Dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, i “non sapevo”, i “non credevo”, i “non pensavo” sono gli argomenti principali di tutti i politici che avevano ottimi rapporti con il presidente Vladimir Putin, anche fino al 23 febbraio. Il mea culpa del presidente tedesco Frank Walter Steinmeier è tipico di questa tendenza. C’è solo un ex capo di Stato che non chiede scusa, come suo consueto: Barack Obama, noto per non ammettere mai una colpa.

Durante un evento a Chicago, l’ex inquilino della Casa Bianca, afferma che il presidente russo sia “cambiato”, da quando lo aveva conosciuto e tende a scaricare la colpa dell’appeasement sugli alleati europei. Dopo l’annessione russa della Crimea, nel febbraio 2014, avrebbe voluto imporre sanzioni più dure, non fosse stato per l’atteggiamento remissivo dei governi del Vecchio Continente. “Perché nel 2014 ho dovuto spesso trascinarli, mentre loro scalpitavano e urlavano, per rispondere in un modo degno di chi si definisce una democrazia occidentale”.

Il Wall Street Journal, giustamente, ripercorre la storia di Obama e constata che il più remissivo, scalciante e urlante contro sanzioni o politiche di deterrenza seria, era proprio lui. Oltre agli episodi ricordati dall’autorevole quotidiano economico, vogliamo ricordare anche che, già a partire dal 2008, nel pieno della tensione con la Russia per l’invasione della Georgia, era Obama il candidato della pace, contro il “guerrafondaio” John McCain. Il candidato repubblicano chiedeva un atteggiamento più fermo, da nuova guerra fredda, mentre il democratico prometteva un “reset e restart” delle relazioni con Mosca. Stesso discorso nel 2012, nelle elezioni del secondo mandato: Obama aveva impostato la sua campagna elettorale sulla promessa di un appeasement ulteriore con la Russia. Mentre il suo rivale Mitt Romney la considerava già “la più grave minaccia geopolitica per gli Stati Uniti”, Obama lo rimproverava dandogli del “retrò”, con “una visione politica da anni Ottanta”. In quegli stessi giorni, in un fuori onda ormai noto, a Seul, invitava l’allora presidente russo Dmitrij Medvedev a non fare troppe pressioni sulla questione dello scudo anti-missile, almeno fino alle elezioni, perché poi, una volta confermato alla Casa Bianca, il presidente prometteva “più flessibilità”, dunque più concessioni alla controparte.

Oltre che nelle promesse, l’appeasement con la Russia c’è stato nei fatti. La risposta dell’amministrazione democratica all’annessione russa della Crimea è stata debolissima. Di fronte al primo caso di un Paese europeo tecnicamente invaso, anche se in quel caso non si sparò un colpo, Obama rispose con sanzioni contro singoli individui (e neppure membri della cerchia del potere di Putin). Perché mai gli alleati europei avrebbero dovuto esporsi maggiormente? Tanto più che la stessa amministrazione americana non aveva fatto nulla per prevenire l’annessione della Crimea. Nella lunga telefonata di Obama a Putin, avvenuta quando l’occupazione militare russa della Crimea era ormai un fatto compiuto, in novanta minuti il presidente americano trovò il tempo di dire alla controparte di pentirsi e di trovare il modo di fermare l’invasione, che era una chiara violazione del diritto internazionale e che non sarebbe mai stata riconosciuta dagli Usa. Putin ne prese atto e portò a termine l’operazione con il referendum, organizzato in tempi record, per sancire anche formalmente la separazione della Crimea dall’Ucraina (un anno dopo sarebbe stata annessa alla Russia). Fra il maggio 2014 e il febbraio 2015, quando l’Ucraina era in guerra con il separatismo filo-russo del Donbass, Obama rifiutò di mandare aiuti militari. Non li mandò neppure quando il conflitto venne congelato con il duplice accordo di Minsk.

Infine ci fu la Siria. Già all’inizio del suo secondo mandato, Obama non rispettò la linea rossa che lui stesso aveva fissato. Aveva detto che, se Assad avesse usato le armi chimiche contro il suo popolo, gli Usa sarebbero intervenuti: quella linea rossa non avrebbe dovuto essere passata. Il 21 agosto 2013 armi chimiche vennero effettivamente lanciate a Ghouta, l’intelligence e i media attribuirono subito la colpa al regime di Assad e Obama fece propria quella tesi. Ma non intervenne. Due anni dopo (quindi un anno dopo la Crimea) ad intervenire nel martoriato Paese mediorientale, che allora era alle prese anche con l’ascesa dello Stato Islamico, fu invece proprio la Russia. Reazione americana: nessuna. Anzi, sempre a proposito di Medio Oriente, l’amministrazione democratica, d’accordo con gli alleati europei, coinvolse Mosca per trovare un accordo con l’Iran sul programma nucleare: fermare le componenti più sospette del programma (fra cui l’arricchimento dell’uranio) in cambio di un graduale ritiro delle sanzioni. Obama fu così il primo ad avallare la politica russa sull’Iran.

In che modo gli alleati europei avrebbero dovuto essere più realisti del re, sulla Russia? Se Obama stesso non voleva punire Mosca, perché mai avrebbero dovuto farlo i suoi alleati più deboli militarmente ed economicamente più esposti?

Oltre a tutto, non solo nei rapporti diretti, ma anche nella postura nucleare e nella presenza militare all’estero, Obama dimostrò una maggior debolezza nei confronti dei suoi rivali strategici. Nel 2009, in un celebre discorso a Praga, il presidente democratico auspicò un “mondo libero da armi atomiche”. Nel 2010 il presidente americano firmò con l’allora presidente russo Medvedev il New Start, che limitava a 1550 testate nucleari strategiche l’arsenale delle due superpotenze. Nei suoi due mandati, gli Usa hanno ridotto unilateralmente il loro arsenale nucleare (sia tattico che strategico) di 1255 testate. La dottrina militare statunitense sull’uso delle armi nucleari, già molto prudente, con la Nuclear Posture Review del 2010 veniva ulteriormente limitata: gli Usa vietavano il loro impiego contro eventuali nemici privi di armi nucleari, o firmatari del Trattato di Non Proliferazione, in ogni circostanza, anche in caso di attacco diretto agli Stati Uniti. Il disarmo americano ha permesso ai russi di acquisire un vantaggio e di sviluppare anche nuove armi a raggio intermedio, in violazione del trattato Inf del 1987, senza subire alcuna reazione da parte dell’amministrazione Obama. Solo il suo successore Trump reagì, nel 2018, ritirandosi dal trattato. Oggi un consigliere di Lavrov e Putin, quale Sergej Karaganov, dice al Corriere della Sera “So che in certe circostanze, ufficialmente, gli Stati Uniti potrebbero usare armi nucleari per la difesa dell’Europa. C’è un 1% di possibilità che questo accada, quindi dobbiamo stare attenti. Ma se un presidente degli Stati Uniti prendesse una simile decisione, sarebbe un folle”. In sintesi: i russi non credono più nel deterrente nucleare degli Usa. E anche questo lo dobbiamo alla politica di Obama, di cui l’amministrazione Biden è oggi la diretta continuatrice.

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