Gli Stati Uniti, la potenza globale per eccellenza, nonché il deus ex machina dell’attuale ordine globale, da una parte. La Cina, la nuova potenza in ascesa, dotata di un potenziale economico da far impallidire Washington, che vuole mescolare le carte in tavola, dall’altra. In mezzo ai due fuochi troviamo un’Europa che ricopre il classico ruolo di vaso di coccio, senza una linea comune né una lista di obiettivi concreti perseguibili, e che orienta il suo fragile equilibrio verso l’uno o l’altro colosso a seconda delle esigenze.

Il triangolo geopolitico che lega i tre attori protagonisti di questa storia, e cioè Stati Uniti, Cina ed Europa, potrebbe diventare presto un triangolo scaleno, con il continente europeo sempre più schiacciato verso gli Usa e distante dal Dragone cinese. Cui prodest?, verrebbe da chiedersi. Se dal punto di vista ideologico, culturale e politico, una situazione del genere andrebbe a premiare il Vecchio Continente – che, in un simile contesto, potrebbe teoricamente usufruire dell’ombrello militare statunitense contro le minacce esterne – sul lato economico il discorso è molto diverso.

Il presidente Xi Jinping e il cancelliere tedesco Olaf Scholz
(Foto: EPA/KAY NIETFELD / POOL)
Il presidente cinese Xi Jinping e il primo ministro spegnolo Pedro Sanchez
(Foto: Xinhua/Rao Aimin)

La Cina, pur non essendo una democrazia liberale, è pur sempre un gigante economico che controlla ampie porzioni dell’economia mondiale e stringe tra le mani intere catene di approvvigionamento. Ha inoltre un mercato interno immenso, sorretto da 1,4 miliardi di persone e da una classe media in continua crescita (al netto delle ultime frenate in era Covid) e, nel corso degli anni, ha completato diverse acquisizioni strategiche oltre la Muraglia.

Per l’Europa, quindi, avviare una competizione diretta con la Cina si rivelerebbe un suicidio. Ma lo sarebbe altrettanto anche nel caso opposto, ovvero se i governi europei decidessero di limitare i rapporti economici e commerciali con Pechino per compiacere i diktat statunitensi.

Il motivo è semplice: mentre Washington si trova in una posizione tale che potrebbe anche fare a meno di Pechino (inizialmente in mezzo a qualche bufera di troppo, data l’interconnessione venutasi a creare tra i due Paesi), l’Europa non potrebbe minimamente pensare di voltarsi dall’altro lato senza subire gravi ripercussioni. O meglio: potrebbe farlo, ma soltanto a fronte di un’adeguata preparazione, individuando validi sostituti cinesi e mercati alternativi.

Cosa vuole Washington

Gli Stati Uniti chiedono all’Europa di tener testa alla Cina, o meglio, di “unire le armi” per lanciare una sfida tecnologica ed economica a Pechino.

Sul piano politico, il governo statunitense continua a condividere informazioni di intelligence con varie agenzie europee, non solo per questioni legate allo spionaggio, ma anche sull’eventualità che la Cina starebbe considerando di armare la Russia. Se in merito al tema spionaggio e sicurezza nazionale qualcosa sta iniziando a muoversi – basti pensare al caso TikTok – sul fronte della guerra in Ucraina le notizie americane hanno incontrato cautela. Certo, alcuni leader europei, come il cancelliere tedesco Olaf Scholz, hanno lanciato severi avvertimenti alla Cina, ma altri, come Ursula von der Leyen, sono stati più attenti a trasmettere a Pechino le considerazioni degli Usa.

In ambito economico, invece, gli Stati Uniti rassicurano gli europei sul fatto che le aziende del Vecchio Mondo che decideranno di puntare sul mercato statunitense avranno accesso a crediti d’imposta e sussidi. Il tutto per corrodere, se possibile rompere, il legame tra Europa e Cina.

Il presidente francese Emmanuel Macron insieme a Xi Jinping
(Foto: Ludovic MARIN / POOL)
Il premier olandese Mark Rutte con il presdeinte Xi Jinping
(Foto: by Robin van Lonkhuijsen/ANP/Sipa USA)

Il punto è che la risposta europea non è affatto univoca. Ci sono molti Paesi che non esitano a ritirarsi dal mercato cinese, e altri ancora che non intendono minimamente fare una mossa del genere. Il motivo è ben illustrato dalle parole dell’ex funzionario del dipartimento di Stato Usa, Heather Conley, riportate dal sito Politico: “Gli europei hanno già sperimentato un profondo trauma economico con il taglio (dei rapporti ndr) con la Russia. Non possono immaginare di tagliare fuori la Cina”.

Eppure, nonostante le molteplici incognite, la pressione degli Stati Uniti sull’Europa sta aumentando, giorno dopo giorno, portando i primi frutti. La Germania sta valutando se continuare o meno a utilizzare alcune tecnologie cinesi, mentre i Paesi Bassi hanno dichiarato che bloccheranno la vendita di stampanti con chip avanzati alla Cina. Insomma, l’amministrazione di Joe Biden ha messo nel mirino la Repubblica Popolare Cinese e vuole che l’Europa segua il suo esempio.

Nessuno, però, in Europa è disposto a perseguire un ipotetico decoupling, disaccoppiamento, dal gigante asiatico. Troppi gli interessi sul tavolo. Giusto per fare un esempio, i dati dell’ufficio statistico europeo hanno mostrato che la Cina è stata il terzo acquirente di beni europei e il mercato più importante per i prodotti Ue importati nel 2021. L’importanza del mercato cinese per l’Europa, inoltre, è diventato ancora più rilevante in un momento in cui la sua economia sta lottando con i contraccolpi della guerra in Ucraina. Gli Stati Uniti dovranno dunque essere molto più convincenti di adesso per convincere i partner europei ad alzare gli scudi contro Pechino.

