(Budapest) I turisti prendono d’assalto le strade di Budapest fin dalle prime ore del mattino. L’Ungheria è diventata una meta così tanto gettonata che le sono bastati pochi mesi del 2019 per far sì che la sua capitale si aggiudicasse il titolo di migliore destinazione europea dell’anno ancora in corso. La Magyar Turisztikai Ügynökség – MTÜ, cioè l’Agenzia ungherese del Turismo – ha pubblicato con orgoglio una serie di dati utili a tastare lo stato di salute del Paese. Nel 2018 il numero assoluto di turisti è cresciuto di 650mila unità rispetto al 2017, così come, nello stesso lasso di tempo, anche il turismo interno è andato a gonfie vele, con 6,5 milioni di ungheresi che hanno deciso di spendere le loro vacanze all’interno dei confini nazionali (+5% ). Affari d’oro per gli hotel, le cui presenze sono aumentate del 5,2% raggiungendo i 12,5 milioni di clienti nell’arco dell’anno e i cui incassi sono cresciuti del 10%, superando i 510 miliardi di fiorini. Il turismo è uno dei motori principali dell’Ungheria, e secondo alcune stime andrà a rappresentare il 16% del suo Pil entro il 2030.
La ricetta di Orban
Come ha fatto l’Ungheria a trasformarsi da un anonimo ex Paese sovietico dell’Europa orientale a una nazione così dinamica? Per capirlo è utile approfondire la ricetta politica ed economica di Viktor Orban, il primo ministro ungherese che sta facendo vivere allo stato magiaro un sorprendente miracolo economico. La linea politica di Orban non piace all’Unione europea ma piace moltissimo agli ungheresi, visto che alle ultime elezioni europee dello scorso maggio, il partito nazional conservatore del leader magiaro, Fidesz, ha ottenuto il 52.33% delle preferenze, lasciando la Coalizione Democratica al 16,19%. Chi ritiene che Orban sia solo un estremista e che abbia ottenuto tutta questa popolarità solo per le sue politiche populiste, autoritarie e anti immigrati, forse non ha analizzato a dovere la situazione economica dell’Ungheria. L’economia del Paese è in forte crescita e gli investimenti stranieri si moltiplicano anno dopo anno. Il tasso di disoccupazione è in picchiata e viaggia attorno al 3,4%, cioè un valore che lo rende praticamente inesistente o quasi, tanto che il Paese soffre addirittura di carenza di manodopera.
Aiutare le famiglie
Per ovviare alla mancanza di forza lavoro nel settore manifatturiero il governo non intende certo aprire le porte del Paese a lavoratori stranieri, ma anzi sta cercando di incentivare le famiglie a fare più figli per far crescere la popolazione ungherese. Le misure di Budapest a favore della natalità sono chiare ed evidenti: niente tasse a vita delle tasse a partire dal quarto figlio, prestito di 32mila euro per le donne sposate e altre agevolazioni varie sui mutui. Sono tante, poi, le multinazionali del settore manifatturiero che hanno deciso di investire in Ungheria e che continuano a puntare sul Paese, con i loro loghi ben presenti sul tetto dei vecchi palazzoni stile sovietico adiacenti alle arterie cittadine che si snodano dall’aeroporto della capitale al centro. Quando Orban è salito in carica, nel 2010, l’Ungheria era un Paese a pezzi, la sua economia distrutta, il tasso di disoccupazione oltre l’11% e le sue speranze per il futuro inesistenti. In pochi anni il leader di Fidesz ha ribaltato la situazione.
Il miracolo economico
Il governo ha abbassato la pressione fiscale, accorpando le tasse in una sola aliquota uguale per tutti: la cosiddetta flat tax, che dal 2011 è pari al 15% per le persone fisiche e, dal 2017, al 9% per le società. È così che l’Ungheria ha attirato le aziende straniere, le stesse che stanno investendo nel settore automobilistico e nella costruzione di complessi residenziali, moderni e funzionali, e le stesse che oggi faticano a trovare nuovi lavoratori da arruolare. Nel frattempo, anche gli stipendi degli ungheresi sono saliti a ritmi impressionanti, considerando che nel 2015 il salario medio all’interno del paese era di circa 333 euro, a fronte dei quasi 607 euro del 2018; il salario minimo è oggi di circa 464 euro mensili, mentre nel 1999 non arrivava a 100 euro. Ci sono poi altri indicatori economici da non trascurare: il Pil è cresciuto del 4% nel 2017 (139 miliardi di euro) e dovrebbe crescere del 3,2% nel corso del 2019, e il debito pubblico è sceso a livelli di pre crisi. Per abbattere la disoccupazione, che come abbiamo visto è pressoché inesistente, il governo ha creato un programma statale destinato a lavoratori poco qualificati, che ha riguardato 165mila persone, cioè l’1,7% della popolazione complessiva dell’Ungheria. Queste persone svolgono così lavori di pubblica utilità, come ad esempio curare i giardini o i terreni statali, in cambio di uno stipendio mensile di quasi 130 euro.
La democrazia illiberale ungherese
La trasformazione dell’Ungheria è ancora in divenire ma Orban, nel 2014, aveva già annunciato il suo manifesto politico per il futuro del paese: “L’Ungheria sta costruendo uno stato illiberale. Non rifiuta i principi del liberalismo ma non considera questa ideologia l’elemento centrale dell’organizzazione statale, che dovrà invece puntare su un approccio nazionale”. È questo il sistema di governo definito democrazia illiberale, lo stesso anticipato nel 1997 dallo studioso Fareed Zakaria su Foreign Affairs. Ma, mentre analisti ed esperti analizzano le caratteristiche della democrazia illiberale ungherese, l’Ungheria continua a crescere. Così come continua a crescere nei sondaggi Viktor Orban, che nei prossimi anni rischia di diventare un personaggio politico sempre più centrale nei meccanismi europei.