La contrapposizione tra Est e Ovest ha riportato l’Europa orientale al centro di una faglia geopolitica che la fine della Guerra Fredda aveva fatto apparire come (finalmente) chiusa. La cosiddetta “fine della Storia” sembrava avere scritto il suo monumentale addio proprio lì, ai confini di Mosca, dove il Vecchio Continente aveva perso un “nemico” unendo finalmente i suoi destini con l’Occidente.
Le cose, come confermano le cronache, affermano tuttavia l’opposto. Quello che si credeva essere un destino certo, e cioè la riunificazione della Russia con il mondo europeo e a matrice euro-americana, si è tramutato in un sogno quasi utopistico. E l’Europa orientale, un tempo cesura tra i due blocchi e trafitta da quella che era chiamata la “cortina di ferro“, è tornata a essere solcata da una divisione forse addirittura più esistenziale di quella che aveva vissuto durante la Guerra Fredda. E di nuova cortina di ferro hanno cominciato a parlare analisti e politici, semplici osservatori e giornalisti, tutti ormai convinti dall’ineluttabilità di una divisione che ha riportato le lancette della storia europea indietro agli Anni Ottanta del secolo scorso.

Le differenze con la Guerra Fredda
Su questa nuova cortina di ferro va fatta tuttavia una premessa necessaria: non ha lo stesso tracciato di quella precedente. Un tempo si riteneva che questa barriera solcasse l’Europa da Trieste e Stettino, e l’asse verticale che univa Adriatico e Baltico correva lungo i confini italiani, austriaci e tedeschi. Oggi, la “cortina” è calata altrove, più a est, seguendo il tracciato delle nuove frontiere dei Paesi che nel tempo hanno preso la loro posizione all’interno dell’Alleanza Atlantica. E questo muro, adesso anche parzialmente fisico come vedremo, si è avvicinato al territorio della Federazione Russa fino a lambirlo quasi completamente, da un lato certificando la voglia dei Paesi dell’Est di sganciarsi definitivamente dall’orbita russa, dall’altro alimentando il senso di accerchiamento che è tipico della dottrina di Mosca. Per il Cremlino, una sconfitta strategica su tutta la linea, che forse la guerra in Ucraina cerca in qualche modo di essere il più tragico e parziale dei rimedi.
Questa cortina di ferro che è tornata a calare sull’Europa è oggi non solo più vicina alla Russia, ma anche più estesa. Più vicina perché mentre la sua versione precedente, quella della Guerra Fredda, solcava l’Europa ben distante dai confini russi, in quanto essa rappresentava la divisione tra blocco a guida Usa e blocco sovietico, quella di oggi di fatto rappresenta la divisione tra la Federazione Russa e il resto dell’Europa, ad eccezione della Bielorussia. Questo implica che non c’è un blocco che si contrappone a un altro, e non ci sono più nemmeno Paesi neutrali che non rientrano in questa dicotomia. La cortina di ferro è di fatto una fascia che corre lungo tutto il confine russo. Cosa che paradossalmente riduce il campo d’azione di Mosca ma allo stesso tempo rende la situazione più inquieta, perché la Russia si sente minacciata direttamente nei suoi centri di potere.
La lunghezza del nuovo fronte
Più vicina ma anche più estesa, dicevamo, perché la decisione della Finlandia di voler entrare a far parte della Nato ha ampliato (in potenza) i confini tra Nato e Russia, e ha sicuramente già allungato la cortina di ferro che rappresenta la divisione tra la Federazione e tutti quelli che la ritengono ormai distaccata. Con la fine della neutralità attiva di Helsinki, oggi la linea di confine tra Russia e Occidente parte dal punto più settentrionale della Finlandia fino ad arrivare alle acque del Mar Nero. Un lungo confine che molti Paesi hanno deciso anche di rafforzare materialmente, edificando delle vere e proprie barriere come segno di una distinzione netta tra quello che c’è di qua e al di là del muro.

Certo, non saranno chilometri di recinzioni a fornire un valido supporto in caso di (improbabile) invasione russa. Ma il segnale politico è netto al pari di quello che per molti è il vero motivo strategico dietro questi “muri”: combattere l’arma delle migrazioni utilizzabili come strumento di guerra ibrida da parte del Cremlino. Un assaggio lo si è visto, secondo i governi baltici e l’Unione europea, durante la crisi dei migranti lungo i confini della Bielorussia. Crisi che a detta di questi ultimi era appunto stata scatenata da Aljaksandr Lukashenko per mettere in crisi gli esecutivi locali sottoponendo le frontiere esterne dell’Ue e di questi Stato a un flusso di migranti ritenuto non solo artificiale ma anche espressamente ricercato da Minsk.
Le barriere continuano a essere una caratteristica centrale di questa nuova cortina di ferro. Sono state annunciate dal governo finlandese, costruite o in costruzione in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia. Per queste ultime due con uno sguardo anche all’exclave di Kaliningrad, sul mar Baltico. Recinzioni ad alta tecnologia, spesso alte diversi metri, con un’ampia rete di telecamere e sensori. Un sistema di videosorveglianza per rendere impossibile lo scavalcamento illegale dei confini ma anche per segnare una sorta di barriera politica tra l’Est e l’Ovest. Ovest di cui ora fanno definitivamente parte coloro che un tempo erano invece sotto l’impero russo o sotto quello sovietico.

