Il Covid-19 non ha fermato la geopolitica e quanto sta accadendo nell’Artico è prova più emblematica di ciò. Mentre la Russia procede nella costruzione di uno scudo militare a protezione dei propri domini glaciali, l’amministrazione Trump sta dando seguito al proposito di comprare la Groenlandia, avendo recentemente annunciato un piano milionario di investimenti interamente dedicato all’isola, sullo sfondo delle esercitazioni militari in aumento da entrambe le parti.
Le manovre militari di Washington
Il mese di maggio si è aperto con un’esercitazione militare congiunta nelle acque norvegesi, condotta dalla sesta flotta della US Navy in collaborazione con la marina britannica. All’esercitazione hanno preso parte complessivamente 1200 soldati, soprattutto statunitensi, poiché Londra ha limitato la propria partecipazione inviando la fregata HMS Kent. Gli Stati Uniti, invece, hanno mobilitato quattro navi da guerra, fra le quali i cacciatorpedinieri lanciamissili USS Donald Cook e USS Porter, un sottomarino nucleare e diversi mezzi in servizio all’USNS Supply, supportati via aerea da un Poseidon P8-A per il pattugliamento marittimo.
La US Navy ha dichiarato che l’esercitazione è stata organizzata per tutelare la libertà di navigazione nell’Artico e la sicurezza regionale, ma il vero obiettivo, con molta probabilità, è la Russia. A sostegno di questa ipotesi concorrono diversi elementi: i soldati sono stati impegnati in manovre di riconoscimento e rilevamento di minacce subacquee, sottomarini per la precisione, e negli ultimi mesi la Norvegia ha denunciato proprio il presunto aumento delle attività sottomarine russe nell’Atlantico settentrionale; gli Stati Uniti hanno rifiutato di fornire una geolocalizzazione esatta delle esercitazioni per “ragioni di sicurezza”, mentre la Norvegia ha dichiarato che “l’esercizio ha avuto luogo in acque internazionali”; infine l’amministrazione Trump sta concretizzando le promesse di una maggiore esposizione in Groenlandia.
Il piano di investimenti per l’isola artica
Il 23 aprile, gli Stati Uniti hanno annunciato un pacchetto di aiuti per lo sviluppo della Groenlandia da 12 milioni di dollari, senza nascondere l’esistenza di un secondo fine, ossia il miglioramento delle relazioni bilaterali. La maggior parte del denaro sarà destinata al finanziamento di attività educative, al potenziamento settore minerario e alla crescita del turismo.
Mentre il gesto è stato accolto con favore dalle autorità locali, la Danimarca ha mostrato scetticismo e diffidenza, memore delle dichiarazioni di Donald Trump dello scorso agosto inerenti la volontà di acquistare l’isola e, soprattutto, consapevole che la propria sovranità è sempre più traballante, vittima del gioco di forza fra Washington e Pechino e della minaccia separatista, aumentata a dismisura negli anni recenti.
Il mondo politico di Copenaghen ha criticato il pacchetto di aiuti in modo unanime. Karsten Honge, esponente del comitato per gli affari esteri del Parlamento, lo ritiene uno strumento “estremamente provocatorio” con cui “creare divisione fra la Groenlandia e la Danimarca”. Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, però, ha rispedito le accuse al mittente, sostenendo che la misura sia stata annunciata dopo mesi di consultazioni con le autorità danesi.
Le dichiarazioni del ministro degli esteri danese, Jeppe Kofod, in netta controtendenza rispetto ai malumori dei parlamentari, sembrano corroborare la tesi che il pacchetto sia stato discusso nel più stretto riserbo e ai più alti livelli. “Abbiamo lavorato per molto tempo con la Groenlandia per assicurarci che veda un beneficio dalla presenza statunitense […] Non parlerò delle preoccupazioni della gente, la gente è libera di averne”.
Il pacchetto di aiuti giunge come preludio di un’altra iniziativa: l’apertura di un consolato a Nuuk, il capoluogo della Groenlandia. L’inaugurazione ufficiale dovrebbe avvenire entro l’anno e riporterebbe la diplomazia statunitense in città dopo un’assenza lunghissima, ossia dal 1953.
Lo scudo militare russo
A inizio aprile, il ministero della difesa russo, ha annunciato che è stato ultimato il rafforzamento della base aerea di Tiksi, in Jacuzia, con l’installazione ed attivazione di un’unità antimissile S300. La base era caduta nel dimenticatoio nell’epoca post-sovietica ma negli anni recenti è tornata al centro dell’agenda polare del Cremlino in virtù della sua posizione geostrategica.
La base di Tiksi non è l’unico sito artico ad essere sottoposto a piani di ammodernamento, perché Mosca sta procedendo al graduale recupero di ogni luogo ritenuto essenziale per la sicurezza dei confini e della rotta del Mare del Nord. Altrove, come nella base aerea di Rogachevo, nella Novaya Zemlya, il sistema di protezione basato sugli S300 è stato recentemente sostituito dagli S400, che sono in fase di riposizionamento in tutta la regione e, secondo il comandante della flotta settentrionale, Alexander Moiseyev, consentiranno di “coprire l’Artico da qualsiasi attacco aereo nemico”.
Il 27 aprile, invece, ha avuto luogo una storica missione nella Terra di Francesco Giuseppe. Una squadra di paracadutisti si è lanciata da un II-76, ad un’altezza di 10mila metri, per testare dell’equipaggiamento di ultima generazione realizzato per combattere in condizioni estreme e facilitare gli spostamenti nell’Artico. I soldati, una volta toccato terra, sono stati sottoposti ad un intenso addestramento.
Quattro giorni dopo, Stati Uniti e Regno Unito hanno poi condotto un’importante esercitazione nei pressi dell’Artico norvegese, dando anch’essi sfoggio delle ultime tecnologie a disposizione. Le azioni di entrambi gli schieramenti stanno dimostrando una cosa: l’egemonizzazione del polo Nord è troppo importante per essere fermata o rallentata dalla pandemia, anche perché l’ordine mondiale post-Covid19 si sta scrivendo adesso.