(Pechino) Lungo il secondo anello di Pechino il traffico procede a singhiozzo. Tra le auto di grossa cilindrata sfrecciano viaggiatori in scooter. È difficile assistere a incidenti e collisioni, anche se la Cina detiene il triste primato di morti su strada, con 104 morti ogni 100mila veicoli. Siamo nel cuore pulsante della nuova potenza globale che mira a superare gli Stati Uniti e tornare al centro del mondo. Che sia giorno o notte non importa, che sia mattina presto o l’ora di punta cambia poco. I quasi 22 milioni di pechinesi non conoscono tregua. Per le strade c’è un via vai continuo, un dinamismo che rispecchia a pieno la storia economica del Paese.

Da comunismo a consumismo

Gli iPhone imperversano, gli abiti alla moda non mancano. In generale è il valore della vita a essere aumentato, insieme alla qualità. Più si superano gli anelli che circondano la capitale in direzione centro e più si tocca con mano la nuova classe media cinese. L’apice è Sanlitun, un’area del distretto di Chaoyang. Qui, tra ristoranti di lusso e boutique d’alta moda, si muovono le nuove generazioni. Fuori ci sono invece i vecchi, ancora ancorati al mito del comunismo. Sembrano due mondi distanti ma a Pechino riescono a convivere, forti di un patto sociale che garantisce a tutti stabilità e benessere a pioggia.

Limiti da non superare

Se qualcuno dei “nuovi” intende superare i limiti consentiti, scattano tre barriere invalicabili. Primo: il controllo dello Stato, tra telecamere e guardie appostate in ogni dove. Secondo: la mentalità sociale, che chiama al rispetto verso i padri in nome della pietà filiale. Terzo: il confucianesimo, ripescato e riabilitato dalle autorità per guidare il comportamento delle persone. Come un corpo unico, la società cinese marcia verso la direzione indicata dal Partito. L’individualità e l’individualismo hanno vita breve e, quando consentiti, non devono oltrepassare certi perimetri.

Il passato che ritorna

Pechino è la testa dell’impero, mente e cervello dello spauracchio giallo. La vetrina storica attraverso cui riscoprire le radici millenarie della civiltà cinese. Con l’avvento del presidente Xi Jinping, il passato ha assunto un ruolo fondamentale nella narrazione del governo. Riscoprire le proprie radici è la conditio sine qua non per guardare al futuro con orgoglio. Ma, come spesso accade, i cinesi non conoscono mezze misure e tutta questa voglia di passato rischia di trasformare Pechino in una cartolina. Tanti hutong sono stati distrutti, altri ricostruiti a imitazione degli originali. Come se non bastasse i mastodontici palazzoni di vetro e acciaio hanno preso il posto delle costruzioni di pietra e legno. Il resto è un mix tra palazzoni squadrati in stile sovietico e alveari, che male si integrano con le tante costruzioni futuristiche a firma di qualche architetto di fama mondiale.

L’altra Cina

Shanghai dista circa un’ora e mezza di volo da Pechino. Le due megalopoli sono quanto mai agli antipodi. La capitale è il centro del potere, a tratti opprimente e in parte conservatrice. Shanghai è invece una vetrina, un laboratorio dove le influenze occidentali entrano in contatto con la Cina. I controlli e le telecamere sono più rari, le persone più internazionalizzate. Il benessere a Shanghai è ancora più evidente rispetto alla capitale. Il governo sta tentando di creare una classe media controllata. In cambio di ricchezze ci deve essere fedeltà al Partito. La società è iperconnessa. Acquistare un gelato, pagare la corsa su un autobus o un biglietto per la metro: basta utilizzare il portafoglio virtuale dell’applicazione WeChat.

La nuova ideologia cinese

Il comunismo da queste parti non ha più ragion d’essere. Il partito – che si chiama ancora comunista ma che potrebbe tranquillamente cambiare nome – utilizza una nuova narrazione. Il socialismo con caratteristiche cinesi è una geniale perifrasi per indicare un’ideologia che poco ha a che fare con Marx. All’apparenza ci sono riferimenti all’epopea maoista ma sotto le ceneri c’è un fuoco ben diverso. Xi Jinping sta cercando di riportare la Cina al centro del mondo, un Make China Great Again.

Tornare al centro del mondo

Per farlo, Xi intende affidarsi alla cultura autoctona e non a ideologie occidentali. Il comunismo, d’altronde, nasce in Occidente e non può essere utilizzato come arma per superare la stessa civiltà occidentale. Il piano, neanche più tanto velato di Xi, è quello di proseguire riabilitando la dimensione imperiale della Cina. Il gioco richiede prudenza e gradualità, perché basta poco per provocare risentimenti o sollevazioni. I contadini venerano ancora Mao e l’etica comunista; i giovani che hanno studiato all’estero vorrebbero andare oltre. In mezzo c’è un Presidente che coniuga i due opposti nel nuovo Impero di Mezzo.

Contraddizioni e problemi

Il Dragone è considerato il rivale numero uno degli Stati Uniti. Lo è da un punto di vista macro, ma a livello micro i cinesi hanno ancora molta strada da fare. Tante sono le contraddizioni che la Cina deve neutralizzare per poter fare la voce grossa, a cominciare dal gap sempre più profondo tra la nuova classe media e i contadini delle campagne. Non solo nel reddito pro capite, ma anche e soprattutto nel modo di vivere e pensare. Se la Cina intende davvero diventare un punto di riferimento globale deve fare in modo che la propria cultura possa essere accettata anche all’estero. Per noi tutto questo appare una contraddizione, ma per i cinesi si tratta soltanto di un aspetto fisiologico di un processo in divenire. “Una volta tutti avevamo due – spiega un tassista di Shanghai – Oggi c’è chi ha 10 e chi 4. Ma in fin dei conti tutti, in qualche modo siamo progrediti”.

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