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L’ultima resistenza ai talebani si è delineata, quasi da subito, nella valle del Panjshir, i cui abitanti, storicamente, si sono sempre opposti in armi sia agli “studenti di Dio”, sia alle forze di invasione sovietiche. La valle è stata la culla, infatti, di Ahmad Shah Massoud, il “Leone del Panjshir” che prima è stato uno dei capi della guerriglia contro l’Armata Rossa e poi ha strenuamente combattuto i talebani, sino alla sua morte avvenuta il 9 settembre del 2001. Nella valle vivono afghani di etnia tagika: fattore da tenere in considerazione per la disamina che stiamo per effettuare.

I capi dell’attuale resistenza al regime dei talebani sono il figlio di Massoud, Ahmad, e Amrullah Saleh, ex vice presidente afghano, a capo dei servizi segreti dal 2004 al 2010, e già combattente, insieme al generale Abdul Rashid Dostum, nell’Alleanza del Nord.

Attualmente la resistenza in Panjshir sembra avere i giorni contati. Lunedì i talebani hanno rivendicato la vittoria nell’ultima parte dell’Afghanistan che ancora resiste al loro dominio, dichiarando che la cattura della valle e completando così la conquista del Paese.

Le immagini sui social network li mostrano davanti al cancello del complesso del governatore provinciale del Panjshir dopo giorni di combattimenti contro il Fronte di Resistenza Nazionale dell’Afghanistan (Nrfa). La propaganda talebana ha anche mostrato immagini del mausoleo di Ahmad Shah passato sotto loro controllo, mentre sembra che la valle, sostanzialmente, sia stata quasi del tutto conquistata e la resistenza confinata alle cime della montagne, da dove Massoud continua a lanciare il suo guanto di sfida.

Le notizie che ci arrivano dal Panjshir sono frammentarie e spesso è quasi impossibile che trovino conferma. Possiamo però cercare di ricostruire quanto è accaduto, e sta accadendo, per mettere in luce il “piccolo grande gioco” che si sta delineando nel nuovo Afghanistan talebano.

La resistenza del Nrfa si è organizzata, grossomodo, intorno a due nuclei: i fedeli di Massoud e milizie di “sbandati” dell’ex esercito regolare afghano (Ana). Queste ultime, arroccatesi nel Panjshir, spesso e volentieri hanno operato in modo del tutto autonomo rispetto alle forze del figlio del “Leone del Panjshir”.

Il Tagikistan, che ha un confine lungo circa 1300 chilometri con l’Afghanistan, sembra avere un qualche tipo di ruolo in questa ultima resistenza. L’ex presidente Ashraf Ghani, ad esempio, ha preso la via di Dushanbe nella sua fuga da Kabul, ma risulta che anche dei cittadini tagiki abbiano attraversato il confine per unirsi alla lotta contro i talebani. Questa solidarietà sottolinea le strette relazioni che esistono a livello locale tra le comunità nel nord dell’Afghanistan e nel sud del Tagikistan.

La valle del Panjshir, come già accennato, è una regione etnicamente diversificata che ospita una vasta popolazione di etnia tagika, pari a circa il 25%. Questa connessione etnica ha stimolato il sostegno di parti della società tagika che vogliono aiutare chi vive oltre confine. In una recente lettera aperta indirizzata al presidente del Tagikistan Emomali Rahmon di un gruppo di cittadini di Kulob, una città nella parte meridionale del Paese a circa trenta miglia dal confine con l’Afghanistan, è stato chiesto il permesso di unirsi alle milizie anti-talebane che combattono nella valle del Panshir. Sembra che circa 1800 uomini siano disposti a prendere le armi e contrastare i talebani.

Ufficialmente Dushanbe non sta appoggiando la resistenza, e ha ricordato che chi dovesse combattere in Panjshir commetterà un crimine. Nonostante le dure prese di posizione verso questa iniziativa, il governo tagiko non è intenzionato, per il momento, a concedere riconoscimento internazionale ai talebani: il presidente Rahmon ha infatti detto, in una nota ufficiale, che il Tagikistan non riconoscerà un governo talebano che non includa rappresentanti di gruppi minoritari, riferendosi specificatamente alla minoranza tagika.

Ufficiosamente le cose, però, potrebbero essere molto diverse. Nei giorni scorsi, in particolare in quelli immediatamente successivi alla caduta di Kabul e all’inizio della resistenza in Panjshir, alcune fonti non confermate hanno segnalato l’arrivo di elicotteri delle forze armate tagike nella valle carichi di rifornimenti. Ora sembra che questi voli clandestini siano terminati, e dietro questa decisione potrebbe esserci lo zampino di Mosca: la Russia sembra infatti intenzionata a riconoscere il regime dei talebani – insieme alla Cina e al Pakistan – pur avendo un atteggiamento molto cauto: il Cremlino teme un possibile riacutizzarsi del jihad con un possibile “effetto domino” nel suo estero vicino in Asia Centrale, rappresentato proprio dal Tagikistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Turkmenistan e Kazakistan.

Mosca pertanto, per cercare di non irritare i talebani e poter avere maggiore influenza nel nuovo Afghanistan proprio in funzione al contrasto al terrorismo e ai movimenti insurrezionali, potrebbe aver intimato a Dushanbe di cessare il sostegno alla resistenza in Pajshir. Il Tagikistan nega fermamente di aver inviato aiuti, e anche lo stesso Fronte di Resistenza smentisce la fornitura di armi e munizioni, nel frattempo, però, si segnala che Amrullah Saleh possa aver trovato rifugio proprio nel Paese, da dove potrebbe continuare a organizzare la, sempre più sola, resistenza.

Sul fronte opposto, quello talebano, il contrasto ai “ribelli” di Massoud e Saleh è stato aiutato dal Pakistan. Sappiamo che sabato scorso, il capo dell’intelligence pakistana (l’Isi), il generale Faiz Hameed, è volato a Kabul. Non è chiaro quale sia il motivo della visita, ma fonti pakistane hanno detto ad al-Arabiya che Hameed potrebbe aiutare i talebani a riorganizzare l’esercito afghano. Sempre il network emiratino afferma che Islamabad abbia fornito supporto diretti ai talebani nella loro offensiva in Panjshir. In particolare, come afferma anche Cnn-News18, le forze speciali talebane avrebbero usufruito di elicotteri e droni pakistani.

Si sta delineando un fronte internazionale, un nuovo piccolo “grande gioco”, che ha il suo cuore – per il momento – nel Panjshir. Anche l’Iran, infatti, che negli ultimi anni ha cinicamente supportato i talebani in chiave anti-Usa, ora sta sollevando proteste proprio per quanto riguarda il coinvolgimento del Pakistan: dapprima per il blocco della valle ribelle, chiedendo negoziati, poi, ha condannato apertamente il supporto di Islamabad per bocca del portavoce del Ministero degli Affari Esteri, Saeed Khatibzadeh, che ha affermato che “condanniamo gli attacchi con la massima fermezza… e l’ingerenza straniera…. deve essere indagata”.

La resistenza in Panjshir ha scoperto ulteriormente le carte degli interessi internazionali che passano per l’Afghanistan e che non riguardano solo l’accesso alle sue preziose risorse minerarie, ma anche il controllo di un Paese geograficamente posto in una posizione strategica nel cuore dell’Asia Centrale, in un momento in cui le potenze globali stanno lottando nuovamente per ottenere l’egemonia economico/commerciale.

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