Fumata bianca, ma non troppo. Fosse un conclave, l’esito della votazione interna al foro di dialogo libico verrebbe annunciata da un fumo grigiastro, premonitore di incertezze e di non poche incognite. I delegati incaricati di scegliere i nomi per il nuovo governo e il nuovo consiglio presidenziale libico, organi che dovrebbero rimanere in sella fino alle elezioni del prossimo 24 dicembre, non hanno trovato un vero accordo. Secondo la complicata procedura di elezione stabilita nelle scorse settimane, senza ampi consensi sarebbe stata prevista una votazione tra più liste in cui per spuntarla sarebbe bastato il 50%+1 delle preferenze. E così è stato: si è arrivati a un ballottaggio, in cui ad uscire vincitrice è stata la “Lista 3”, che al suo interno prevede la designazione a premier di Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh ed a nuovo numero uno del consiglio presidenziale di Mohammed al Manfi.

Chi sono i nuovi leader libici

Il nuovo premier è misuratino. E questa già è una notizia di non poco conto: Misurata, città Stato che ha fornito le più importanti milizie alla Tripolitania sia durante la guerra contro Gheddafi del 2011 che negli anni successivi, si è vista adesso riconoscere anche il potere politico. Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh è un imprenditore di 62 anni impegnato nel settore delle costruzioni. Laureato in ingegneria in Canada, è uno dei rampolli di una delle famiglie più potenti di Misurata impegnata nel settore delle costruzioni. Così come sottolineato da AgenziaNova, nel curriculum di Ddeibeh figura anche una collaborazione lavorativa nell’edilizia con Saif Al Islam Gheddafi, figlio del rais. Di quell’esperienza il nuovo premier ne ha parlato come l’unico contatto con il precedente regime. La sua famiglia ha comunque un importante peso economico a Misurata già da diversi anni, da prima della fine dell’era Gheddafi. Una delle figure più importanti del clan misuratino è Ali Ibrahim Dbeibeh, il quale in passato è stato coinvolto in inchieste per frode in Scozia. Quest’ultimo, assieme a membri del suo staff, è finito al centro di numerose polemiche a novembre, durante la riunione del forum libico a Tunisi. Mohamed Eljar, co-fondatore del Libya Outlook for Research and Consulting, ha denunciato infatti su Twitter in quell’occasione un tentativo di corruzione dei delegati da parte dello stesso Ali Ibrahim Ddeibeh per far virare i voti su Abdul Hamid Mohammed Ddeibeh. A queste accuse però non hanno fatto seguito indagini ufficiali.

Mohammad al Manfi è stato invece designato numero uno del consiglio presidenziale. Tale organo, previsto dagli accordi di Skhirat del 2015, è stato scorporato dall’esecutivo: fino ad oggi infatti, chi era al timone del consiglio rivestiva anche il ruolo di premier. Adesso invece le due figure saranno distinte. Al Manfi è in quota Cirenaica, essendo originario dalla provincia orientale della Libia. Il suo ingresso in politica risale al 2012, quando è stato eletto nel collegio di Tobruck al Congresso Nazionale. Da allora è sempre stato considerato vicino ai Fratelli Musulmani, anche se secondo il sito Libya24 non sarebbe organico all’organizzazione. Oltre che per l’esperienza politica, Al Manfi è noto per l’attività diplomatica: fino al 6 dicembre 2019, data in cui è risultato espulso da Atene a seguito dell’accordo tra Tripoli ed Ankara sulla Zee, è stato ambasciatore della Libia in Grecia.

Tripoli e Bengasi sconfitte

Il nuovo consiglio presidenziale sarà composto da tre membri. Oltre al numero uno Al Manfi, nella Lista 3 uscita vincitrice è prevista la designazione di Abdullah al-Lafi e Musa al-Koni. Saranno quindi loro due a completare la squadra. L’ultimo è rappresentante del Fezzan, il primo invece è in quota Tripolitania. C’è però un particolare di non poco conto: Al Lafi è dell’ovest della Libia, ma non di Tripoli. Originario di Zawiya, il suo non è un nome particolarmente gradito nella capitale libica. La città di fatto non ha alcun rappresentante tra i nuovi ruoli di vertice individuati dalla votazione del foro di dialogo. Una circostanza che, come ha commentato Lorenzo Marinone su Rivista Italiana Difesa, “pone le premesse per una nuova fase di instabilità, che può allontanare la prospettiva di una vera riunificazione istituzionale del Paese”.

Anche perché se Tripoli piange, Bengasi non sorride. Il nuovo presidente del consiglio presidenziale Al Manfi, pur essendo della Cirenaica, è ben distante dalle posizioni politiche del generale Khalifa Haftar, il quale con le sue truppe controlla buona parte della regione. La sua emarginazione politica non verrà accettata facilmente, sia dal diretto interessato che dalle milizie a lui più vicine. Il nuovo corso politico in Libia non è quindi partito sotto ottimi auspici: l’elezione delle nuove cariche è arrivata soltanto con la maggioranza semplice dei votanti, senza accordi su vasta scala, e scontenta i principali attori di Tripoli e Bengasi.





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