Sotto la presidenza di Donald Trump la politica estera americana si è concentrata prevalentemente in due aree del mondo. In Medio Oriente, dove Washington è riuscita a portare a casa diversi risultati, tra cui la normalizzazione dei rapporti tra Israele e alcuni Paesi arabi (il cosiddetto “Accordo del Secolo”) e l’uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani, e in Estremo Oriente. Ma nel bollente continente asiatico, neppure un approccio singolare come quello adottato da Trump è bastato per ricucire ferite storiche troppo profonde.
Nel periodo compreso tra il 2016 e il 2020 l’America non è riuscita a sciogliere nessun nodo, ad eccezione dell’illusorio freno – potremmo dire mediatico – messo da Trump sul programma missilistico nordcoreano. Il tycoon ha dato il via a una pericolosissima guerra commerciale con la Cina che non ha portato risultati sperati. Certo, Pechino, considerato dal Pentagono la minaccia numero uno per la sicurezza statunitense, ha inizialmente subito un bel contraccolpo psicologico. Ben presto il Dragone ha però spostato il cursore della propria economia sulla modalità “autosufficiente”, ed è così che i suoi big della tecnologia hanno potuto limitare i danni.
Nelle ultime settimane il Segretario Usa, Mike Pompeo, ha effettuato un tour nel sud-est asiatico per accaparrarsi le simpatie dei vicini di casa cinesi. Esito piuttosto incolore, visto che queste nazioni, volenti o nolenti, sono costrette a fare affari con la Cina. E se gli affari vanno bene, al netto di antipatie politiche, per quale motivo compromettere tutto per gli americani? Più o meno così hanno ragionato Stati come Vietnam, Laos e Cambogia.
Capitolo Corea del Sud e Giappone: i principali alleati di Washington nella regione asiatica, pur restando fedeli agli Stati Uniti, hanno mostrato ripetuti ed emblematici segnali di insofferenza. Sia Moon Jae In che Abe Shinzo avrebbero voluto un maggiore margine di manovra, soprattutto per alcune scelte in politica estera: niente da fare e palla al centro. Buono, invece, l’avvicinamento di Trump all’India di Narendra Modi e il rafforzamento delle relazioni con la “provincia ribelle” di Taiwan (così viene definita dalla Cina), due mosse pensate palesemente in chiave anticinese. Per il resto non ci sono state svolte sostanziali. La Cina ha proseguito nella sua ascesa – seppure rallentata dalla pandemia di Covid-19 – la Corea del Nord è rimasta un’incognita mentre gli alleati hanno chiesto maggiore spazio.
Che cosa potrebbe cambiare con Biden
La (ancora formalmente incerta) vittoria di Joe Biden alle elezioni presidenziali rischia di aprire scenari interessanti. In molti si chiedono quale sarà la politica adottata dal democratico in Asia. Difficile dirlo con assoluta certezza, anche se si possono fare delle ipotesi sulla base delle dichiarazioni fatte dallo stesso Biden in campagna elettorale. Di sicuro l’approccio dell’ex videpresidente di Obama sarà più tradizionale, meno appariscente e decisamente più soft rispetto al ruspante modus operandi dispiegato da Trump.
Cina
Lo scenario generale è destinato a restar tale, indipendentemente dal fatto che al comando degli Usa possano esserci Biden o Trump. Detto altrimenti, Pechino continuerà a essere il nemico contro cui puntare il dito, il rivale economico numero uno, il pericolo più imminente. Ci sono tuttavia alcuni aspetti da considerare. Primo: con Biden la guerra commerciale contro il Dragone continuerebbe, ma sarebbe senza ombra di dubbio più leggera e meno aggressiva. Secondo: con Trump, al contrario, il governo cinese sarebbe costretto a scontare altri quattro anni di risse, ma con la possibilità di usare il tycoon per compattare il Partito Comunista cinese attorno alla figura di Xi Jinping. In altre parole, con Biden si torna al passato (o quasi) con Trump si naviga a vista giorno dopo giorno.
