La Macedonia del Nord è diventata il membro numero 30 dell’Alleanza Atlantica il 27 marzo, dopo mesi di discussioni, sancendo la chiusura della partita contro la Russia nei Balcani, che ormai sono passati sotto il controllo definitivo dell’asse euroamericano dopo oltre un ventennio di processi d’integrazione guidati da Unione Europea e NATO.

Soltanto la Bosnia ed Erzegovina rimane al di fuori dell’Alleanza Atlantica, per il momento, ma non essendo un alleato od un paese in relazioni di stretto partenariato con la Russia, la sua esclusione non rappresenta un problema. Ciò che conta, infatti, è che la Serbia, l’ultimo alleato rimasto al Cremlino nella regione, è completamente accerchiata, quindi inerte, perciò d’ora in poi il focus dell’alleanza militare sarà spostato su un obiettivo ricercato da lungo tempo: l’allargamento fino ai confini della Russia.

Gli occhi su Ucraina e Georgia

All’indomani dell’ufficiale adesione della Macedonia del Nord, Kay Bailey Hutchison, rappresentante permanente degli Stati Uniti nella NATO, ha rilasciato delle dichiarazioni importanti sul futuro dell’alleanza e dei rapporti con Georgia, Ucraina e Bosnia Erzegovina: “Siamo impegnati con tutti quei paesi affinché diventino futuri membro della NATO […] Siamo stati in Georgia, siamo stati in Ucraina, vogliamo che le loro riforme vadano avanti affinché possano prevalere sulla disinformazione russa e nel rafforzamento dei confini di parte dei loro paesi”.

Le affermazioni della Hutchison seguono quelle, altrettanto significative, di Vadym Prystaiko, il responsabile per i processi d’adesione dell’Ucraina nell’Unione Europea e nella NATO: “Non c’è alcuna clausola nei documenti fondativi della NATO che proibisce ad un paese in un conflitto militare di accedere alla NATO. Perciò, da un punto di vista legale, l’Ucraina ha le stesse opportunità degli altri paesi che non sono in guerra. La decisione politica sull’Ucraina nella NATO dipenderà dallo sviluppo del nostro paese – l’introduzione di riforme militari ed altre, il garantire la democrazia e lo stato di diritto, ecc. Noi entreremo sicuramente a far parte della NATO, è solo una questione di tempo”.

Le parole della Hutchison e di Prystaiko sono indicative di quello che sarà il destino dell’alleanza e sono un segno d’allarme per il Cremlino, perché indicano un profondo cambio di paradigma: la presenza di conflitti congelati all’interno dei paesi candidati all’adesione non rappresenta più un problema, come invece era stato fino ad oggi.

I rischi dell’allargamento

Le conseguenze di un’eventuale entrata di Georgia e Ucraina nella NATO, perciò, potrebbero estremamente gravi, alla luce della situazione vissuta dalla prima in Abcasia e Ossezia del Sud e dalla seconda nel Donbass. In entrambi i casi, si tratta di realtà complicate, di stati centrali che hanno perso il controllo su una parte consistente di territorio, nella quale si sono instaurate delle vere e proprie entità statuali, a riconoscimento limitato, che esistono esclusivamente per soddisfare le esigenze del Cremlino.

Qualora i due paesi dovessero effettivamente entrare a far parte dell’alleanza, è possibile, ma non probabile, che la Russia possa rispondere dando luce verde ai secessionisti affinché riaccendano le ostilità, ma questo significherebbe essere pronti ad affrontare un’escalation militare che, alla luce del diritto-dovere della difesa collettiva, potrebbe legittimare un intervento in forze da parte di 30 paesi. L’esistenza dei piccoli stati non riconosciuti dell’Abcasia, dell’Ossezia del Sud, di Lugansk e di Donetsk, sarebbe messa a repentaglio, sullo sfondo del rischio di un allargamento del conflitto alla Russia.

Un messaggio (anche) alla Moldavia

Ma c’è anche un altro scenario, che non ha a che fare con la guerra, e riguarda un altro paese che è sempre più in balìa del confronto fra Occidente e Russia: la Moldavia. Le dichiarazioni di Prystaiko toccano indirettamente Chișinău, che dagli anni ’90 è mantenuta artificialmente nell’orbita moscovita attraverso la Transnistria, ma il cui incamminamento verso l’Europa è inevitabile ed è largamente sponsorizzato dall’influente vicino, la Romania, che su esso esercita un’imponente e crescente influenza multilivello: politica, diplomatica, culturale, economica.

Nel momento in cui la presenza di stati di conflitto cessa di essere un problema per Ucraina e Georgia, è chiaro che il messaggio venga automaticamente inviato anche alla Moldavia, ed è probabile che sia stato già recepito. Non si tratta di fantasie, perché l’allontanamento del paese dalla sfera d’influenza russa rientra fra gli obiettivi dell’agenda estera dell’amministrazione Trump, come palesato dalla sosta di John Bolton a Chișinău avvenuta lo scorso agosto nel corso di un tour dell’Europa orientale, mentre l’allora presidente Maia Sandu partiva per una storica visita a Washington, emblematicamente lunga – cinque giorni.

La NATO continuerà ad allargarsi, i dogmi sull’intoccabilità dei “cortili di casa” sono caduti nel 2014, con Euromaidan, ed il prossimo obiettivo sarà l’arrivo dei militari e degli armamenti euroamericani lungo i confini russi; uno scenario impensabile ai tempi della guerra fredda, durante la quale fu necessario il dispiegamento degli euromissili in Turchia a suscitare una crisi pesante fra i blocchi.

Ma la Russia non è l’Unione Sovietica e l’Ucraina era stata il terreno di prova per testare le reali capacità del Cremlino, che dall’Occidente non sembrano essere state considerate motivo di preoccupazione e, adesso, lo sguardo è ancora più fissato su Kyev e Tbilisi, sognando l’accerchiamento totale di Mosca.