Il significato della nuova cortina di ferro
Proprio a questo proposito, è importante sottolineare che la nuova cortina di ferro è qualcosa di simile ma allo stesso tempo diverso rispetto a quella della Guerra Fredda non solo sul piano geografico, ma anche sul suo significato. L’Occidente identifica oggi la Russia non tanto come potenza portatrice di un ideale politico e culturale di sistema, ma come un novello impero deciso a conquistare spazio. La cortina appare dunque un limite non tanto tra due mondi, ma tra due modi di concepire la convivenza europea, tra due sistemi che non si riconoscono, e dove mancano anche partiti di massa come i movimenti comunisti che a loro volta erano i rappresentati di ultima istanza della stessa idea che perorava l’Urss.
Oggi la Russia è una singola nazione vista come una potenza che ha desiderio di ampliare la propria sfera di influenza. Non un blocco ideologico, ma un sistema nazionale che si espande a scapito di altri e senza quella capacità di usufruire di una piattaforma ideologica e culturale in grado di portare altri Paesi o parti di esso verso il proprio interesse. Mentre dal punto di vista russo, l’Occidente viene identificato ormai come un nemico di civiltà, con cui il dialogo è interrotto su tutte le linee e sono ormai estremamente ridotti i ponti con cui ha provato, nel corso degli altri decenni, a strutturare alleanze e nuovi equilibri.
La struttura puramente nazionale del sistema putiniano fa sì che qualsiasi ampliamento della potenza russa sia appannaggio di una nazione che cerca di allargare i propri confini. E questo è chiaro tanto nella percezione occidentale ed europea verso Mosca, sia nello spirito che alimenta l’azione del Cremlino. La scelta di Helsinki, fatta esclusivamente per la paura di un conflitto con Mosca e come conseguenza della campagna ucraina, fa sì che questa frontiera sia di fatto una frontiera di chi vuole frenare un impero, cortina culturale e allo stesso tempo politico e diplomatica, come lo hanno fatto intendere più a sud i baltici e sotto ancora i Paesi dell’Europa orientale e balcanica.

Un equilibrio fragile
Una contrapposizione su cui si innestano i timori di una guerra e i rischi che scaturiscono per antiche questioni mai irrisolte e nuovi eventi in grado di scalfire un equilibrio già fragile. Lo spostamento della cortina a ridosso dei confini russi alimenta, come detto, la sindrome di accerchiamento tipica degli strateghi di Mosca. Dall’altro lato, la guerra in Ucraina ha cementato in coloro che hanno eretto questa nuova barriera la convinzione della bontà della scelta di unirsi al blocco euro-atlantico e di strutturarsi in modo da limitare qualsiasi azione russa.
Nel mezzo, Stati e comunità che cercano in qualche modo di sopravvivere a un conflitto che può diventare particolarmente impegnativo sia dal punto di vista economico che anche sociale. La sfida tra nazioni alimenta il nazionalismo ma anche sacche di resistenza da parte chi si considera estraneo a un certo blocco ideologico. La neutralità viene vista con sempre maggiore sospetto, il pericolo di quinte colonne in mano russa è latente così come il pericolo che esse si vedano ovunque anche dove ne ve ne sono.
Nel frattempo, ogni miccia può essere l’innesco di crisi che accendono piccoli e vasti incendi nel cuore dell’Europa o vicino ai confini della Federazione Russa. La crisi dei migranti tra Bielorussia e Polonia e Lituania, l’allargamento della Nato alla Finlandia (e alla Svezia), i timori per i Paesi al confine con l’Ucraina per le mire russe e le conseguenze della guerra, la frattura dei rapporti energetici e commerciali con Mosca rendono questa nuova cortina di ferro una faglia complessa e particolarmente estesa. Una guerra culturale oltre che economica e politica in cui la Russia, orfana del proprio impero, cerca di contrapporsi a un destino che la nuova cortina di ferro disegna in modo molto chiaro sulle mappe di un’Europa sempre più profondamente ancorata ai valori Ue e atlantici.