Tanto più sono veloci i cambiamenti negli scenari internazionali, tanto più è lenta la risposta da parte di  quei paesi incapaci di comprendere i mutamenti in corso. Una dura legge che sta costando caro all’Italia ed a tutto il vecchio continente. Nel novembre del 2015 Russia e Turchia erano ai ferri corti. Nel nord della Siria un aereo russo operante a sostegno di Assad, è stato abbattuto in quel mese proprio da un caccia turco. In quell’occasione si è registrata la prima vittima russa in Siria dall’inizio dell’operazione di Putin al fianco delle forze di Damasco. Sono passati meno di cinque anni da allora, oggi Russia e Turchia appaiono sempre più attori indispensabili per la stabilità del medio oriente. Mosca ed Ankara prima si sono accordati proprio sulla Siria, adesso mirano a spartirsi la Libia.

Un repentino cambiamento che in Europa nessuno ha saputo cogliere. Un po’ per la mancanza di programmazione di una classe politica più distratta dalle beghe interne che da altro, come in Italia, un po’ per la superficialità con cui ci si è approcciati di recente ai vari dossier mediorientali, come nel resto del vecchio continente. Fatto sta che l’incontro di mercoledì ad Istanbul tra Putin ed Erdogan ha suggellato un qualcosa di incontrovertibile: Russia e Turchia hanno scalzato l’Europa dalla Libia e dal Mediterraneo. E questo al culmine di un processo sì veloce, ma anche ben visibile ad occhi più attenti che purtroppo hanno posato in questi anni altrove la propria attenzione.

L’accordo per un cessate il fuoco a Tripoli

Lo scenario in cui mettere i sigilli a questa importante comune convergenza tra due paesi sempre più protagonisti, è stato quello di Istanbul. Qui Erdogan e Putin hanno azionato per la prima volta il gasdotto TurkStream, il condotto energetico destinato a rivoluzionare il mercato delle materie prime nel Mediterraneo. Mosca, con questa opera la cui costruzione è iniziata nel 2017, potrà accedere al mercato turco ed europeo senza passare dalle condutture in Ucraina. In tal modo il Cremlino avrà più margini di manovra anche sotto il profilo politico, mentre Ankara potrà essere consacrata nel suo ruolo di snodo energetico fondamentale per l’area mediterranea.

Ma prima della cerimonia, a cui hanno partecipato anche i rappresentanti di Serbia, Bulgaria ed Azerbaijan, Putin ed Erdogan si sono incontrati per il vertice bilaterale. Un dialogo a porte chiuse cominciato poco dopo mezzogiorno e proseguito dopo pranzo, con l’ingresso in sala anche dei rispettivi ministri degli esteri: Lavrov da un lato e Cavusoglu dall’altro. Ed alla fine è saltato fuori quello che in tanti si aspettavano: un primo accordo sulla Libia. Putin nel paese arabo sostiene il generale Haftar, a cui da settembre in poi ha iniziato a spedire ufficiosamente anche i contractors della Wagner. Erdogan invece, è l’attore adesso più che mai vicino al premier libico Fayez Al Sarraj. Il 2 gennaio scorso il parlamento turco ha approvato l’invio di militari al fianco delle forze di Tripoli, mentre già da fine dicembre era in atto il trasferimento di miliziani siriani filo turchi in Libia.

In questo scenario, un accordo tra Putin ed Erdogan può certamente valere molto più dei salti mortali affannosi, disperati e tardivi che l’Italia e l’Europa stanno compiendo per rientrare nel dossier libico. E così, ecco che la stretta di mano su un cessate il fuoco da applicare a partire dalla mezzanotte del 12 gennaio prossimo ha assunto le sembianze di un accordo quasi fondamentale per la Libia. Un’intesa, quella raggiunta ad Istanbul, che è rimbalzata subito a Tripoli ed a Bengasi. E che, dalle due città libiche più importanti, sembra essere stata salutata positivamente. Dalla capitale, in particolare, è arrivato il primo commento positivo all’accordo: “Accogliamo con favore qualsiasi processo politico serio e volto ad allontanare la guerra”, hanno fatto sapere i portavoce del governo di Al Sarraj.

Perché il cessate il fuoco avvantaggia sia Putin che Erdogan

Il capo del Cremlino, come detto, è impegnato nel sostegno ad Haftar. Ma sa molto bene come il generale, assieme alle sue forze, non è in grado di arrivare fino a Tripoli e conquistare la capitale. Soprattutto, Putin sa bene che Haftar non sarebbe forse nelle condizioni di tener saldamente tra le proprie mani la città. Dall’altro lato, Erdogan si è impegnato con Al Sarraj ma è ben al corrente del fatto che quest’ultimo a malapena è in grado di controllare la sua stessa stanza all’interno del palazzo presidenziale. Né tanto meno è possibile farsi illusioni sulle possibilità di riprendere il controllo del territorio.

Per tal motivo dunque il cessate il fuoco potrebbe servire sia alla Russia che alla Turchia per consolidare le proprie posizioni. Congelare il conflitto vorrebbe dire cristallizzare anche gli attuali equilibri, che vedono Mosca ed Ankara adesso in netto predominio sugli altri attori internazionali. Sull’Europa e sull’Italia in primis. Putin può, nello specifico, continuare nella sua opera diplomatica di tutore dell’ordine in Libia ed in medio oriente, Erdogan invece può far assestare (e magari far accettare internazionalmente) i suoi accordi stretti con Al Sarraj soprattutto sullo sfruttamento energetico e sui confini marittimi. Russia e Turchia dunque stanno operando per un “assestamento” dello scacchiere libico che, quando sarà necessario “scongelare” le varie dispute ancora pendenti, vorrà significare porre gli altri attori dinnanzi al fatto compiuto. Ossia che oramai le fila sono tirate unicamente da russi e turchi.

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