell’incertezza, così come lo è la sfera dell’economia globale. Quello tra rischio calcolato e azzardo è un crinale molto sottile.

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