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Circa trecentomila persone, secondo gli organizzatori, hanno preso parte ad una gigantesca manifestazione, svoltasi a Praga, per contestare il primo ministro Andrej Babis, del partito centrista Ano. L’evento si è svolto alla vigilia del trentesimo anniversario della Rivoluzione di Velluto che, nel 1989, provocò il crollo del regime comunista in Cecoslovacchia.

L’affluenza è particolarmente significativa se si tiene conto che la Repubblica Ceca ha circa dieci milioni e settecentomila abitanti e che le stime della polizia hanno attestato la partecipazione di circa duecentomila persone. I manifestanti hanno chiesto ai politici del Paese di essere privi di conflitti d’interesse e di rispettare le leggi ed istituzioni della nazione. Un’inchiesta della Commissione Europea ha definito Babis come afflitto da un conflitto di interesse essendo, al tempo stesso, politico ed imprenditore.

Una contestazione serrata

La manifestazione di Praga è stata organizzata dall’associazione Million Moments for Democracy, che ha chiesto a Babis di dimettersi entro fine anno oppure di tagliare tutti i rapporti con le sue aziende. La folla ha anche contestato il presidente Milos Zeman, alleato di Babis e noto per le sue posizioni populiste ed euroscettiche. Il primo ministro è stato oggetto di un’indagine che mirava a dimostrare che avesse alterato, più di dieci anni fa fa ed insieme ai membri della sua famiglia, la proprietà di una fattoria e di un centro convenzioni per ricevere dei sussidi europei.

Nel mese di settembre il procuratore di Praga ha deciso di sospendere l’investigazione e di far cadere le accuse di frode, una mossa che ha generato un forte turbamento politico nel Paese ed oggetto di contestazioni. Tanto Zeman quanto Babis hanno fatto appello alla propria popolarità per sminuire l’importanza della manifestazione di Praga: il movimento Ano, infatti, continua ad essere il più votato della Repubblica Ceca, secondo gli istituti demoscopici, che gli attribuiscono più del 30 per cento dei consensi.

Le prospettive

I movimenti di protesta in diversi Paesi Paesi dell’Europa Centrale, dalla Repubblica Ceca alla Polonia passando per l’Ungheria, non sono ancora riusciti, malgrado la loro vocalità, a rovesciare gli esecutivi sovranisti e populisti della regione. Le consultazioni legislative nazionali hanno infatti premiato, in più occasioni, i partiti conservatori al potere, ad esempio nelle recenti elezioni nazionali polacche. Qualche crepa si è invece aperta in Slovacchia, dove la progressista Zuzana Caputova si è imposta agli scrutini presidenziali. Il rischio, per i dimostranti, è che il successo delle loro manifestazioni si esaurisca nella piazza dove queste avvengono e non si riesca a trasformare in consenso elettorale duraturo. La chiave di volta per uscire dall’impasse potrebbe essere stata trovata in Ungheria: nei comizi elettorali locali, infatti, l’intera opposizione si è coalizzata dietro ad un candidato comune infliggendo diverse sconfitte a Fidesz, il movimento del primo ministro Viktor Orban.

Su tutte ha pesato quella di Budapest, molto importante dal punto di vista simbolico e politico. Questo modello, però, sarà però più difficile ripetere nel momento del voto nazionale: gli interessi confliggenti dei diversi schieramenti potrebbero essere difficilmente assimilabili. Il futuro politico dell’Europa Centrale, almeno per il momento, continua ad essere saldamente in mani sovraniste e bisognerà probabilmente attendere ancora del tempo prima che qualcosa possa cambiare.

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