Corea del Nord
Trump era riuscito a instaurare un rapporto di “amicizia” diretto con il presidente nordcoreano Kim Jong Un. Lo aveva incontrato tre volte e speso parole al miele per descrivere il suo operato. Biden ha già detto di non voler incontrare il Grande Leader. Presumibilmente la strategia del democratico ricalcherà quella adottata da Obama: contenimento e massima pressione, quest’ultima da esercitare mediante le sanzioni economiche e l’isolamento diplomatico. A quel punto Kim potrebbe riprendere i suoi test missilistici da un momento all’altro e la situazione infiammarsi da un momento all’altro. In tal caso il sogno di una ipotetica riunificazione con la Corea del Sud evaporerebbe come neve al sole. Pyongyang, insomma, preferirebbe fare affari con The Donald.
Corea del Sud
Moon Jae In avrà tirato un sospiro di sollievo nel veder silenziato Trump. La pressione dello storico alleato americano è stata troppo forte, soprattutto quando il propositivo presidente sudcoreano ha cercato in tutti i modi di tendere la mano a Kim per una riappacificazione. Niente da fare: The Donald ha rubato la scena (e i meriti) al povero Moon, che si è ritrovato, di fatto, con un pugno di mosche. Resterà da capire se con Biden sarà possibile declinare il tema nordcoreano sul percorso di pace e comprensione reciproca. Grande punto interrogativo.
Giappone
Il nuovo premier Yoshihide Suga proseguirà nel solco tracciato da Abe. Niente scossoni, niente cambi di marcia. Tokyo è in buoni rapporti con Pechino e, soprattutto dal punto di vista commerciale, non ha alcun interesse ad aumentare la tensione. Certo è che se la tensione dovesse aumentare, il governo nipponico si schiererà con l’America a occhi chiusi. E Biden potrebbe sfruttare questo fattore tanto in chiave anti cinese quanto per contenere la ruspante Corea del Nord.
Taiwan
La “provincia ribelle”, come la definiscono a Pechino, continuerà a essere la roccaforte prediletta degli Stati Uniti nel Mar Cinese Meridionale. Con Joe Biden l’atteggiamento di Washingon nei confronti di Taipei non dovrebbe cambiare di una virgola. Anche se – e questa potrebbe essere l’unica novità – il democratico farà di tutto per non alzare polveroni inutili. Sì all’alleanza con Taiwan, no a provocazioni fatte tanto per lanciare frecciatine alla Cina.
Il sud-est asiatico
Qui Biden cercherà in tutti i modi di raccogliere quanti più consensi possibile. L’India si candida a diventare, assieme a Taiwan, la più importante “arma” americana da sfoderare per richiamare all’ordine Pechino. Con gli altri Stati della regione la Casa Bianca proverà a usare il bastone e la carota nella speranza di aprirsi una breccia ancora più grande nella regione indo-pacifica. Attenzione tuttavia al tema dei diritti umani, che quasi sicuramente orienterà – al contrario di Trump – l’operato in politica estera dell’amministrazione Biden.
I rapporti personali con Xi e Kim
È infine doveroso fare un paio di rapidi appunti sulle possibili relazioni personali tra Joe Biden e i due principali nemici americani in Asia: Xi Jinping e Kim Jong Un. Per quanto riguarda Xi, il neo presidente statunitense potrebbe utilizzare un approccio ben diverso rispetto a quello scelto da Trump. Difficile aspettarsi frecciatine o battutine da parte dell’esponente democratico. Che al contrario cercherà in tutti i modi di imbavagliare silenziosamente il leader cinese per metterlo con le spalle al muro. Anche perché, come abbiamo spiegato, la Cina, agli occhi della Casa Bianca, continuerà a rappresentare la principale minaccia per la sicurezza nazionale. Capitolo Kim. Trump era riuscito a intrattenere un rapporto amichevole e diretto con il Grande Leader nordcoreano. Biden, dal canto suo, rigetterà con forza un simile legame in virtù di un nuovo, possibile muro contro muro.