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Un perfetto avamposto collocato a metà strada tra Medio Oriente e Asia, per di più dotato di uno sbocco sul mare e situato a pochi passi da due dei Paesi più dinamici del mondo: India e Cina. Il Pakistan è corteggiato per le sue caratteristiche geografiche, le stesse che lo rendono geopoliticamente allettante per tutte le potenze che intendono tutelare i propri interessi nella regione. Ma è anche considerato poco affidabile per la sua volontà, o meglio necessità, di giocare su più fronti diametralmente opposti – quello americano e quello cinese – e di mettere in atto politiche ambigue nei confronti del radicalismo islamico.

Per anni gli Stati Uniti hanno rivestito il Pakistan dell’onore di essere uno dei principali alleati della Nato durante il conflitto afghano. Peccato che Islamabad, al tempo stesso, abbia flirtato a più riprese con il mondo di quello stesso terrorismo islamico che avrebbe dovuto contribuire a combattere. E quando la relazione tra Islamabad e Washington si è fatta più complicata, il Pakistan ha riannodato con forza legami strategici a tutto campo con la Repubblica Popolare.

Pakistan-Cina, la relazione speciale

Il neocostituito Pakistan, dopo l’indipendenza dall’Impero Britannico nel 1947, si ritrovò di fronte alla necessità di sostenere una visione politica in grado di stabilizzare le tensioni ai suoi confini. Una prima mossa fondamentale fu la pacificazione al confine afghano. L’elevatissima importanza strategica delle impervie aree di confine con l’Afghanistan, già ritenute cruciali per la geopolitica dell’Impero Britannico nel corso del “Grande Gioco“, il confronto politico-diplomatico con la Russia zarista in Asia centrale sviluppatosi nel corso del XIX secolo. Le problematiche nella definizione dei confini tra Pakistan e Afghanistan e dei diritti di sovranità sulle importanti passi e attraversamenti decisivi per il controllo delle impervie regioni montuose che dividono i due Paesi, tra cui il passo Khyber ritenuto storicamente una via d’accesso di primaria importanza.

Risale agli anni successivi all’indipendenza anche la costituzione del rapporto sinergico maggiormente significativo per i governi succedutisi dal 1947 a oggi a Karachi, Rawalpindi e Islamabad: l’amicizia tra il Pakistan e la Repubblica Popolare Cinese, da sempre ritenuto dal primo il perno della propria strategia geopolitica e dalla seconda un punto di riferimento di primissimo piano. La comune rivalità strategica con l’India spinse Pakistan e Cina verso una progressiva convergenza bilaterale a cavallo tra la fine degli Anni Cinquanta e l’inizio degli Anni Sessanta, quando giunse a conclusione positiva l’unico contenzioso di confine potenzialmente in grado di incrinare i rapporti, ovverosia la questione sulla sovranità della regione dello Shaksgam, nell’area del Kashmir, che il Pakistan riconobbe alla Cina nel 1963

La cooperazione militare sino-pakistana si rafforzò nei primi Anni Sessanta: la Repubblica Popolare, dopo il distacco dall’Unione Sovietica, necessitava di consolidare un’alleanza strategica importante per rompere il suo isolamento internazionale e avviò un’ampia campagna d’equipaggiamento delle forze armate pakistane a partire dal 1962. Fu questo l’embrione di un asse che si è andato via via consolidando con l’ascesa del Dragone a grade economia del pianeta, ma che ebbe già negli scorsi decenni picchi non secondari: ad esempio negli Anni Novanta l’alleanza con la Cina fu determinante per sviluppare in maniera completa il programma nucleare militare del Pakistan, che ebbe sia l’occasione di beneficiare degli investimenti della Repubblica Popolare nella costruzione di infrastrutture ed impianti per lo sviluppo delle sue ambizioni atomiche che di acquistare dalla Corea del Nord tecnologia missilistica avanzata di origine cinese

La relazione sino-pakistana

Negli ultimi anni, di pari passo con il raffreddamento dei legami con Washington, ha preso forma una solida relazione sino-pakistana. Perché Islamabad e Pechino, apparentemente così diversi tra loro, senza affinità culturali o etniche, avrebbero dovuto stringere un patto?

