Joe Biden aveva tuonato dal palco presidenziale dopo la sentenza Dobbs che ha annullato il diritto federale all’aborto: “Mai prima di adesso la Corte Suprema aveva tolto un diritto costituzionale”. Come spesso accade in politica, quello statement da parte del presidente americano è stata una grossa forzatura. Non si può negare però che questo ciclo di sentenze si sia mosso in un senso ben preciso, ovverosia in quello di ridare molti poteri in più agli Stati sia per quanto riguarda appunto il diritto all’aborto sia per quello che riguarda le modalità di voto e di progettazione dei collegi elettorali e anche il controllo delle emissioni di gas nocivi nell’atmosfera.

Questa tendenza legale però riscontra due notevoli eccezioni: per quanto riguarda il diritto di portare armi, con un secondo emendamento letto nel modo più estensivo possibile, rendendolo un diritto inalienabile e scevro da controlli. Ma anche per quanto riguarda il finanziamento delle attività religiose e l’attività religiosa in pubblica. Lì non ci sono leggi statali che tengano, e infatti la legge di New York che proibiva di portare armi cariche fuori casa è stata ritenuta incostituzionale, così come la legge del Maine che escludeva le scuole private religiose da un programma statale di voucher per gli studenti.

Il precedente storico

Soprattutto però è la sentenza che limita i poteri dell’agenzia federale per l’ambiente sulla regolamentazione dei gas serra ad aver fatto pronunciare agli analisti la parola “Era Lochner”. Di che si tratta? Parliamo di un epoca segnata da una sentenza, la Lochner v. New York del 1905, che rendeva incostituzionale una legge statale che limitava le ore di lavoro per i panettieri a dieci ore al giorno. Il motivo addotto era che violava la libertà di contratto delle imprese, perché secondo la lettura della Corte, nell’opinione scritta dal giudice Rufus Peckham, il quattordicesimo emendamento che garantiva parità di trattamento ai cittadini si applicava anche ai soggetti economici in quanto emanazioni dell’attività individuale.

Lettura che il giudice Oliver Wendell Holmes rigettò accusando i suoi colleghi di seguire i principi del liberismo economico anziché una qualche dottrina legale. In effetti per circa trent’anni questo fu l’andazzo di quella Corte, che stroncò altri provvedimenti, come il sistema pensionistico obbligatorio varato in Arizona (State Board Control v. Buckstegge, sentenza del 1916), la legislazione federale sul lavoro minorile (Hammer v. Dagenhart del 1918) e una legge sul salario minimo di donne e minori emanata da Washington D.C. (Adkins v. Children Hospital del 1923).

Il cambio di passo

A interrompere quell’epoca contribuì non poco la Grande Depressione e l’elezione di Franklin Delano Roosevelt alla presidenza nel 1932. Non bisogna pensare però che la Corte diventasse deferente al potere politico: vennero resi incostituzionali provvedimenti chiave del primo New Deal come le pensioni obbligatorie per i ferrovieri (Railroad Retirement Board v. Alton Railroad del 1935) e la regolamentazione dell’industria estrattiva del carbone (Carter v. Carter Coal del 1936). A quell’epoca il presidente Roosevelt, dopo la rielezione trionfale del 1936, pensò a un provvedimento radicale, come l’ampliamento della Corte, aggiungendo un nuovo giudice per ogni ultrasettantenne. E all’epoca in carica ce n’erano ben sette, perlopiù nominati da giudici repubblicani, compreso il giudice capo Charles Evans Hughes.

Un piano radicale che però non trovò i consensi necessari al Congresso, grazie alla saldatura tra una striminzita opposizione repubblicana e un forte blocco conservatore dei democratici segregazionisti del Sud. Ma ci fu un cambio di passo grazie proprio a Hughes, che ritenne di dover chiudere un’epoca che l’attuale giudice capo ha definito di “usurpazione giudiziaria”: con la sentenza West Coast Hotel v. Parrish del 1937 salvò la legge sul salario minimo emanata dallo stato di Washington. Hughes con questa sentenza varò una nuova linea giuridica conservatrice definita “moderazione giudiziaria”, ovvero interferire il meno possibile con il potere esecutivo e legislativo. Quando ciò avviene, dev’essere solo per ragioni di palese incostituzionalità.

Il nuovo attivismo

Linea che viene condivisa dall’attuale giudice capo John Roberts e fino al 2020 era riuscito a tenere sotto controllo la Corte, equamente divisa tra conservatori “attivisti” e liberal. Con la morte della giudice Ruth Bader Ginsburg è saltato questo equilibrio e John Roberts lo ha fatto notare esplicitamente in un’opinione concorrente alla sentenza sull’aborto: “Sono sbalordito dalla mancanza di dubbi delle due fazioni”.

Una nuova epoca di attivismo giudiziario conservatore però sembrerebbe essere cominciata, senza una particolare coerenza. Non è chiaro se ciò sia assimilabile all’era Lochner, dove certi argomenti divennero tabù, ma come sostiene l’editorialista conservatore del Washington Post Henry Olsen può finire nello stesso modo: grazie a un vasto movimento di opinione che voti maggioranze congressuali determinate a cambiare questo andazzo. Difficile però che avvenga nel breve periodo, anche grazie a un partito democratico che deve gestire un’ala progressista che definisce la Corte come “illegittima” solo perché non ama le sue decisioni.