Lo aveva detto ai suoi colleghi, il leader repubblicano al Senato Mitch McConnell: la saggezza vorrebbe che durante una campagna elettorale per le elezioni di metà mandato il partito di opposizione si definisca il meno possibile. Solo così si possono mettere in evidenza i difetti dell’amministrazione in carica.
Gli errori di Biden
I difetti di Joe Biden ci sono, eccome: a partire dalla sua crescente senilità, le sue ripetute e ormai quasi quotidiane gaffe verbali che accompagnano la sua difficoltà nel comunicare agevolmente con la stampa. E finora parliamo solo delle sue mancanze come leader: le sue mancanze politiche, per l’elettore medio americano, si possono riassumere in un semplice concetto: l’inflazione. Grazie alle sue politiche espansive, con l’immissione di immense quantità di denaro nell’economia per farla ripartire dopo la pandemia, ha aggravato un’inflazione che già era presente.
Analisti come l’economista Alison Schrager su Bloomberg hanno detto proprio questo: nessuno sano di mente gli imputa la crisi delle materie prime, ma resta il fatto che senza quegli immensi stimoli adesso i problemi non sarebbero di tale gravità. Questo si ripercuote su un gesto che molti americani fanno quasi ogni giorno: mettere la benzina nella propria auto, con i prezzi che per diversi mesi erano esplosi. Oltreché, naturalmente, la stanchezza per un’amministrazione percepita come troppo radicale per vasti settori del Paese. McConnell lo aveva detto: puntiamo su questo e vinciamo.
La strategia di Trump contro McConnell
Abbiniamo a questo candidati non brillanti ma solidi che ci aiutino a strappare più seggi possibili sia alla Camera che al Senato, come venne già fatto nel 1994, nel 2010 e nel 2014. Invece, Donald Trump la pensava diversamente, seguito in questo intendimento da Rick Scott, senatore della Florida e capo del National Republican Senatorial Committee, l’organismo che guida la campagna elettorale.
A fine marzo aveva addirittura emesso un programma dai toni apocalittici intitolato “Rescue America” strutturato in 12 punti, una sorta di grido di battaglia contro “la sinistra woke” che controlla governo e mezzi di comunicazione. A parte i toni certamente non moderati, tanto che lo stesso senatore Scott chiosava a riguardo che il suo piano “di sicuro spaventerà anche alcuni repubblicani”, c’erano anche alcune incongruenze palesi, come il dimezzamento dell’Irs, l’agenzia delle entrate americana, abbinato all’introduzione di una piccola tassa sul reddito da far pagare a tutti, anche per chi ora non ne paga alcuna perché sotto il livello di povertà stabilito a livello federale.
Una chiamata alle armi che funziona solo con chi è già convinto e che lo stesso Scott ha dovuto in parte ridimensionare a ridosso delle elezioni dicendo che “non si trattava di un programma preciso da depositare dal notaio”. McConnell non aveva condiviso questa mossa affermando che non si doveva porre la questione all’elettorato in questo modo, come se fosse un referendum su una possibile nuova presidenza di Trump, ma chiedere loro se stessero meglio prima di Biden oppure no.
Non solo: McConnell ha espresso perplessità su alcuni candidati sostenuti da Donald Trump senz’altro criterio che non la fedeltà nei suoi confronti. Un esempio per tutti è quello della Georgia, dove l’ex campione di football Herschel Walker scelto al posto del segretario all’agricoltura Gary Black, un politico con un lungo curriculum conservatore, storico critico delle regolamentazioni agricole e sostenitore dell’ideologia trumpiana. Non è quello che conta per l’ex presidente: del resto Liz Cheney, prima della rottura, ha votato per l’87% dei provvedimenti presentati dall’amministrazione Trump.
Le critiche per “l’aiuto” a Biden
L’unico argomento caro all’ex presidente è la fedeltà personale, non l’ideologia. E su questo ha fondato una campagna elettorale dove il biglietto d’ingresso per il suo sospirato endorsement è l’endorsement della teoria falsa delle “elezioni rubate” nel 2020. Teoria che ha allontanato molti elettori dalle posizioni repubblicane, per farli andare verso l’astensione. A urne chiuse il responso è chiaro: i candidati sostenuti da Trump negli Stati in bilico hanno perso. Lui però ribatte che alcuni di questi, come J.D. Vance in Ohio, Ted Budd in Nord Carolina e Ron Johnson in Wisconsin hanno vinto. Il problema, per il circolo dell’ex presidente, è la troppa morbidezza di Mitch McConnell, “colpevole” di aver collaborato con il presidente Biden nell’approvazione di leggi sul rinnovo della rete infrastrutturale sulla realizzazione di semiconduttori nel territorio americano e sul controllo delle armi.
Lo scontro interno al Gop
Troppo aiuto dato a “Sleepy Joe”, prova quindi che il “vecchio corvo” McConnell è ormai un fiancheggiatore dei dem, secondo Trump e il suo circolo. Serve un vero conservatore, anche per questo Rick Scott ha annunciato che sfiderà Mitch McConnell per la leadership repubblicana al Senato, guadagnandosi il sostegno di alcuni colleghi come Marco Rubio, come lui proveniente dalla Florida, insieme a Josh Hawley del Missouri, probabilmente il più estremista dell’intera assemblea e dei senatori Ted Cruz del Texas e Mike Braun dell’Indiana. Se McConnell dice seccamente “Tanto ho ugualmente i voti per essere eletto”, il suo stratega Josh Holmes ha affermato su Twitter che “se il Gop ama perdere, Rick Scott sarà un perfetto leader”.
Del resto uno dei problemi della campagna elettorale è stata la scadente distribuzione dei fondi, gettati anche in campagne ai limiti dell’impossibile, come quella contro la senatrice Patty Murray dello stato di Washington, rieletta con quindici punti di distacco rispetto all’avversaria repubblicana Tiffany Smiley. Non importa: Trump vuole la testa di McConnell e il suo circolo è deliziato dalla prospettiva, che con ogni probabilità però non si concretizzerà. Questa guerra dell’ex presidente a colui che ha realizzato il capolavoro di far nominare tre giudici conservatori alla Corte Suprema nel giro di soli quattro anni per limitare eventuali eccessi legislativi e regolatori dei democratici mostra che ormai l’accusa fatta dai primissimi oppositori di Trump come Mitt Romney è corretta: Trump non è a capo di un movimento conservatore, ma di una setta scarsamente ideologica, formata da personaggi opportunisti in cerca di notorietà e che ormai sono poco graditi anche all’elettorato conservatore, che preferisce volti nuovi come il governatore della Florida Ron DeSantis. Tenendo presente però che DeSantis, fino a non molto tempo fa, vantava le sue credenziali trumpiste in ogni circostanza possibile. Forse adesso dovrà essere Trump a mostrare fedeltà al nuovo leader, anche se è difficile solo immaginarlo.