Martedì 3 marzo sarà già, inaspettatamente, il giorno del giudizio per molti candidati che sperano di ottenere la nomination democratica per la corsa alla presidenza degli Stati Uniti. Nella corsa di avvicinamento ai primi caucus in Iowa sembrava profilarsi una situazione incerta, con candidati di diverso profilo e orientamento politico concordi nel ritenere non decisive le prime schermaglie elettorali e, di fatto, decisi a ritenere il voto di 14 diversi Stati nella giornata del “Super Tuesday” il vero inizio della gara elettorale.
Le prime settimane hanno cambiato tutte le carte in tavola. Bernie Sanders si è rapidamente profilato come il favorito a sorpresa della corsa, risultando il più solido e trasversale dei candidati e, contrariamente alle attese, la corsa del 3 marzo avrà dunque un favorito da battere. La capacità di compattare un blocco sociale trasversale, radicato sia nelle fasce economicamente più svantaggiate che tra i giovani e gli studenti, ha permesso all’anziano senatore del Vermont di staccare notevolmente Joe Biden, che è apparso troppo radicato alla sua posizione centrista, e di respingere i primi assalti di Pete Buttigieg, il giovane ex sindaco di South Bend che si presenta con un’agenda tecnocratica. Mina vagante Michael Bloomberg, l’ex sindaco di New York che farà il suo debutto nel Super Tuesday e mira a assistere al tracollo di Biden per arrivare in testa tra l’elettorato moderato, soprattutto urbano, e diventare il polarizzatore degli anti Sanders.
1.344 dei 3.979 delegati della Democratic National Convention che sceglierà il candidato alla Casa Bianca saranno in palio nelle contese del tre marzo, che riguarderanno Stati molto diversi tra loro: Alabama, Arkansas, California, Colorado, Maine, Massachusetts, Minnesota, North Carolina, Oklahoma, Tennessee, Texas, Utah, Vermont, Virginia. Uno spaccato dell’America in cui si possono riassumere le molte anime dei democratici e, al tempo stesso, la complessità del processo che porterà all’emersione dello sfidante di Donald Trump all’interno di un partito lacerato dai conflitti tra la sua ala sinistra e l’establishment.
California, il bersaglio più ambito
Con 415 delegati, la California è senza ombra di dubbio il bersaglio più importante della corsa elettorale alla nomination. Il Golden State porterà in dote al vincitore nella sua corsa interna la consacrazione a ruolo di favorito: Stato democratico per eccellenza e roccaforte dell’anti-trumpismo, la California sta conoscendo un’evoluzione in senso sempre più multiculturale del suo elettorato che potrebbe penalizzare chi è percepito come un candidato eccessivamente sgradito o, al contrario, difficilmente in grado di slegarsi dalla dipendenza da un unico gruppo etnico o sociale. Questo è ad esempio il caso di Joe Biden, che è in testa nelle regioni molto popolate da afroamericani ma fatica a imporsi su un preciso blocco sociale.
ll recente risultato del Nevada rafforza la tendenza indicata dai sondaggi che vede in Sanders il favorito per la conquista della California, con percentuali di voti superiori ampiamente al 25% dei consensi: “il Nevada è uno stato etnicamente diversificato e Sanders ha fatto bene tra una vasta gamma di gruppi demografici, tra cui il 53% degli ispanici e il 27% degli afroamericani. Questo è un elettorato abbastanza buono per Sanders: elettorato giovane, classe operaia, sindacalizzato, fortemente ispanico”, commenta la pagina Facebook di informazione “Elezioni USA 2020”. Uno scenario analogo potrebbe essere quello più plausibile nel melting pot californiano.
Le primarie dem nell’America profonda
Il senatore del Vermont, stando alle previsioni di FiveThirtyEight, conduce la corsa anche nell’America profonda, negli Stati a tradizione repubblicana in cui i democratici andranno a competere nel Super Tuesday.
Il Texas è caratterizzato da un contesto etnico-sociale e da un’ampiezza demografica tale da essere uno Stato complesso e caleidoscopico come la California. L’ideale perché la capacità di compattamento di Sanders possa radicarsi.
Situazione molto polverizzata, invece, in Stati come Tennessee, Alabama e Arkansas, sbancati a larga maggioranza da Trump nel 2016. Nel cuore conservatore dell’America il partito dell’asinello si scompone sulle linee di faglia da cui è attraversato: centri urbani contro periferia, contee rurali contro contee più sviluppate, in maniera analoga a quanto accaduto tra Trump e Hillary Clinton nelle presidenziali del 2016. Joe Biden può sfruttare in Alabama il suo maggior ascendente sulla comunità afro-americana, mentre negli altri Stati i toni anti-establishment di Sanders possono far più presa su una popolazione complementare alla solida roccaforte tradizionalista, ostile al governo centrale e vicina alle confesisoni evangeliche che sostiene i repubblicani.
Parliamo di Stati dove, in ogni caso, il vincitore democratico delle primarie difficilmente prevarrà a novembre: in ogni modo, il test in questi Stati è egualmente fondamentale perchè permetterà di capire chi nel partito detiene maggiore elasticità per potersi confrontare con Trump nel rapporto tra le varie anime dell’America in quegli Stati elettoralmente in bilico, dal Michigan alla Florida.
La costa Est, feudo democratico
Massachusetts, Vermont e Virginia, Stati dell’Est a forte tradizione democratica, e il Minnesota saranno invece contese in un certo senso più “tradizionali”, in cui più conteranno programmi, prese di posizione e radicamento territoriale dei singoli contendenti. Non a caso nell’ultimo di questi quattro Stati è data in testa la senatrice “di casa” Amy Klobuchar, contendente di secondo piano e di minor peso, i cui delegati potrebbero però tornare utili ai concorrenti nel caso in cui in estate si arrivasse a una convention contesa. Scontata la vittoria massiccia di Sanders in Vermont, tra Boston e Richmond, invece, Bloomberg e Buttigieg possono giocarsi carte importanti.
Di fronte a un elettorato mediamente più urbanizzato e simile all’idealtipo dell’elettore democratico di middle class, gli Stati dell’Est potranno dar indicazioni su quale dei candidati centristi potrebbe rappresentare un oppositore credibile a Sanders e contendergli sul campo la conquista diretta della nomination. Sanders sta emergendo perchè capace di navigare in direzione contraria alla tendenza democratica a cavalcare il particolarismo della società americana, non ragionando in termini di minoranze da aggregare ma di coalizioni da costruire, come detto, con spirito trasversale e con un programma politico-economico inclusivo, che va dalla promessa di una sanità pubblica universale alla sfida ai monopoli finanziari.
Il Super Tuesday sarà dunque già decisivo, e punirà chi pensava di fare dell’affollamento al centro un asset per emergere: tra Biden, Buttigieg e Bloomberg qualcuno è già di troppo, e il voto dei quattordici Stati di marzo rischia di vedere il più debole tra i tre costretto a dare forfait. Una posizione delicata, in particolar modo, per l’ex sindaco di New York che inaugura con gran sfoggio di risorse la sua corsa alla presidenza dopo che nel mare democratico le prime, impetuose correnti si erano già mosse.