Una notte che cambia, ancora una volta, il destino della Turchia e della sua Marina. Le autorità di Ankara hanno arrestato 10 ex ammiragli ritenuti colpevoli di aver scritto una dichiarazione che ha accusato i partiti di governo di pensare al ritiro dalla Convenzione di Montreux. Tra i detenuti c’è anche Cem Gurdeniz, l’ideatore di Mavi Vatan, la dottrina strategica della Patria Blu.
La dichiarazione, firmata da 104 ex alti ufficiali della Marina ormai in pensione, era una forte presa di posizione in difesa dell’accordo siglato nel 1936 e che regola il transito attraverso Bosforo e Dardanelli. Una convenzione messa in dubbio da uomini vicini all’Akp, il partito di Recep Tayyip Erdogan, perché, con il progetto di costruire un canale che bypassi il Bosforo, questo accordo – dicono – perderebbe di senso. Ipotesi letta con terrore da parte degli ex ufficiali di Marina che invece ritengono essenziale il mantenimento di Montreux proprio per evitare che il controllo del Bosforo e dei Dardanelli passi dalla Turchia a potenze straniere. E che considerano ancora oggi quel trattato come uno dei capolavori della strategia di Atatürk, ritenuto da questi segmenti della Marina un modello da seguire.
La dichiarazione degli ex ammiragli è stata letta dai funzionari di Erdoğan come una minaccia di colpo di Stato. Un incubo per un presidente con una leadership sempre più fragile e che ha vissuto sulla sua pelle il fallito golpe del 2016. Ma è un timore che affiora ciclicamente in Turchia anche per la sua storia più recente: i militari hanno sempre avuto un ruolo molto attivo in politica, a tal punto da aver organizzato colpi di Stato nel momento in cui ritenevano in pericolo la Costituzione repubblicana.
Erdogan non ha mostrato alcun dubbio. Il “Sultano” ha accusato gli ex ammiragli dicendo che quella dichiarazione non era da considerare frutto della libertà di espressione ma un messaggio che racchiudeva l’ipotesi di un golpe. “Questo atto, avvenuto a mezzanotte, è sicuramente in malafede”, ha detto Erdogan, sia “nel tono” che “nel metodo”. “Non è in nessuna circostanza accettabile per ammiragli in pensione fare un tale attentato nel cuore della notte in un Paese la cui storia è piena di colpi di stato e memorandum”, ha aggiunto Erdogan una volta terminato il vertice con il capo dell’intelligence, il capo di stato maggiore e i principali membri del gabinetto. E per adesso non sembrano esserci annunci di alcuna marcia indietro.
La raffica di arresti è particolarmente interessante per tutta la Turchia. Non è un mistero che Ankara da tempo viva una situazione fatta di arresti e di accuse di cospirazioni e tentativi di golpe. E tutto questo si è ampiamente accentuato dopo il fallito golpe del 2016, vero momento di svolta della politica di Erdogan sia a livello interno che a livello esterno.
Ma fa riflettere che a finire questa volta sotto la scure della procura turca sia quel mondo kemalista e nazionalista che in realtà sembrava aver ottenuto il sostegno dallo stesso presidente dopo il fallito golpe. Lo dimostra l’importanza che Mavi Vatan ha assunto in questi anni nel dibattito pubblico turco, ma lo conferma anche il fatto che i suoi principali ideologi sono diventati personaggi noti al grande pubblico proprio dopo il 2016, anno in cui Erdogan non solo ha ricominciato a interessarsi al mare, ma anche a ricucire i rapporti con l’universo dei militari kemalisti. Per il mondo di Gurdeniz e degli alti ufficiali di Marina turchi, il momento in cui la Patria Blu è diventata parte della strategia nazionale ha rappresentato il punto di svolta di un rapporto difficile con l’Akp e che ebbe il suo punto più basso quando la Marina fu completamente decapitata da un’altra pesantissima raffica di arresti che aveva coinvolto anche in quel caso il contrammiraglio Gurdeniz. Era il 2011, l’esplosione dei processi “Ergenekon” e “Sledgehammer” portò alla condanna del contrammiraglio e di altri ufficiali di Marina. Un’altra lunga notte che la moglie dell’ammiraglio ricorda benissimo e che, intervistata a Cumhuriyet, ha messo in parallelo con quanto accaduto in queste ore: “Dieci anni fa, abbiamo avuto un processo di tre anni e mezzo. Adesso è un déjà vu in tutte le sue forme. Sento che stanno accadendo le stesse cose e sono preoccupata sia per me che per il mio paese. Questi uomini hanno espresso un’opinione, e in nessun altro paese al mondo sarebbe avvenuta un’indagine per questo motivo”.
