Le tensioni tra l’emirato del Qatar e il regno di Arabia Saudita e Egitto in primo luogo sono entrate nel secondo mese e all’orizzonte, al momento, non sembra esserci una soluzione possibile. Lo scaricabarile dell’attribuzione dei crimini legati al finanziamento dei gruppi terroristici con i Fratelli Musulmani capofila, di cui l’attuale sovrano qatariota Hamad bin Khalifa al-Thani sarebbe un attivo sostenitore – pur essendo una organizzazione bannata come terroristica in Egitto, Bahrain e Arabia Saudita -, ha generato una presunta rottura negli equilibri delle Petromonarchie del Golfo e, più in generale, con i principali Paesi del mondo arabo.

Dopo l’emissione di sanzioni e la chiusura degli spazi aerei attorno al Qatar, anche gli Stati Uniti hanno lanciato il proprio messaggio di preoccupazione, essendo stanziata nella piccola monarchia uno dei più grandi centri di comando americani di tutto il Medio Oriente; nella base militare di Al Uldeid lavorano 11mila militari e vi sono oltre 100 aerei da combattimento. Il presidente Trump, evidentemente convinto ad abbracciare la linea saudita, approvata da Israele, aveva messo in guardia il Qatar circa il destino della base militare, salvo poi risolvere la questione con la vendita di alcuni caccia F-15 americani a Doha, per un ammontare di 12 miliardi di dollari.

Dall’inizio della crisi, dunque, la strategia della monarchia qatariota è stata improntata sul potenziamento della struttura militare, soprattutto con l’aggiunta di nuovi mezzi a disposizione delle forze armate. Dopo poco più di un mese dalla siglatura di tale accordo, gli al-Thani hanno proceduto alla chiusura di un altro contratto di fornitura: lo scorso mercoledì i Ministri degli Esteri di Italia e Qatar hanno annunciato la sottoscrizione di un contratto del valore di quasi 6 miliardi di dollari per l’acquisto di sette navi da guerra da parte di Doha. Si tratta, nello specifico, di quattro corvette, un vascello anfibio e due scafi da pattuglia. La costruzione degli scafi partirà dal 2018 e coinvolgerà, per la parte degli armamenti militari, la Leonardo. Questo accordo si aggiunge a quello sottoscritto da Leonardo e Fincantieri lo scorso anno, sempre con gli sceicchi del Qatar, per un valore di altri 5 miliardi di dollari.

Tale manovra si colloca in una strategia a più ampio spettro, non solo legata ad una necessità intrinsecamente militare: pur essendo uno stato di appena 300mila abitanti, il Qatar è uno dei maggiori produttori di gas naturale al mondo. La chiusura di questi contratti di fornitura militare hanno un valore preminentemente politico-diplomatico, così che Doha possa essere in grado di mantenere una sorta di bilanciamento dei rapporti con gli alleati occidentali, in modo tale da evitare la degenerazione del conflitto militare con la coalizione filo-saudita.

In particolare, infatti, dalle parole pronunciate dal Ministro Alfano si intende come il coinvolgimento italiano nell’affare vada ben oltre alla sola alienazione dei mezzi navali. Si prevede, infatti, che il ruolo di Fincantieri nell’accordo preveda una collaborazione con la Marina Militare qatariota della durata di 15 anni per la manutenzione e l’addestramento che coinvolgerà anche il Ministero della Difesa italiano.