La mossa del presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump di riconoscere Gerusalemme come legittima capitale di Israele ha esacerbato le tensioni in Medio Oriente, segnalando paradossalmente la delicata situazione in cui lo Stato ebraico si trova attualmente nel contesto regionale.
Israele, infatti, vive un contesto caratterizzato dal deterioramento delle sue relazioni nello scenario regionale: oltre quindici anni di scriteriate politiche statunitensi hanno portato al rafforzamento dell’acerrimo rivale iraniano, i rapporti con la Turchia di Erdogan sono ai minimi storici, il legittimo governo siriano di Bashar al-Assad avversato da Tel Aviv ha consolidato la sua tenuta, Hezbollah rimane un attore dinamico e fondamentale e al governo di Benjamin Netanyahu non è restata altra scelta che costituire l’innaturale e strumentale asse con l’Arabia Saudita del dinamico principe Mohammad bin Salman.
Al tempo stesso, Israele risulta di fatto una fortezza invulnerabile sotto il profilo militare per l’elevato livello delle sue forze armate, recentemente certificato dall’entrata in funzione del sistema Iron Dome, e la sua rilevanza geopolitica, fatto che consente a Tel Aviv di poter in ogni caso orchestrare una sua autonoma proiezione al di fuori del tormentato scenario regionale. Due sono le principali direttrici di espansione dell’influenza israeliana: il Mediterraneo e il continente africano.
Se in campo mediterraneo Israele risulta da tempo un attore dinamico, avendo operato un deciso rafforzamento della sua marina militare e essendo cresciuto il suo interesse per i giacimenti di gas offshore, la presenza di Tel Aviv in Africa si è decisamente rafforzata nelle ultime settimane. Particolarmente interessante per Israele risulta lo scenario dell’Africa orientale e del Mar Rosso, regione dall’elevata importanza geopolitica nelle quali sono coinvolte numerose potenze di prima e seconda fascia, dagli Stati Uniti all’Iran, dalla Cina all’Arabia Saudita.
Il viaggio di Netanyahu in Kenya e gli interessi di Israele in Africa orientale
Una proiezione nella regione bagnata dalle acque dell’Oceano Indiano occidentale e del Mar Rosso, fragili e vitali arterie di comunicazione per numerosi importanti traffici commerciali di rilevanza planetaria, risulta funzionale alla grande strategia di numerosi Paesi: tale fatto ha reso Stati come Sudan, Gibuti, Eritrea e Kenya sempre piĂą importanti dal punto di vista geopolitico.
Proprio in Kenya il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha voluto rilanciare la volontĂ del governo di Tel Aviv di espandere la sua presenza in Africa orientale: Netanyahu ha visitato il Paese il 28 novembre scorso in occasione dell’insediamento del contestato presidente Uhuru Kenyatta e, come riportato dal Times of Israel, ha incontrato e dialogato con 11 capi di Stato e di governo dell’Africa orientale e centrale.
Il viaggio di Netanyahu ha portato all’ufficializzazione dei rapporti diplomatici tra Israele e Ruanda, alla conclusione di importanti memorandum di intesa per investimenti da parte di Tel Aviv in progetti energetici nel continente africano e al rafforzamento di un dialogo iniziato nel corso del precedente viaggio del Primo Ministro in Africa orientale risalente al 2016.
La cooperazione diplomatica ed economica potrebbe aprire la strada al grande obiettivo di Israele in una regione tanto strategicamente importante quanto di difficile gestione: garantirsi un dialogo continuo coi governi dell’Africa orientale su questioni securitarie e una crescente cooperazione nel sistema della Difesa che porti non solo a rilanciare l’export militare israeliano ma anche a riequilibrare le mosse dei rivali nell’area. Un obiettivo a lungo raggio che, di fatto, segnala le preoccupazioni di Tel Aviv per la tenuta del sistema geopolitico mediorientale, tanto precario da portare anche un attore solidamente radicato come Israele a guardarsi prudentemente le spalle.