Il Caucaso meridionale sta vivendo un momento di revival geopolitico. Conflitti regionali, competizione tra grandi potenze e sviluppi energetici stanno incoraggiando un numero crescente di politici e politologi ad approfondire la loro conoscenze in merito a questa regione strategica.
Quando si parla di geopolitica della Transcaucasia, la questione karabakha è indubbiamente il tema scottante per eccellenza. Due guerre sono state combattute per il Karabakh dagli anni Novanta ad oggi e un’operazione militare speciale azerbaigiana per riconquistare gli ultimi territori controllati dai separatisti è iniziata il 19 settembre.
InsideOver ha parlato con Aziz Alakbarov, presidente della Comunità dell’Azerbaigian occidentale, per comprendere meglio le origini e le ragioni dei disaccordi tra Erevan e Baku, in particolare la questione dei cosiddetti “azerbaigiani occidentali”.
Dottor Alakbarov, lei è il presidente della Comunità dell’Azerbaigian occidentale. Potrebbe spiegare ai nostri lettori e al pubblico italiano di che cosa si occupa questa Comunità e chi sono i suoi membri?
La Comunità dell’Azerbaigian occidentale è un’organizzazione che rappresenta gli azerbaigiani che furono espulsi con la forza dall’Armenia. È stata fondata nel 1989 ed è da allora che difende i diritti di queste persone, con un focus primario sul loro diritto al ritorno nelle loro terre ancestrali corrispondenti all’odierna Armenia.
Gli azerbaigiani arrivarono a costituire il 10% della popolazione totale dell’Armenia tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta, ossia più di 250mila persone. Oggi, però, gli azerbaigiani d’Armenia sono virtualmente inesistenti. Che cosa chiedono gli azerbaigiani occidentali?
Ha ragione a sottolineare quanto fosse significativa la presenza degli azerbaigiani in Armenia prima che venissero espulsi. Ma, in realtà, le percentuali furono anche più elevate in epoche precedenti.
La pulizia etnica consumata ai danni degli azerbaigiani fu, nella maggioranza dei casi, portata avanti da organi statali attraverso azioni violente e genocidiarie, massacri, crimini contro l’umanità e grandi violazioni dei diritti umani. Un processo che fu particolarmente violento e crudele nel 1905-06, nel 1918-21, nel 1948-53 e nel 1987-91.
Il patrimonio culturale e storico degli azerbaigiani in Armenia, includente moschee e tombe, è stato ampiamente distrutto, i toponimi sono stati modificati e nei loro confronti è stato operato un razzismo sistemico.
Noi non accettiamo l’ingiustizia commessa contro di noi, rifiutiamo le sue conseguenze, e aspiriamo al ritorno nelle nostre case in Armenia in sicurezza e con dignità, chiedendo che i nostri diritti individuali e collettivi vengano garantiti anche dopo l’avvenuto ritorno, sulla base del diritto al ritorno sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici e da altri importanti atti internazionali.
Come pensate di conseguire i vostri obiettivi?
Abbiamo un’agenda squisitamente pacifica. Abbiamo raggiunto la comunità internazionale, società civili e governi interessati. Abbiamo redatto il “Concetto per garantire il ritorno dignitoso, sicuro e pacifico degli azerbaigiani espulsi dall’Armenia”, che è stato pubblicato come documento ufficiale dal Consiglio di sicurezza e dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Abbiamo chiesto a queste ultime e alle sue organizzazioni speciali, in particolare l’Unesco, di aiutarci a trasporre in realtà il nostro inalienabile diritto al ritorno, anche inviando missioni in Armenia per assistere tale processo.
Il dialogo con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani e coi titolari delle procedure speciali e l’interazione col Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite e con altri corpi costituiscono una dimensione rilevante della nostra agenda basata sui diritti umani. Abbiamo anche intavolato un dialogo con le ong leader nel campo dei diritti umani, come Human Rights Watch e Amnesty International, cercando il loro supporto alla nostra causa.
Il dialogo con l’Armenia riveste certamente un aspetto fondamentale nel quadro dei nostri sforzi di risolvere pacificamente la questione del nostro ritorno. Pur riconoscendo la storia dolorosa che permane nella nostra memoria collettiva, crediamo fermamente che il percorso verso la pace e il progresso necessiti dialogo e riconciliazione. Siamo pronti a coesistere pacificamente con l’Armenia una volta che sarà avvenuto il nostro ritorno nelle nostre terre ancestrali.
È con questo spirito di comprensione e con questo impegno inequivocabile nei confronti del diritto internazionale, in particolare il principio del rispetto dell’integrità territoriale degli stati, che abbiamo esteso un’offerta di dialogo al governo armeno. Ma, sfortunatamente, la nostra chiamata non ha ricevuto risposta. Non è saggio da parte del governo armeno ignorare un’offerta di dialogo, in special modo se si considera che proviene da una comunità i cui diritti sono stati massicciamente violati dalle azioni dell’Armenia.
Il continuo rifiuto dell’Armenia di ripristinare i nostri diritti è molto ipocrita, anche alla luce dei loro tentativi di posizionarsi come dei campioni di diritti umani speculando su quelli degli armeni etnici che oggi risiedono in Azerbaigian. Ciononostante, continuiamo a sperare nel prevalere della ragione e che il governo armeno si impegnerà in un dialogo costruttivo con noi.
La questione degli azerbaigiani occidentali rientra nelle trattative di pace in corso tra Erevan e Baku?
Crediamo fermamente che l’inserimento del diritto al ritorno degli azerbaigiani negli accordi di pace che devono siglare i due paesi sia essenziale per rendere tale pace duratura.
Abbiamo preso atto della dichiarazione del governo dell’Azerbaigian, secondo il quale la questione è stata sollevata durante le trattative di pace con l’Armenia, e siamo estremamente riconoscenti al presidente Ilham Aliyev per la posizione coerente e di principio avuta su questo argomento.
Cosa possono fare paesi come l’Italia per sensibilizzare la comunità internazionale su queste vittime, spesso trascurate, della guerra del Karabakh?
Consentire il ritorno sicuro e dignitoso degli azerbaigiani espulsi dall’Armenia contribuirebbe a difendere i diritti umani a livello globale. Inoltre, trattasi di una questione che ha rilevanza per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Riconoscere questi aspetti fondamentali è essenziale per galvanizzare l’attenzione internazionale su questo argomento.
Paesi come l’Italia possono aiutare ad aumentare la consapevolezza riguardo agli azerbaigiani espulsi dall’Armenia affrontando questo tema all’interno di organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani e di sicurezza internazionale. Inoltre, sollevare questo tema a livello bilaterale, con l’Armenia, può contribuire in maniera significativa a permettere un ritorno sicuro e dignitoso degli azerbaigiani espulsi.