Secondo quanto riportato da Politico, starebbe addirittura emergendo una spaccatura in seno ai vertici dell’Unione europea sulla politica da adottare con la Cina. Personaggi di spicco del Consiglio europeo, tra cui il presidente Charles Michel, starebbero spingendo per un approccio meno conflittuale nei confronti di Pechino rispetto a quello dell’amministrazione Biden. Dall’altro lato Von der Leyen starebbe seguendo la linea dura sbandierata da Washington.

Cosa vuole Pechino

La Cina sa che l’Europa ambisce, almeno a parole, ad un’autonomia strategica. Pechino, in una serie di recenti scambi diplomatici, ha espresso il proprio sostegno all’autonomia strategica dell’Ue. Come ha sottolineato il think tank Merics, gli esperti cinesi tendono a sovrapporre l’obiettivo dell’autonomia strategica dell’Europa ad una sorta di prevenzione dallo “stato di totale dipendenza dell’Europa dagli Stati Uniti” e, di pari passo, a considerare gli Stati Uniti una sorta di ostacolo che cerca in tutti i modi di impedire all’Europa di raggiungere il suo obiettivo.

Le vecchie dichiarazioni di Angela Merkel e i più recenti commenti di Emmanuel Macron sull’assenza di un pieno allineamento tra gli interessi europei e quelli statunitensi sono stati spesso citati dalla Cina come prova del fatto che l’Ue vorrebbe imboccare “la terza via” in mezzo alle tensioni Ue-Cina.

Secondo questa logica, mantenere la cooperazione con la Cina come contrappeso agli Stati Uniti sarebbe una necessità fondamentale per l’Ue. Ed è qui che si inserisce il Comprehensive Agreement on Investment (Cai), ovvero l’accordo sugli investimenti siglato tra Ue e Cina nel 2020. Un accordo però “congelato” dal Parlamento europeo dopo che la Cina ha sanzionato alcuni legislatori dell’Ue in risposta alle sanzioni europee contro i funzionari cinesi coinvolti nella repressione dei musulmani uiguri nello Xinjiang.

È tuttavia interessante leggere il contenuto del Cai per capire l’offerta cinese all’Europa. Il punto cruciale riguarda una maggiore apertura del mercato cinese agli investimenti provenienti dall’Unione europea. Innanzitutto, così come le aziende europee godranno di un migliore accesso alla Cina, quelle cinesi non saranno ostacolate dall’Europa. Dopo di che, le stesse aziende europee che vorranno competere sul mercato cinese, potranno farlo da sole (con una succursale), senza doversi più aderire a un partner locale (joint venture). Infine lo spinoso tema del know how: non ci sarà alcun trasferimento di tecnologie di aziende europee.

La portata storica dell’accordo è innegabile ma ancora non si vede la luce in fondo al tunnel. In tutto ciò la Cina, che considera l’Europa un attore geopoliticamente dipendente dagli Usa, sa che per il Vecchio Continente potrebbe essere fondamentale trovare una terza via. Se quel percorso dovesse essere imboccato, l’Ue si ritroverebbe più vicina alla Cina. E Pechino potrebbe a sua volta bilanciare il rapporto con Washington facendo leva proprio su questo.

Il presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen e il presidente Usa Joe Biden durante un incontro alla Casa Bianca nel marzo 2023. (Foto: EPA/BONNIS CASH / POOL)

La posizione dell’Europa

L’Europa – non solo l ‘Ue – partner importante sia per Washington che per Pechino, manca di una qualsiasi unità interna per rispondere efficacemente alla concorrenza sino-americana. Non a caso, la rivalità tra le due super potenze ha suscitato in molti Paesi europei il timore che il riequilibrio strategico di Washington verso l’Indo-Pacifico possa rendere l’Ue più vulnerabile alle pressioni esterne, sia militari che economiche.

In ogni caso, i governi europei dovranno mettere in campo massicce dosi di pragmatismo e imboccare strade che non precludano ordini di marcia a senso unico. In altre parole, pur facendo parte della Nato ed essendo cardine del blocco occidentale, l’Europa ha altre priorità geopolitiche rispetto agli Stati Uniti. Almeno fino a quando Washington non elaborerà un piano che tenga conto delle svariate esigenze europee su temi sensibili come tecnologia, minerali critici e catene di approvvigionamento. Senza un’alternativa certa e sicura alla Cina, in caso di decoupling dal Dragone i governi europei rischiano di subire gravi contraccolpi.

Intanto, forse per rassicurare l’Europa, l’ambasciatore cinese presso l’Ue, Fu Cong, ha spiegato al New York Times che molti analisti hanno interpretato male il rapporto tra la Cina e la Russia, suggerendo che i legami tra i due Paesi potrebbero non essere così illimitati come hanno dichiarato Xi e Putin nel recente passato. Il signor Fu ha specificato che la dicitura “nessun limite”, usata per evidenziare l’amicizia sino-russa, non era altro che “retorica”.

Dal canto loro, i funzionari europei auspicano che gli Usa mettano sul tavolo un accordo sull’accesso dell’Ue al programma di sussidi made in America nell’ottica dell’Inflation Reduction Act. E che Washington possa concedere un’esenzione speciale che darebbe alle aziende europee lo stesso accesso agli incentivi e lo stesso trattamento che gli Usa stanno offrendo a Canada e Messico. Soltanto a quel punto, forse, l’Europa inizierebbe a pensare sul serio ad arginare l’ascesa della Cina. Fino a quel momento, tuttavia, per l’Ue collaborare sia con gli Usa che con Pechino sarà molto più conveniente.  

Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.