Nel giugno 2017 l’Economist scriveva che i dati sono destinati ad essere il petrolio del XXI secolo: la più strategica risorsa capace di determinare gli equilibri di potenza economico-politici su scala globale e di fungere da volano per una crescita economica sostenuta.
Risulta quindi fondamentale, per gli Stati che competono nell’agone, puntare sul controllo delle infrastrutture che consentono ai dati e alle connessioni informatiche di viaggiare a velocità crescente. La nuova frontiera di questo pianeta ricco di opportunità si chiama rete 5G.
Come sottolinea La Stampa, “La tecnologia 5G è la nuova generazione di wireless network, che prenderà il posto della 4G, usata oggi dai nostri smartphone. Per capire le dimensioni del suo impatto trasformativo, basti sapere che sarà almeno cento volte più veloce della precedente. […] Accelererà lo sviluppo delle auto autonome senza guidatore, la chirurgia a distanza con cui i medici potranno operare i pazienti in remoto, l’Internet of Things e la realtà virtuale. Quando sarà attiva, le nostre vite cambieranno in direzioni che oggi non siamo neppure in grado di immaginare”.
Sul piano economico, “uno studio di Accenture ha dimostrato che nei soli Stati Uniti il sistema 5G creerebbe tre milioni di posti di lavoro, e aggiungerebbe 500 miliardi di dollari al Pil. Chi ci arriverà per primo avrà vantaggi significativi, tanto perché svilupperà più rapidamente le applicazioni necessarie a sfruttare la nuova rete, quanto perché otterrà in anticipo i sui benefici strategici e militari”.
E nella corsa al 5G, come prevedibile, sono due le potenze che si contendono la primazia: Cina e Stati Uniti. In questo campo Washington arranca. Spingendo sull’acceleratore degli investimenti pubblici a fine strategico Pechino appare ora in posizione dominante.
Come la Cina prepara l’egemonia sul 5G
Huawei e Zte sono i due principali colossi tecnologici cinesi che lavorano a stretto contatto con il governo per accelerare lo sviluppo del 5G. Pechino ha adottato un modello centralizzato attorno al Ministero dell’Industria, dell’Innovazione e della Tecnologia, sviluppando un piano quinquennale che prevede l’ investimento di 400 miliardi di dollari allo scopo di attivare il network 5G entro il 2020.
La presenza di grandi investimenti statali ha facilitato il compito della Cina rispetto a quello statunitense, focalizzato sugli sforzi privati di At&T e Verizon. L’azienda costruttrice di infrastrutture China Tower sta inoltre provvedendo allo strategico sviluppo del crescente numero di centrali di trasmissione e ripetitori necessari al funzionamento del 5G. Come riporta il South China Morning Post, tra il 2015 e il 2017 China Tower ha investito oltre 50 miliardi di dollari in conto capitale. Il risultato è stata l’edificazione di oltre 350.000 centrali, dieci volte tante il numero posseduto dagli Stati Uniti. Che ora provano a correre ai ripari.
La guerra economica Cina-Usa e la battaglia sul 5G
La tecnologia è stata, nei mesi scorsi, la causa scatenante della sfida commerciale tra gli Usa di Donald Trump e la Cina di Xi Jinping. Elaborata dai “falchi” anticinesi Peter Navarro e Bob Lighthizer, la guerra commerciale dell’amministrazione Trump sarebbe, secondo numerose fonti, dettata dalla precisa volontà statunitense di riacquisire un vantaggio strategico nel settore dell’economia della conoscenza e dell’informazione.
Come scritto su Gli Occhi della Guerra, “il primato cinese starebbe nella stretta programmazione statale rispetto agli investimenti delle poche grandi aziende che detengono il monopolio del mercato cinese delle nuove tecnologie. Un modello di controllo statale impossibile da attuare nella patria della libera iniziativa”, che pure in passato ha inondato con miliardi di dollari la Silicon Valley per permettere il fiorire dell’industria tecnologica.
L’amministrazione Trump teme la penetrazione cinese sul suolo americano e il possibile condizionamento del 5G a stelle e strisce da parte di Pechino. Nei mesi scorsi Zte ha subito un bando di diverse settimane dalle attività negli Usa, rimosso nella metà di luglio. Nuove azioni ostili non sono da escludere in futuro: l’Australia ha di recente bandito Huawei dal lavorare sulla sua rete 5G, ritenendola una minaccia alla sua sicurezza nazionale, e ora Trump starebbe studiando mosse paragonabili a quelle portate avanti da Canberra.
News.com riporta che la Casa Bianca sarebbe pronta a bloccare l’operatività di compagnie cinesi nella rete 5G a causa delle potenziali infiltrazioni dei servizi di spionaggio e di intelligence di Pechino, che potrebbero sfruttare il potenziamento infrastrutturale per sottrarre segreti militari, informazioni riservati o brevetti commerciali. Uno stretto alleato degli Usa, invece, appare più condiscendente verso i cinesi: stiamo parlando del nostro Paese.
Il 5G cinese sbarca in Italia
Il 28 settembre a Roma si è tenuto lo “Huawei 5G Summit”, importante evento con cui la compagnia cinese ha presentato i suoi piani per l’Italia. Il 5G italiano è reduce della prima, grande gara per l’assegnazione dei lotti messi a disposizione dal Mise di Luigi Di Maio (ospite del summit), al termine della quale, scrive Wired, “entro il 2022, arriveranno 6 miliardi e 550,42 milioni di euro. Una cifra su cui neppure i migliori analisti avrebbero scommesso. Le previsioni iniziali più rosee erano di 4 miliardi, 2,5 miliardi di euro la media”.
Huawei punta a fare da sé e ad impostare uno sviluppo autonomo, portando a compimento il 5G in Italia entro fine 2019. Milano, Bari e Matera sono state sede dei primi test. Ciò avrebbe importanti ripercussioni nel caso in cui l’Italia volesse continuare il percorso che la porta a integrarsi nella “Nuova Via della Seta“, passato per il recente meeting di Shangai, ma anche conseguenze geopolitiche primarie.
Lo si può comprendere dalle dichiarazioni rilasciate da Giulio Sapelli a Formiche: “Mentre altrove i colossi cinesi, ormai monopolisti sul piano delle infrastrutture di rete, vengono estromessi da gare pubbliche per privilegiare un controllo nazionale su questi asset strategici, noi stiamo colpevolmente trascurando un aspetto cruciale per la sicurezza nazionale”, ha commentato. “Ritengo inoltre”, aggiunge il professore, “che si stiano sottovalutando le ripercussioni, anche economiche e geopolitiche, che un eccessivo avvicinamento a Pechino può comportare per il nostro Paese.
Il 5G potrebbe rivoluzionare l’economia internazionale, ma le leggi della geopolitica sono solide e di lungo periodo. L’Italia si muove su un crinale sottile e deve ben bilanciarsi: nel mezzo di una sfida epocale tra Cina e Stati Uniti, esporsi eccessivamente sarebbe controproducente.