“Proteggiamo l’Arabia Saudita, sono ricchi e io voglio bene al re, a re Salman, ma gli ho detto: ‘Ti stiamo proteggendo, non dureresti due settimane senza di noi, devi pagare per il tuo esercito'”. Queste le parole pronunciate da Donald Trump ieri durante una manifestazione a Southaven, nel Mississippi.
Non è la prima volta che il presidente americano usa parole di fuoco contro Riad. Durante la campagna elettorale, Trump ha infatti detto, come ricorda Il Sole 24 ore: “‘L’Arabia tratta le donne come schiave e uccide gli omosessuali” (giugno 2016). Oppure: ‘Chi ha fatto esplodere le torri gemelle? Non sono stati gli iracheni. Sono stati i sauditi. Date uno sguardo all’Arabia Saudita. Aprite i documenti’ (17 febbraio 2016). O, solo due mesi fa, quando si era già insediato alla Casa Bianca. ‘Francamente parlando, l’Arabia Saudita non ci ha trattato in modo corretto. Abbiamo perso una quantità enorme di soldi per difenderla'”.
Poi, una volta alla Casa bianca, Trump ha cambiato atteggiamento ed è diventato più conciliante. Pochi mesi dopo il suo insediamento, il presidente americano è volato in Arabia Saudita – assieme a una delegazione di uomini di affari di Boeing, General Electric e Lockkheed – ed ha siglato un accordo da 110 miliardi di armi. Business is business. E con una firma cancellava tutte le accuse mosse contro Casa Riad, tra cui l’abbattimento delle Torri Gemelle.
Nel film Tutti gli uomini del presidente, c’è una frase che può aiutarci a capire il repentino cambiamento del tycoon: “Follow the money“, ovvero “segui i soldi”. Prima di essere un presidente, Trump è innanzitutto un imprenditore. Uno che ha fatto degli affari la sua vita e che sa come ottenere i vantaggi migliori attraverso l’arte del negoziato. Lo si è visto con la Corea del Nord. Trump ha alzato i toni e li ha esasperati, arrivando perfino a chiamare Kim Jong-un “rocket man”. Nel frattempo, la diplomazia lavorava e, nel giro di pochi mesi, si metteva la parola fine (almeno per il momento) a uno dei più grandi grattacapi geopolitici del secolo.
La stessa strategia, Trump la sta usando anche con l’Arabia Saudita. Dalla stessa fondazione del regno, Casa Saud dipende dalla potenza straniera di turno. Prima degli inglesi e poi degli americani. Non a caso, uno degli eventi che scatenò l’odio americano in Osama bin Laden fu proprio il vedere le truppe americane sul suolo saudita durante la Prima guerra del Golfo. Quella – nell’ottica del fondatore di Al Qaeda – era l’immagine di un Paese sottomesso.
Cosa vuole Trump dall’Arabia Saudita?
Da uomo d’affari, Trump sa che può far fare all’Arabia Saudita qualsiasi cosa desideri. Senza le armi americane, il regno wahabita non durerebbe. Bisogna però capire cosa voglia realmente il presidente americano da Riad. Quindi, seguiamo i soldi. La prima pista è quella del petrolio. Nei giorni scorsi – riporta Il Sole 24 Ore – Trump “non si è limitato a intimare all’Opec di abbassare i prezzi del petrolio – prima con l’ennesimo tweet, poi dal palco delle Nazioni Unite – ma secondo un copione già collaudato si è mosso anche lontano dai riflettori, rivolgendosi al produttore ‘di fiducia’, l’Arabia Saudita. Sabato il presidente ha telefonato al re Salman in persona, per discutere, sempre secondo l’agenzia Spa, degli sforzi congiunti per mantenere i mercati petroliferi ben riforniti. E Riad cerca di non deludere”.
C’è poi un’altra pista, che porta dritta in Siria. L’amministrazione Trump, infatti, sta cercando un modo per uscire dalla Siria senza perderci troppo. La scorsa settimana, James Jeffrey, rappresentante del Dipartimento di Stato, ha detto che gli Stati Uniti non lasceranno il Paese mediorientale fino a quando le potenze internazionali non troveranno un accordo. Ma è probabile che Washington stia lavorando per esser sostituita da un alleato fidato (ovvero ricattabile) che possa lavorare al suo posto. O che paghi gli americani per rimanere lì. E Riad è l’ideale. Lo scorso aprile, per esempio, Trump ha detto chiaro e tondo: “L’Arabia Saudita è molto interessata alla nostra decisione e io ho detto, ‘Beh, sai, vuoi che restiamo, forse dovrai pagare'”. Pochi giorni dopo, il Wall Street Journal pubblicò un’indiscrezione secondo la quale il presidente americano sarebbe stato disposto a sostituire i militari americani impiegati in Siria con una forza militare composta dalle forze di Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar.
Difficile dire a cosa stia lavorando il presidente americano. Per capirlo, dovremo vedere le sue prossime mosse. E, ovviamente, seguire i soldi.