Più di qualche analista politico era pronto a scommettere che la fine del regime sovietico avrebbe rappresentato la fine della Nato. Ormai i Paesi europei, protetti dalla potenza americana, non avevano più niente da temere. Il socialismo reale era crollato e aveva portato con sé le paure che per lunghi decenni avevano turbato il sonno del Vecchio continente. Lo scudo dell’Alleanza perdeva quindi il suo scopo principale, quello di difendere i suoi membri da Mosca. Mai valutazione fu più sbagliata.[Best_Wordpress_Gallery id=”351″ gal_title=”Soldati Nato Trump”]Al momento del crollo del Muro i Paesi sotto l’ala protettiva della Nato erano 16 e comprendevano gran parte dell’Europa occidentale. Ma nel giro di un decennio il loro numero è salito prima a 19 poi a 26 nel 2004. In poco meno di vent’anni l’Alleanza atlantica ha di fatto raccolto quasi tutta l’Europa allargandosi verso Est. Ultimi arrivati alcuni Stati della dissolta Yugoslavia come Slovenia e Croazia, insieme all’Albania.L’anno cruciale per capire come la Nato ha ridefinito i rapporti dell’Europa con la Russia post sovietica è il 2004. Esattamente dieci anni prima della guerra civile in Ucraina. In quell’anno entrarono nel gruppo atlantista una manciata di Stati che fino a 15 anni prima erano stati nel blocco sovietico. In particolare le tre repubbliche sovietiche, Estonia, Lituania e Lettonia e la Polonia. Questo di fatto ha permesso alla Nato di restringere ancora di più la sfera di influenza della Russia.Potenzialmente le basi dei vari Paesi alleati si possono considerare come basi Nato, anche se alcune strutture sono state adibite esclusivamente per l’Alleanza. In questo senso sono emblematici tre casi. In Italia sette strutture militari possono essere considerate strutture Nato. Tre in Veneto e Friuli, tra Aviano, Vicenza e Verona. Un’altra di stanza a La Maddalena, in Sardegna, una a Napoli, dove sono alla fonda i sottomarini alleati del Mediterraneo e una in Puglia. Senza dimenticare la sede di Roma che rappresenta il comando centrale Nato per l’area Mediterranea.Altro esempio di questa progressiva diffusione delle strutture nato sono le tre repubbliche baltiche. Lettonia, Estonia e Lituania, che sono sprovviste dell’aviazione, hanno chiesto fin dalla loro adesione un supporto all’Alleanza mettendo a disposizione circa 8 strutture destinate a usi diversi, come depositi, centri di addestramento e basi vere e proprie. Ultimo caso quello della Grecia. Falcidiata dalla crisi economica è uno dei pochi stati dell’Unione ad aver mantenuto alte le spese per la Difesa. Attualmente a disposizione della Nato ci sono ben tre strutture, una a Perveza, una a Larissa e una nel nord del Paese a Thessaloniki.
L’escalation nell’area ha causato diverse problematiche. Sia pratiche che geo politiche. Sul piano della normale attività quotidiana ha fatto aumentare in modo vertiginoso gli incidenti. Tra il 2014 e lo scorso anno ci sono stati quasi una settantina di episodi che potevano sfociare in uno scontro nei cieli dell’Europa orientale. In particolare il lembo di mare che divide le tre repubbliche baltiche con Finlandia e Svezia è diventato il teatro di incontri ravvicinati che non si sono trasformati in conflitti a fuoco per pura fortuna. L’indice di questa situazione viene ben rappresentato anche dall’esponenziale aumento di contatti di routine una volta quasi assenti e ora presenti nella media di uno ogni 5-6 giorni.Ma ad aumentare la tensioni sono anche le esercitazioni che l’alleanza ha condotto in tutta l’area, come nel caso dell’operazione ‘Anaconda 16’. Il 6 giugno scorso, per 10 giorni, le forze Nato hanno svolto una serie di esercitazioni in Polonia alle quali hanno partecipato oltre 30 mila uomini di 24 Paesi diversi. Con l’occasione persino i carri armati tedeschi sono tornati sul suolo polacco per la prima volta dopo il secondo conflitto mondiale. Un dispiegamento di forze che ha coinvolto anche altri Stati come Svezia, Finlandia, Macedonia, Kosovo, Georgia e soprattuto Ucraina. Un’operazione a trazione anteriore americana con 13 mila uomini dell’esercito a stelle e strisce, 12 mila polacchi e 800 tedeschi.Una dimostrazione di forza come non si vedeva da tempo in tutta l’area.
Il messaggio lanciato con ‘Anaconda 16′ aveva almeno tre scopi. Il primo, forse il più banale, era quello di testare le capacità degli eserciti alleati nell’Europa centro orientale. Il secondo mirava a tranquillizzare la Polonia e gli Stati limitrofi dopo i fatti ucraini, mentre il terzo è infondo un messaggio per Mosca. Con la sua operazione la Nato ha cercato di mostrare i muscoli, come se spiegasse alla Russia che altre situazioni simili a quelle successe nell’est dell’Ucraina non verranno tollerate.Il crollo dei regimi comunisti in Europa ha avuto il paradossale effetto di fare allargare a dismisura l’architettura atlantica. Che da un lato ha accerchiato la Russia con nuovi alleati sempre più vicini ai suoi confini e dall’altro ha militarizzato la zona con esercitazioni e nuovi contingenti. Mosca ha invano provato a cercare una mediazione sul piano diplomatico spingendo alla creazione di una zona cuscinetto, ma questi appelli sono caduti nel vuoto costringendo la stessa Russia a spostare truppe e munizioni nell’area, in particolare coi sistemi missilistici Iskander piazzati nell’enclave di Kaliningrad, finendo col ritornare a una sorta di punto di partenza. Con una nuova cortina di ferro che in venticinque anni anziché sparire si è spostata solo un po’ più a est.