Dopo oltre un mese dall’inizio delle proteste, quello che forse sarà il colpo di grazia al governo di Sebastián Piñera non sembra arrivare dalla popolazione cilena, bensì dalla comunità internazionale. L’alta corte dei diritti umani delle Nazioni unite ha messo infatti sotto inchiesta la polizia cilena, accusata di aver perpetuato torture e maltrattamenti nei confronti dei manifestanti. Un’accusa che, per come è stata strutturata, suona già da sentenza, avendo evidenziato oltre 130 casi tra maltrattamenti e stupri in carcere.
Nonostante Piñera sia stato graziato dalla corte suprema del Paese, la stessa fortuna non pare gli sarà destinata dall’Onu che, per mezzo dell’ispettore Imma Guerras Delgado, ha formulato le accuse verso Santiago. Nei prossimi giorni sia la polizia di stato che il governo cileno saranno chiamati a difendersi, aprendo un secondo fronte di battaglia che rende più complicato il già difficile momento che sta attraversando l’esecutivo del Cile.
Le accuse alla polizia cilena
Le manifestazioni in Cile di quest’anno sono state le più grandi dalla svolta democratica del Paese, con centinaia di migliaia di persone che si sono riversate in strada lungo tutto il territorio nazionale. Non avendo mai affrontato crisi di questa entità, le forze armate cilene hanno riscontrato evidenti difficoltà a causa della mancata esperienza sul campo. Evidenza riscontrata anche dallo stesso presidente del Cile. Tutto ciò, sempre secondo i rapporti delle Nazioni unite, si è tradotto con 113 accuse di tortura, a cui si aggiungono le 24 riguardanti molestie sessuali nei confronti di donne e uomini che hanno preso parte alle manifestazioni e sono stati arrestati. Secondo la responsabile Guerras Delgado, si sono perpetuate situazioni di violazione dei diritti umani sulle quali le Nazioni Unite non possono soprassedere.
Le principali accuse sono state rivolte alla polizia. Nel caso in cui però il governo di Piñera si rifiuti di collaborare, eventuali sanzioni potranno essere estese anche allo stesso Cile, peggiorando l’attuale situazione del Paese. Le dichiarazioni hanno lasciato intuire poche aperture nei confronti dell’Onu, rinnovando il suo appoggio e la sua solidarietà verso le forze armate attive nel contenimento della manifestazioni; in controtendenza rispetto alla posizione espresse lo scorso novembre, nella quale si era reso disponibile ad un confronto con gli osservatori internazionali.
A tutto ciò si è aggiunta anche un ulteriore indagine, questa volta interna al Paese, riguardante il poliziotto che venerdì 20 ha investito ed ucciso un manifestante. Dopo l’interrogatorio è stato posto in libertà vigilata, ma l’apertura delle indagini non è bastata ai capi dei manifestanti, che hanno richiesto a gran voce la destituzione del capo delle forze armate cilene. A seguito dell’evento, nuovi scontri si sono manifestati in tutto il Cile, colpendo particolarmente la città di Santiago.
Destabilizzazione del Sud America
Con le crisi governative che hanno interessato per tutto il 2019 i Paesi del Sudamerica, la situazione politica del continente sembra non riuscire a trovare la via della stabilizzazione. Oltre al Cile, le proteste hanno portato alla destituzione di Evo Morales in Bolivia, alla svolta peronista in Argentina ed alle difficoltà gestionali della Colombia. Tutto ciò senza considerare nemmeno il complesso panorama politico del Venezuela, considerabile caso a sé stante in quanto le proteste continue sono in atto da un paio d’anni, con un’economia completamente distrutta.
Forse per un caso, anche se molto dubbio, sono stati colpiti soltanto coloro che non hanno mai goduto di grande fama presso le Nazioni unite e soprattutto presso la Casa Bianca. Con l’unica eccezione di Jair Bolsonaro, dal carisma e dalle vedute in ogni caso non paragonabili alle controparti in questione.
Quella che alcuni stanno definendo come “primavera latina” è davvero però qualcosa che parte dalla popolazione, oppure le sue origini rispecchiano bisogni geopolitici esteri di ben più ampio spettro? Non bisogna sottovalutare come nell’ultimo anno le ingerenze estere nel continente siano aumentate, con Cina, Stati Uniti e Russia che hanno proteso le braccia delle proprie economie verso i Paesi sudamericani. È risaputo inoltre che, laddove queste potenze non riescono a dominare con la diplomazia, l’uso della forza e le fomentazioni del popolo non sono mai state disdegnate. Adesso, però, è il turno di Piñera, eletto come difensore del popolo che rischia di essere destituito proprio dagli stessi che in lui avevano riposto la propria fiducia, senza sapere però a quale potenza estera si stiano involontariamente vendendo.