A Skopje, secondo le cronache locali, domenica mattina c’è già aria di festa. Bandiere dell’Europa, targhe simbolicamente stampate con le iniziali del nuovo nome dello Stato, festeggiamenti pronti in serata per brindare alla blindatura di un risultato storico. La fine della disputa tra Macedonia e Grecia dallo scorso mese di giugno è data come un qualcosa già entrato in vigore. Dopo l’accordo sottoscritto dai due premier, Zaev e Tsipras, referendum macedone ed approvazione del parlamento greco sono elementi dati per scontati. Ma così non è: prima le proteste sia in Grecia che in Macedonia, poi sondaggi che vedono avanzare l’astensionismo nell’ex Paese jugoslavo e quindi lo spauracchio del non raggiungimento del quorum. Il referendum votato ieri in Macedonia è consultivo, ma politicamente incontrovertibile: deve vincere il Sì e con un’affluenza oltre il 50% per renderlo effettivo. Ma così non è: il Sì vince con il 91% dei voti, ma ai seggi va solo il 36% della popolazione.
Macedonia sempre più lontana da Bruxelles
A Prespa, al confine tra i due Paesi, i due governi a giugno firmano in diretta televisiva l’accordo. Nasce in quel modo la Macedonia del Nord, distaccata dunque nella denominazione da quella Macedonia che invece è regione greca con capoluogo Salonicco. Ma non solo: si tratta di una delle culle della civiltà ellenica, nonché terra natia di Alessandro Magno. Proprio il traghettatore dell’impero macedone, a distanza di secoli dalla sua morte, è ancora protagonista. Per i greci è eroe nazionale, è colui che ha portato la civiltà greca ai massimi livelli grazie ad un impero tra i più vasti di sempre. Per i macedoni slavi, che dal 1991 fanno parte di uno Stato indipendente da Belgrado chiamato appunto Macedonia, è addirittura invece il proprio padre della patria. Per Atene questo è inaccettabile ed inizia dunque la disputa con Skopje. L’Onu propende per una momentanea soluzione intermedia: chiamare la Macedonia indipendente con l’anagramma Fyrom (Former Yugoslav Republic of Macedonia). Ma la Grecia, pur accettando in parte questo compromesso, pone i veti sull’ingresso di Skopje nell’Ue e nella Nato.
Nel frattempo proprio a Skopje l’aeroporto è intitolato ad Alessandro Magno, al pari di molte vie e con diverse statue del traghettatore macedone sparse nel paese. Con l’avvento al governo di Zaev, a guida di un governo socialdemocratico, le cose nel 2017 iniziano a cambiare. Si avvia un negoziato con la Grecia: l’obiettivo è portare la Macedonia dentro l’Ue e la Nato, distaccandosi dagli storici rapporti con la Russia. Ecco come nasce il compromesso di Prespa: Skopje non solo rinuncia all’appellativo di Repubblica di Macedonia, a favore di quello di Macedonia del Nord, ma riconosce di non essere unica depositaria dell’eredità storica e culturale di Alessandro Magno e della civiltà macedone. In cambio la Grecia dà il via libera alle trattative per l’ingresso di Skopje nel clan di Bruxelles.
Ma questo altera gli animi, sia nella Macedonia ex jugoslava che in quella greca. I macedoni slavi non vogliono rinunciare al proprio nome, quelli greci non vogliono accettare che Atene riconosca il diritto di un altro Stato di possedere il termine Macedonia. Ed ecco che si arriva alla giornata di ieri: urne aperte, ma pressoché deserte. Non c’è soltanto la domanda sulla dicitura nuova del paese, ma anche la richiesta sulla possibilità di iniziare le trattative per entrare nell’Unione Europea e nella Nato. L’affluenza ferma al 36% boccia tutti e tre i quesiti, quasi a cascata: il paese non si chiamerà Macedonia del Nord, la Grecia dunque non darà il via libera per Bruxelles ed a Bruxelles non ci sarà la bandiera macedone a sventolare.
Le conseguenze del voto
Un referendum del genere, a seconda degli esiti, non può non avere delle conseguenze sie interne che internazionali. Se poi gli esiti sono per l’appunto contrari a quelli pronosticati, allora si può parlare di vero e proprio terremoto. A livello internazionale, Skopje dunque al momento non avvia alcun dialogo con l’Ue e la Nato. Ma non solo: il suo posizionamento, sempre in bilico tra Mosca e Bruxelles (che si può leggere anche come Washington), è sempre più incerto. E dire che a Skopje durante la campagna elettorale sono arrivati diversi leader europei, a partire dalla cancelliera tedesca Angela Merkel che ha inviato i macedoni ad andare alle urne ed approvare i quesiti.
A livello interno la disputa è forse ancora più delicata. Al governo vi sono i socialdemocratici di Zaev, filo Ue, ma il presidente si è invece espresso contro ogni progetto di traghettare Skopje verso l’Unione Europea. Tanto è vero che Gjorge Ivanov, questo il nome del primo cittadino macedone, è a New York presso l’assemblea plenaria delle Nazioni Unite mentre a Skopje si aprono le urne. Più volte ha ripetuto nel corso delle ultime settimane di aver scelto di astenersi dal voto. Adesso c’è chi parla già di dimissioni di Zaev, ma in realtà proprio il primo ministro nelle scorse ore ha rifiutato questa eventualità. Più probabile un ritorno anticipato alle urne, circostanza questa non proprio semplice visto lo stallo che ha preceduto le ultime consultazioni. Intanto l’opposizione esulta: il Vmro-Dpmne, al governo per più di un decennio prima di cedere lo scettro a Zaev, ha sì lasciato libertà di coscienza ai suoi elettori ma si è sempre schierata contro l’accordo con la Grecia. Il partito adesso si prepara a dare battaglia politica ai socialdemocratici. Nel frattempo a Skopje per adesso non cambia nulla: il nome è lo stesso, chi si è addormentato in Macedonia non si è risvegliato, come previsto alla vigilia, nella Macedonia del nord.