Nei fatti, tra Cina e Pakistan si è prodotta una convergenza multilivello dettata da numerosi fattori di ordine tattico e strategico: in primo luogo, ha pesato la volontà di Pechino di costituire una sfera di influenza autonoma volta a veicolare la sua proiezione geopolitica; in secondo luogo, la delicata situazione in cui il Pakistan si è venuto a trovare dopo l’intervento statunitense in Afghanistan ha spinto prima il generale Pervez Musharraf e poi il premier Nawaz Sharif ad approfondire i legami con la Repubblica Popolare; infine, il rafforzamento della sintonia sino-pakistana è stato incentivato dallo slittamento del baricentro geopolitico ed economico dell’ordine internazionale verso l’area indo-pacifica.

In The China-Pakistan Axis: Asia’s New Geopolitics, il saggista britannico Andrew Small ha indagato i profondi legami che si sono venuti a creare nel corso del tempo tra Cina e Pakistan e hanno portato alla definizione di quella che Christophe Jaffrelot, direttore del centro studi della Grande Ècole Sciences Po di Parigi, ha definito come “una delle più resilienti e paradossali relazioni bilaterali dell’epoca post-coloniale […] costituitasi nell’arco di mezzo secolo al di là delle divisioni ideologiche”.

Da quando, nel 2013, il presidente cinese Xi Jinping ha presentato al mondo intero il mastodontico progetto della Nuova Via della Seta, la Cina ha pensato bene di puntare tutto sulle relazioni win win, ovvero relazioni capaci teoricamente di fornire benefici reciproci a soggetti coinvolti. Detto in altre parole, l’alleanza sino-pakistana si fonda su necessità ben differenti: Islamabad ha bisogno di finanziatori e finanziamenti per modernizzare il Paese, mentre Pechino necessità di alleati strategici non solo per oliare la Via della Seta, ma anche per rispondere colpo su colpo al risiko americano nel continente asiatico. Il Pakistan è un ottimo jolly per la Cina, visto che averlo a portata di mano consente al Dragone di spiazzare tanto gli Stati Uniti quanto l’India, acerrimo rivale sia dei cinesi che dei pakistani.

Un rischio da correre

I riflettori cinesi sono puntati sulla città pakistana di Gwadar, sul Golfo dell’Oman. Il Corridoio Economico Cina-Pakistan, il progetto con il quale Pechino ha incluso Islamabad nella Nuova Via della Seta come uno dei Paesi più strategici insieme a altri player come Iran e Turchia, è stato ideato allo scopo di collegare lo Xinjiang cinese al porto di Gwadar. L’obiettivo? Offrire uno sbocco sul mare (Mar Arabico) al Dragone. Come se non bastasse questo porto è stato affittato dalla Cina fino al 2059.

Stati Uniti e India sono preoccupati che la controparte cinese non si limiti a considerare il Pakistan un partner meramente commerciale, ma che possa sfruttarlo anche per fini militari. E se il porto dovesse diventare una base navale cinese? Al momento la Cina controlla una sola base straniera, quella di Djibouti. Eppure Washington e Nuova Delhi sono preoccupate. Bisogna tuttavia dare un’occhiata anche all’altra faccia della medaglia.

Se è vero che i potenziali vantaggi cinesi derivanti dalle relazioni sino-pakistane sono ingenti, è altrettanto vero che Pechino deve fare i conti con il rischio di perdere tutto o tanto. Lo scoppio delle ostilità tra Islamabad e l’acerrimo nemico indiano, ipotetici scontri sociali interni, l’improvvisa ascesa del terrorismo islamico, il ritorno di fiamma degli Stati Uniti: questi sono tutti fattori che non lasciano dormire sogni tranquilli al Dragone.

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