È stato un risveglio traumatico per Bucarest quello dello scorso venerdì. Gholam Reza Mansouri, un cittadino iraniano ricercato dalla giustizia di Teheran e dall’Interpol, è deceduto in quello che sembra un caso di apparente suicidio. A poche ore di distanza dall’accaduto, però, hanno iniziato a circolare delle ricostruzioni differenti e confliggenti sulla morte dell’uomo che hanno spinto l’Iran a chiedere che venga fatta chiarezza.
La ricostruzione dell’accaduto
Mansouri si trovava da alcuni giorni agli arresti domiciliari presso l’hotel Duke di Bucarest, nel cuore della capitale, a pochi minuti di distanza da piazza della Vittoria e dal quartiere delle ambasciate. Era stato fermato dalla polizia rumena su avviso dell’Interpol, a sua volta emesso per soddisfare una richiesta proveniente da Teheran, dove l’uomo era ricercato per reati di corruzione.
Era stato in Germania fino all’8 giugno e, da allora, se ne erano perse le tracce; perciò la sua improvvisa comparsa in Romania aveva colto di sorpresa tanto Bucarest quanto Teheran ed erano in corso accertamenti per capire come fosse arrivato nel paese e di quali appoggi godesse nel continente.
Nell’attesa di chiarirne la posizione, fare luce su come fosse giunto in Romania, preparare le pratiche per l’estradizione ed evitare una possibile fuga, Mansouri era stato posto sotto stretta sorveglianza: le telecamere della struttura erano costantemente accese per controllare le entrate e le uscite e diversi agenti di polizia erano di pattuglia.
Nella notte fra giovedì e venerdì, però, qualcosa nel sistema di controllo non ha funzionato, perché la mattina del 19 giugno il corpo di Mansouri è stato ritrovato senza vita dal receptionist. Secondo la prima ricostruzione, l’uomo si sarebbe gettato dalla finestra della sua camera, al sesto piano, morendo sul colpo. Quello che all’inizio sembrava essere un apparente suicidio, probabilmente per evitare l’estradizione a Teheran, ha rapidamente assunto i caratteri di un intrigo internazionale, perché su cosa sia realmente accaduto hanno iniziato a circolare delle versioni differenti e confliggenti.
I dubbi e le accuse dell’Iran
Nelle ore immediatamente successive alla morte di Mansouri la ricostruzione preliminare è stata sfidata dalla comparsa di una versione che, se provata, invaliderebbe completamente la precedente. Secondo la polizia, il cadavere dell’uomo non sarebbe stato ritrovato all’esterno dell’hotel ma all’interno, più precisamente nella hall, dove sarebbe precipitato da un piano superiore. Si tratterebbe di suicidio anche in questo secondo caso, ma la discrepanza tra le due versioni è profonda: una presume che il corpo sia stato ritrovato all’esterno dell’hotel, l’altra indica che il corpo sia stato trovato nella hall.
L’impianto di telesorveglianza dell’albergo avrebbe potuto aiutare gli inquirenti a far luce sull’accaduto ma, quella notte, il caso ha voluto che fosse spento. Secondo fonti anonime della polizia rumena, che hanno parlato con il quotidiano Aderavul, le telecamere sarebbero state spente pochi minuti prima dell’ora del decesso appurata dai medici legali.
Il quadro che emerge è inquietante: due versioni contrastanti sull’accaduto ed un impianto di telesorveglianza che è stato disattivato negli istanti precedenti al presunto suicidio. Il governo iraniano, che da alcuni giorni aveva preso contatto con Mansouri attraverso il proprio ambasciatore a Bucarest per convincerlo a fare ritorno nel paese e collaborare con la giustizia, ha convocato l’ambasciatore rumeno a Teheran e sollecitato gli investigatori a “fornire una dichiarazione ufficiale che spieghi le ragioni esatte di questo incidente”.
Chi era Mansouri?
Gholam Reza Mansouri, 66 anni, era un volto molto conosciuto fuori e dentro l’Iran. Aveva alle spalle una lunga carriera come giudice, celebre per le condanne particolarmente severe inflitte a manifestanti, giornalisti e dissidenti politici, ma negli anni recenti si era allontanato dal regime khomeinista, preferendo il profitto alla causa della rivoluzione.
L’anno scorso si era verificato il punto di rottura: Mansouri era fuggito dal paese con circa 500mila euro, guadagnati illegalmente stando alle accuse della magistratura; per questo motivo il governo iraniano si era rivolto all’Interpol nell’aspettativa di accelerarne la cattura ed il rimpatrio. A Teheran, Mansouri avrebbe dovuto prendere parte, come imputato, ad un maxi-processo per corruzione ed appropriazione indebita che vede coinvolte più di 20 persone, fra le quali elementi di spicco delle istituzioni come l’ex vicecapo del potere giudiziario, Akbar Tabari.
Mansouri, comunque, non era ricercato soltanto da Teheran ma anche dall’organizzazione non governativa Reporter Senza Frontiere (Rsf), che lo accusava di essere “un giudice solo formalmente, ma in realtà uno strumento di oppressione per la libera informazione e i media in Iran”. Rsf aveva provato in vano a bloccare Mansouri dapprima in Germania e poi in Romania, chiedendo in entrambi i casi di bloccare l’estradizione e processarlo nell’Unione Europea per crimini contro l’umanità.
Chi voleva la sua morte?
Rsf ha pochi dubbi al riguardo: Mansouri era ricercato in Iran e, quindi, il mandante si troverebbe lì. L’organizzazione non governativa ha ragione su un punto, se di omicidio si tratta è stato pianificato a Teheran, ma sbaglia su un altro, perché a beneficiare del suo decesso non è stato il governo rivoluzionario. Infatti, stando ad una ricostruzione approfondita dell’analista politico Reza Haqiqatnezhad, sembra che la sua fuga all’estero fosse stata coordinata con alcuni degli imputati per evitare che venisse costretto, tramite torture ed altri mezzi di pressione, a rilasciare dichiarazioni compromettenti in sede processuale sul sistema di tangenti e appalti miliardari scoperto dalla giustizia iraniana.
In particolare, un ruolo di primo piano nella fuga e nel recupero dei 500mila euro sarebbe stato giocato dal miliardario Hassan Najafi, imprenditore nella petrolchimica e nelle grandi costruzioni che figura tra i principali sospettati al processo in corso. Najafi, a sua volta, è imparentato con Ali Akbar Nateq Nuri, ex ispettore capo presso l’ufficio della guida suprema.
Mansouri, Tabari, Najafi, Nuri, persone accomunate dal potere esercitato all’interno dell’ordine rivoluzionario, rappresentanti di una parte corrotta che è stata messa alla sbarra ed estromessa dagli incarichi di prestigio in quello che appare come un semplice processo ma che, in realtà, è un’opera di pulizia molto importante. Mansouri sarebbe dovuto rimanere in Europa, al riparo dal processo, ma il suo arresto a Bucarest avrebbe sconvolto i piani dei suoi potenti protettori.
Il governo iraniano aveva immediatamente mobilitato il proprio personale diplomatico nella capitale rumena per convincere l’uomo a tornare in patria e collaborare con la giustizia, magari in cambio di qualche immunità e concessione. Mansouri si era mostrato incline al dialogo e tre giorni prima del presunto suicidio era stata diffusa l’indiscrezione che un aereo privato delle Guardie della Rivoluzione era pronto a prelevarlo. La sua morte impedirà alla giustizia iraniana di fare luce su uno dei più grandi scandali di corruzione scoppiati negli anni recenti e, al tempo stesso, ha liberato gli accusati della sua presenza scomoda.