Il dossier siriano sta mandando ai pazzi quelli che credevano di buttare giù Bashar al Assad in pochi mesi dall’inizio delle rivolte. Così mentre l’inviato speciale delle Nazioni Unite, Staffan De Mistura, prova a fissare una nuova data per intavolare la pace tra il governo di Damasco e l’opposizione, le potenze straniere coinvolte in questa guerra per procura provano ad aggirare la diplomazia internazionale con soluzioni pragmatiche quanto improbabili. Ma come ti muovi in quel groviglio mediorientale dove si sta riproducendo uno scontro globale su piccola scala tocchi gli interessi di qualcuno.
Questo è uno dei motivi per i quali la Russia a differenza degli Stati Uniti è riuscita ad ottenere risultati migliori nella lotta al Califfato: fin da subito il Cremlino ha tracciato la linea che separa gli alleati nella regione dai suoi nemici. La Casa Bianca invece ha dovuto muoversi in punta di piedi tra ribelli siriani e curdi senza dover mai scontentare gli alleati sauditi e turchi, che con Daesh condividono le finalità: liberare la Siria dal partito Baath governato in maggioranza dal clan alawita.
Inevitabilmente però il piano per l’egemonia religiosa del Medio Oriente della casa reale dei Saud e il sogno neo-ottomano di Erdogan si sono scontrati con l’ingresso in campo di Iran e Russia. Ankara in particolare ha visto interrotte le linee di rifornimento verso Aleppo dopo l’avanzata dell’esercito regolare, teme una disfatta dell’opposizione armata in lotta con Assad e l’insediamento di una zona autonoma curda – il Rojava o Kurdistan siriano – alle sue frontiere. Inoltre l’eventualità che le Unità di Protezione Popolare (Ypg) e i combattenti del Pkk possano unirsi è percepita come una minaccia reale oltre che inaccettabile. Il Cremlino lo sa bene infatti non ha esitato ad integrare il Partito dell’unione democratica (Pyd) nella coalizione russa anti-Isis, tanto che il premier Ahmet Davutoglu ha accusato il governo di Damasco di manovrarlo, definendolo una “pedina del regime e di chi lo sostiene”, ovvero il Cremlino.
Per screditare i miliziani del Rojava e rompere un’intesa tra curdi turco-siriani infatti il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha accusato apertamente gli Stati Uniti di aver assunto una posizione contraddittoria nei confronti delle milizie Ypg, ritenute da Ankara responsabili dell’esplosione che la sera del 17 febbraio ha ucciso 28 persone, invitandoli a prendere una posizione più netta nei loro confronti.In realtà il governo turco non ha digerito l’avanzata dei curdi siriani nella provincia di Azaz, a nord di Aleppo, avvenuta in seguito ai bombardamenti russi nella medesima zona, a poco più di 10 chilometri dal confine turco di Kilis-Oncupinar.
Ora Ankara intende usare l’attentato dei giorni scorsi come “pretesto” per lanciare raid aerei e inviare truppe di terra nel nord della Siria contro le milizie curde delle Unità di protezione popolare. A sottolinearlo è stato anche il portavoce dell’Ypg, Redur Xelil, in un’intervista all’agenzia di stampa filo-curda Firat. “La prima cosa che hanno fatto dopo l’attacco è stato accusarci”, ha dichiarato Xelil, riferendosi alle dichiarazioni del premier turco Ahmet Davutoglu, il quale ha affermato senza nessuna prova che l’attentatore di Ankara era un membro dell’Ypg, che avrebbe agito in collaborazione con il Pkk. Ed effettivamente da giorni l’aviazione turca sta bombardando costantemente le postazioni curde nel nord della Siria, in modo tale da aprire un corridoio che permetta il transito di materiali ai ribelli siriani in lotta con Assad che combattono nei dintorni di Aleppo. Una strategia che esporrebbe maggiormente la Turchia ad azioni terroristiche. Chi esporta la guerra spesso se la ritrova in casa.