Ogni avventura politica, per quanto entusiasmante, rivoluzionaria o terrificante, è destinata a percorrere una traiettoria parabolica, con un tratto ascendente, un culmine ed una ricaduta. La differenza sta solo nell’osservare quanto ampio sia l’angolo di gittata.
E quella di Mikheil Saakashvili sembra approssimarsi verso la sua inesorabile estinzione. Pochi giorni fa il presidente dell’Ucraina, Petro Poroshenko, gli ha revocato il passaporto ucraino con il quale, circa due anni fa, era stato autorizzato a ricoprire la carica di governatore della regione di Odessa, che affaccia sul Mar Nero.
L’avventurosa carriera politica di Saakashvili era iniziata già nel 1995, ma esplosa nel 2003 quando, in Georgia (suo paese d’origine), si pose alla guida della Rivoluzione delle Rose, una delle rivoluzioni colorate che si diffusero nei paesi ex-comunisti; una delle poche che, con complicità occidentale, ebbe successo. Nel 2004, in seguito a consultazioni elettorali contestate dall’opposizione – tuttavia ritenute abbastanza libere dagli osservatori internazionali -, successe a Shevardnadze alla guida del Paese. Sin da subito impostò la sua politica in chiave anti-russa. In tutta la sua carriera politica, il richiamo alla russofobia e all’odio verso Mosca è tema ricorrente del suo operato. Il culmine del conflitto tra la Russia e Tbilisi si verifica nel 2008, con lo scoppio della Seconda Guerra in Ossezia del Sud, che ha condotto de facto la regione sotto il controllo dei militari e delle autorità russe.
Nel 2013 lascia la guida del suo Paese, in quanto per Costituzione gli è negata la possibilità di ricandidarsi per un terzo mandato, lasciando così la Georgia sotto il governo di un nuovo partito emergente, “Kartuli Otsneba” (Sogno Georgiano), che ha vinto le elezioni parlamentari alla fine del 2012.
Saakashvili è oggi ricercato in Georgia per violenti crimini, di cui nega la responsabilità e ovviamente il movente politico, ed è stato inoltre privato della cittadinanza del Paese con decreto presidenziale.
Da subito spesosi energicamente a favore del bis della rivoluzione arancione di Kiev, con le proteste di Euromaidan avvenute tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, ha rinnovato il suo sostegno alle istituzioni ucraine in funzione antirussa. Il suo contributo politico è stato premiato dal presidente ucraino, Petro Poroshenko, che nel 2015 ha concesso la cittadinanza ucraina a Saakashvili, contestualmente appuntato governatore della regione di Odessa, sita nella parte sud-occidentale del Paese, al confine con la complicata Moldova, a maggioranza russofona. Nel novembre 2016, tuttavia, si è conclusa anche questa stagione politica, dopo che lo stesso Saakashvili ha rassegnato le sue dimissioni dalla carica di governatore, denunciando alcuni episodi di corruzione a carico del Ministro dell’Interno ucraino, Arsen Avakov, accusato di finanziare una milizia privata. In tale occasione Avakov gettò un bicchiere d’acqua in faccia a Saakashvili.
Il 26 luglio scorso il presidente ucraino Petro Poroshenko ha revocato la cittadinanza all’ex governatore. Saakashvili ha prontamente definito il presidente Poroshenko un vigliacco, poiché tale azione sarebbe avvenuta mentre lo stesso ex presidente georgiano si trovava fuori dal Paese. L’entourage di Saakashvili lega questo episodio al fatto che pochi mesi fa questi ha fondato in Ucraina un nuovo partito politico, il Rukh Novykh Syl (Partito delle Forze Nuove), con il quale si approntava a lanciare una nuova carriera politica nel Paese. Ufficialmente gli ambienti di Kiev giustificano la decisione come necessaria, dopo che il governo di Tbilisi ha fatto pervenire ai servizi ucraini un dossier contenente tutte le efferate azioni ordinate dall’ex presidente Saakashvili. Ad oggi si trova negli Stati Uniti, dove non vorrebbe restare con lo status di rifugiato, ma dove probabilmente cercherà il sostegno dell’amministrazione Trump. L’ipotesi non sarebbe poi dopotutto da scartare, visti comunque i trascorsi palesemente filo-americani e favorevoli all’ingresso della Georgia nella NATO; ad oggi potrebbe trovare un importante appoggio proprio nel presidente americano, che sin dagli albori della campagna elettorale non ha incontrato il gradimento di Poroshenko, con il quale da mesi è in aperto conflitto.