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Nonostante il monito della comunità internazionale e dell’Onu, migliaia di ebrei israeliani si sono radunati il 29 maggio a Gerusalemme per festeggiare la Marcia delle Bandiere. La marcia segna l’anniversario dell’occupazione di Gerusalemme Est avvenuta nel giugno del 1967 con la Guerra dei sei giorni. La guerra vide dispiegate le forze israeliane contro quelle di diversi paesi arabi e finì con la decisione unilaterale di Israele di annettere e di riconoscere la parte est di Gerusalemme – musulmana e palestinese – come capitale “indivisibile” del Paese. La riunificazione della città va, secondo le autorità israeliane, celebrata ogni anno nel cosiddetto “Giorno di Gerusalemme” e ha una connotazione forte in quanto riconosce da quel momento la sovranità di Israele sull’intera città.

Domenica la marcia ha provocato un’ondata di odio e violenza che ha messo a ferro e fuoco tutta la città. Con la protezione di tremila agenti di polizia, decine di migliaia di persone provenienti da tutta Israele e dagli insediamenti ebrei presenti nei territori occupati in Cisgiordania, hanno sfilato per le strade della Città vecchia cercando di “recuoerare” due precedenti che erano saltate: nel 2020 la cancellazione a causa del Covid-19 e nel 2021 il divieto da parte dell’ex premier Benjamin Netanyahu di passare attraverso i quartieri palestinesi. Quest’anno, col benestare del governo che ha definito la marcia legittima, l’evento è stato organizzato in prossimità della Spianata delle Moschee, luogo sacro musulmano. Ricordiamo l’accordo del 1967, segnato subito dopo la guerra, prevede l’autonomia dei luoghi sacri musulmani, tra questi la Spianata delle moschee per l’appunto.

I partecipanti erano perlopiù uomini giovani ortodossi, studenti di Yeshiva – istituzione educativa ebraica – e studenti delle scuole militari del movimento religioso sionista. La folla ha iniziato a ritrovarsi nel primo pomeriggio e nelle ore successive sono scoppiati disordini tra le strade dei quartieri palestinesi dove la marcia non era prevista. Da entrambe le parti sono iniziate a volare bottiglie e oggetti di vario tipo e la polizia è intervenuta immediatamente con lacrimogeni e proiettili di gomma. Un’anziana palestinese è stata aggredita con calci e spray al peperoncino da due giovani ortodossi tra le strade del quartiere musulmano. Una giornalista inviata di France24 è stata colpita alla testa da un oggetto indefinito arrivato dalla folla riunita dietro di lei. 

Alla porta di Damasco i cori degli ultra nazionalisti intonavano “Shuaffat brucia”, riferendosi all’omicidio dell’adolescente Mohammed Abu Khdeir bruciato vivo insieme alla sua famiglia da un colono ebreo nel 2014. E ancora: “Morte agli arabi”, “Maometto è morto”, “Che il tuo villaggio bruci”. Altri hanno provocato giornalisti e residenti palestinesi urlando “Shireen è morta”, la giornalista palestinese Shireen Abu Akleh uccisa da un pallottola israeliana qualche settimana fa nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania. 

La Croce Rossa Palestinese ha dichiarato che sono state ferite dalla polizia israeliana 62 persone, 23 delle quali ricoverate in ospedale. L’esito violento della marcia era già stato messo in conto. È dal 2010 che le autorità israeliane cercano di limitare l’affluenza alla marcia poiché causa di violenze. Negli anni infatti la violenza è stata mitigata da regole restrittive e controlli delle forze dell’ordine, fino a quest’anno. Il governo, nonostante abbia dato l’ok per la marcia, ha condannato gli atti violenti ed estremisti. Per primo il ministro degli Esteri, Yair Lapid che ha denunciato Lehava e altre organizzazioni ebraiche radicali, di non essere “degni di portare la bandiera israeliana”. Anche il premier Naftali Bennett si è espresso condannando le due organizzazioni e promettendo azioni legali contro chi si è reso protagonista di atti violenti e razzisti. Ma il governo era già stato avvertito dall’intelligence riguardo i possibili attacchi eppure la marcia è stata fatta comunque passare attraverso i quartieri palestinesi. 

Adesso si rischia un’escalation con Hamas che ha già lanciato un ultimatum allo stato ebraico. Movimenti e partiti palestinesi hanno annunciato congiuntamente uno stato di allerta e il coordinamento di un’operazione in risposta alla marcia e hanno dichiarato che se se verrà toccata nuovamente la moschea di Al-Aqsa la risposta palestinese sarà forte e “incendierà l’intera regione”. Tutti i palestinesi sono stati chiamati a difendere i luoghi sacri e a prepararsi a una possibile offensiva israeliana. Si teme una nuova pioggia di razzi da Gaza e una durissima e devastante risposta israeliana analoga a quella del maggio dell’anno scorso. 

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