In quell’occasione, Gurdeniz accusò indirettamente gli Stati Uniti di essere il vero mandante degli arresti, e in molti articoli si cita proprio il pericolo nato dalla rete del predicatore Fetullah Gulen. La sua teoria è che gli apparati turchi più atlantisti avrebbero provveduto a decapitare la Marina prima che potesse aumentare la propria forza e soprattutto provare a spostare il baricentro turco verso una progressiva autonomia strategica. Gli stessi indiziati – nella prospettiva di Erdogan – del fallito colpo di mano del 2016.
Una ferita che si è chiusa solo momentaneamente dopo il golpe ma che ha iniziato a riaprirsi in questi ultimi mesi in cui la Patria Blu, Mavi Vatan, sembrava in grado di essere la dottrina portante della strategia turca. Ricordiamo infatti che l’altro alto ufficiale che si era prodigato per Mavi Vatan, l’ammiraglio Yachi, aveva subito un decreto presidenziale con cui si ordinava la sua degradazione. Onta che Yachi ha preferito evitare dimettendosi e tornando a insegnare all’università, ma che ha comunque fatto comprendere allo stesso Gurdeniz di dover stare particolarmente attento ai movimenti del governo.
Ora, con la nuova ondata di arresti, l’impressione è che Erdogan abbia effettuato due azioni in contemporanea. Da un lato ha fermato quella componente della Marina che ha spinto per una nuova dottrina molto pervasiva della strategia del Paese e che si rifà apertamente ad Atatürk. Una scelta diametralmente opposta all’islamismo erdoganiano dell’Akp e alle direttive di Devlet Bahçeli, regista oscuro della politica del Sultano e artefice della svolta estremista degli ultimi tempi confermata dall’uscita dalla Convenzione per i diritti delle donne. E questo probabilmente ha inciso (e non poco) sulla rapidità con cui i funzionari turchi hanno proceduto all’arresto della scorsa notte. Erdogan ha sfruttato la Patria Blu per espandere la proiezione di forza turca nell’Egeo e nel Mediterraneo orientale, gli serviva dopo l’ondata di arresti per il presunto golpe, e soprattutto aveva bisogno di quella lettura geostrategica indipendente da Washington. Dall’altra parte, il presidente turco ha fatto intendere a tutti i partiti e movimenti extra-governativi che non saranno tollerate “fughe in avanti”, mettendo bene in chiaro che la giustizia è di nuova pronta a intervenire. E a tal proposito, non va dimenticato che questo mese ci sarà una vera e propria resa dei conti tra Erdogan e gli accusati del golpe del 2016, con 33 processi in programma e 816 imputati. Già mercoledì sarà data lettura della sentenza per 497 imputati per quello che viene chiamato il processo alla “guardia presidenziale”. E con gli arresti in Marina il giro di vite sembra essere sempre più netto.
Questi arresti sono anche un segnale di una nuova politica strategica turca? La domanda ora affiora con le analogie per i processi del 2011. Arrestando Gurdeniz, l’impressione è che la sua Mavi Vatan possa essere trasformata nuovamente in una dottrina che serpeggia nelle patrie galere e non più, come avveniva fino a pochi giorni fa, nei talk show televisivi e sui manifesti in giro per le strade. Patria Blu si presentava come la dottrina strategica di ascesa della potenza navale turca, ma anche come un segnale di riscossa dei kemalisti. In assenza del suo ideologo e con l’arresto di così tanti ex ammiragli, potrebbe anche essere l’inizio di un’ulteriore nuova era di rapporti tra Ankara e il Mediterraneo. La questione del Bosforo diventerà pertanto centrale per capire da che parte vorrà dirigersi la Turchia anche sul fronte marittimo. Russia e Stati Uniti osservano con molto interesse. Montreux interessa a entrambi e a nessuno sfugge che il Bosforo e il prossimo Canale di Istanbul rappresentano prima di tutto le porte di Mosca per il Mediterraneo. Una Turchia che mette in dubbio l’accordo sul transito in quello stretto è un problema che il Cremlino non potrà certo sottovalutare: specialmente se andrà avanti il piano del nuovo canale.