Una tappa rapida, veloce, ma piena di significati. È quella che ha compiuto il capo dello Stato maggiore congiunto degli Stati Uniti Mark Milley. Il generale, dopo le tappe in Europa e Israele, sabato si è fermato per una visita lampo nella base di Al Tanf, un avamposto tra le sabbie del deserto siriano nel triangolo Siria-Giordania-Iraq.
Il blitz di Milley, ha scritto il Wall Street Journal, ha rimarcato l’importanza dell’area per Washington ribadendo la centralità delle operazioni contro l’Isis nella regione. Una mossa che anticipa le future raccomandazioni che lo stesso generale dovrà formulare per il proseguo della missione in territorio siriano.
Gli Stati Uniti attualmente sono presenti in Siria con circa 900 uomini e sono stanziati di diversi avamposti in tutta la Siria orientale. Ufficialmente il loro compito è quello di condurre operazioni scontro quello che rimane delle bandiere nere e dare supporto, in termini di addestramento, alle Sdf, Syrian democratic forces, un ombrello dell’opposizione siriana a trazione curda che ha combattuto contro le forze di al-Baghdadi fino al crollo del Califfato. Milley ha spiegato che la missione in terra siriana, iniziata circa otto anni fa, nel 2014, è vitale soprattutto se considerata in termini di rapporto costi-benefici. Una missione, ha sottolineato il generale, importante per tenere alta la pressione sui miliziani dello Stato islamico asserragliati nel deserto siriano.
Il messaggio all’Iran
Ma quella del capo di Stato maggiore è una visita dai molti messaggi, lanciati ad alleati e nemici sia lungo il fonte esterno che contro il fronte interno. Se a livello di immagine il primo destinatario di questi messaggi è ciò che resta dello Stato islamico, a livello più profondo la missiva è andata all’Iran. Da diverso tempo gli Stati Uniti, e la coalizione globale contro l’Isis, hanno ingaggiato una guerra fantasma con forze iraniane e filo iraniane nella Siria Sud Orientale. La stessa base di Al Tanf in più di un’occasione è finita nel mirino degli iraniani, colpita con colpi di mortaio o raid coi droni.
Dopo la morte del generale iraniano Qasim Soleimani avvenuta in Iraq per mano di un drone americano, la pressione dei Pasdaran sulle forze americana tra Iraq e Siria è andata via via crescendo. Lo stesso Milley è arrivato alla base su un cargo grigio opaco anonimo per non dare eventuali punti di riferimento alle milizie della Repubblica islamica che operano nella zona.

Come ha notato Al Monitor la visita dell’ufficiale è un telegramma informale a Teheran che Washington non intende ridurre la pressione nella regione e questo soprattutto dopo gli ultimi sviluppi nella guerra in Ucraina. L’amministrazione Biden è sempre più preoccupata di come la partnership tra Iran e Russia si sta evolvendo. Il timore, ha notato Al Monitor, è che il supporto fornito dall’Iran alla Russia nel conflitto in Ucraina possa comportare anche un supporto tecnologico russo alla già avanzata industria iraniana di droni e missili guidati. Un trasferimento di know-how che potrebbe dare maggiore spazio di manovra ai guardiani della rivoluzione, e relativi proxy, in tutto il Medio Oriente. Non a caso poco meno di qualche settimana fa le forze armate iraniane hanno voluto lanciare un messaggio simbolico forte con l’inaugurazione di una base sotterranea.
Che il quadrante sia tutt’altro che secondario è dimostrato anche dalla crescente pressione aerea delle forze russe che eseguono sorvoli non autorizzati sopra le basi americane in tutta la Siria, come forma di pressione sulle forze statunitensi.
L’avvertimento a Isis
La tappa di Milley ha lanciato un messaggio anche allo Stato Islamico. Se è vero che il crollo del Califfato ha contenuto la minaccia jihadista, è altrettanto vero non l’ha estirpata del tutto. I nodi irrisolti sono diversi. Dopo quattro anni dalla definitiva sconfitta del reame delle bandiere nere almeno 10 mila combattenti rimangono stipati nelle prigioni sotto il controllo del Sdf, prigioni che restano un facile bersaglio delle cellule del terrore e che rimangono delle polveriere pronte ad esplodere.
Nell’ultimo anno sono stati registrati almeno due assalti alle prigioni. In particolare all’inizio del 2022 una cellula dell’Isis ha assaltato la prigione di Ghwean, nell’area di Hasakah nel Nord-Est della Siria, scatenando feroci combattimenti e la morte di oltre 300 combattenti prima che americani e forze curde riuscissero a riprendere il controllo dell’area.
Che la guerra contro i tagliagole non sia finita lo certifica il numero di attività anti terrorismo condotte nell’ultimo periodo. A febbraio Al Monitor ha contato almeno 15 blitz contro operativi e reti di finanziamento islamista nei settori settentrionali della Siria. Matthew McFarlane, generale a capo del Joint Task Force che presiede la missione anti-Isis avviata nel 2014, ha spiegato come nell’area “ci sia ancora aspiranti combattenti pronti a diffondere l’ideologia dell’Isis”.
Durante un briefing tenuto proprio con Matthew McFarlane, Dana Stroul vice assistente del dipartimento della Difesa per il Medio Oriente, ha spiegato che gli Usa intendono mantenere una certa pressione nell’area fino alla completa sconfitta dell’Isis. E per questo, ha aggiunto, che gli Usa continueranno a lavorare con le forze del Sdf e dell’esercito iracheno per migliorare le capacità anti terrorismo.
Il fronte interno
La missione ad Al Tanf è però anche un segnale che Pentagono e Casa Bianca hanno voluto mandare al Congresso. Il 22 febbraio scorso il deputato repubblicano Matt Gaetz, membro dell’area più ultra trumpiana e isolazionista del partito, ha presentato un disegno di legge per chiedere la fine dell’impegno americano in Siria. A spingere il rappresentante della California la notizia del ferimento di quattro soldati americani durante un raid contro un esponente dell’Isis nel sud della Siria. Difficile che il provvedimento passi, ma si tratta di un ennesimo fronte che una fetta del Congresso vuole aprire contro la politica estera dell’amministrazione Biden.