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Il governo sulla Libia per il momento ha deciso di non decidere: tutto rinviato, in special modo per quanto riguarda i rapporti con la Guardia Costiera di Tripoli, a gennaio. Ecco cosa è emerso in queste ultime ore: i retroscena raccontati da Repubblica, in qualche modo hanno confermato la spaccatura tutta interna all’esecutivo giallorosso, anzi a dir la verità tutta interna al Partito democratico, di cui abbiamo già parlato nei giorni scorsi in questa testata.

Quella spaccatura che sa di resa dei conti

La questione, come detto, riguarda i rapporti con la Guardia costiera libica. Una questione non certo secondaria, né tanto meno banale. Specialmente perché nelle ultime settimane è emersa con maggiore insistenza l’ambiguità dei militari, che in realtà militari non sono, di Tripoli. Il caso Bija è soltanto l’ultimo di una lunga serie in cui si mette in evidenza come in Libia i ruoli di trafficanti e generali della locale Guardia Costiera, spesso sono destinati a confondersi. Con il risultato poi che il nostro paese, come è stato raccontato da Avvenire, ha portato nel 2017 lo stesso Bija, uno dei peggiori criminali libici, a sedersi al tavolo delle trattative con nostri funzionari. Ma, ed è qui che ad entrare in gioco è la resa dei conti tutta interna al Pd, ad avviare più stabili rapporti con la Guardia Costiera libica è stato il governo di Paolo Gentiloni.

Con ministro dell’interno Marco Minniti, quell’esecutivo a guida Pd ha deciso di sottoscrivere un accordo con Tripoli volto alla collaborazione tra le due sponde del Mediterraneo per arginare i flussi migratori. Una firma quella, che è avvenuta in un momento di estrema necessità per il nostro paese: tra il maggio ed il giugno del 2016, sono sbarcati in Italia quasi 50mila migranti, più del doppio di quanto ne sono sbarcati nell’intero 2018. Il governo Gentiloni aveva urgenza, anche in vista delle non tanto lontane elezioni, di abbassare immediatamente quei numeri così alti. Ma gli accordi con Tripoli già all’epoca sono apparsi osteggiati da una parte del Pd e, in special modo, dall’ala più a sinistra del partito.

Insieme a LeU, questa fazione del Partito Democratico non ha mai visto di buon occhio l’operato di Minniti: nel mirino, non sono entrati soltanto gli accordi con la Libia, bensì anche le norme del cosiddetto “codice delle Ong”, redatto dall’allora inquilino del Viminale. Tuttavia il governo Gentiloni è andato avanti per quella strada, poi sono arrivate le elezioni, il Pd è andato all’opposizione e quelle divergenze sono state riposte nel cassetto. Ma ora, con il partito nuovamente al governo, la resa dei conti sull’immigrazione tra le due anime dem appare servita. E non potrà fare altro che condizionare l’attività del Conte II.

Verso il rinnovo dell’intesa con la Libia

C’è una data X su questo fronte: è quella del 2 novembre. Nel memorandum firmato due anni fa con Tripoli, si è prevista una durata dell’accordo di due anni per l’appunto, con un tacito rinnovo automatico per lo stesso arco temporale. In pratica, se una delle due parti il prossimo 2 novembre non dovesse bloccare l’accordo il memorandum sarà valido fino al 2021. Dal governo, al momento, non sono arrivate indicazioni di segno opposto. Come si legge su Repubblica, un eventuale recesso dall’accordo con Tripoli non è all’ordine del giorno. Nelle prossime ore si terrà un vertice sull’immigrazione tra Di Maio e Lamorgese, ma non si parlerà del memorandum con la Libia e dunque si andrà verso il rinnovo dell’intesa. Tanto basta per agitare gli animi dentro il Pd: l’ala sinistra, rappresentata in gran parte nelle posizioni di Orfini, ha minacciato di insorgere. Lo scandalo Bija e la richiesta di discontinuità dal passato ribadita ad agosto, durante le contrattazioni per dare vita al nuovo governo, sembravano aver orientato il Pd verso le posizioni più vicine a quelle di Orfini e di LeU, che a loro volta appaiono vicine a quelle delle Ong operanti nel Mediterraneo.

Ma al momento il governo sta virando verso il rinnovo degli accordi con la Libia: “Quel memorandum è l’ origine di tutti i mali – ha affermato, come si legge su Repubblica, proprio Matteo Orfini – bisognerebbe imporre la gestione dei centri da parte delle organizzazioni internazionali. In Libia non ci sono porti sicuri e noi stiamo facendo fare alla loro guardia costiera i respingimenti che il diritto internazionale ci vieta. Li paghiamo per farli al nostro posto. Chi ha firmato quegli accordi si dovrebbe vergognare di non averli mai portati in Parlamento e di volerli rinnovare”. L’irritazione di Orfini è amplificata anche dal fatto che a luglio, quando il Pd era all’opposizione, il partito per intero si era astenuto sul decreto delle missioni internazionali proprio per ribadire all’allora governo gialloverde la necessità di rivedere gli accordi sulla Libia.

A provare a smorzare i toni è stata nelle scorse ore Lia Quartapelle, capogruppo del Pd in commissione esteri alla Camera: “Sulla questione dei rapporti con la Libia ci stiamo lavorando – ha dichiarato la deputata – Ma se parlerà a gennaio, quando ci sarà il decreto per rifinanziare le missioni internazionali”. Sì perché nel frattempo il governo con una mano sta procedendo al rinnovo delle intese con la Libia, con l’altra sta togliendo l’ossigeno necessario a mantenerle: nello schema previsionale del decreto di cui parla Lia Quartapelle, i fondi destinati alla collaborazione con la Guardia Costiera libica sono stati tolti. Per evitare di arrivare ad una spaccatura dunque, il governo opta per una linea piuttosto ambigua e rinvia ogni discussione a gennaio. E lì, in parlamento, potrebbe arrivare la vera resa dei conti.

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