C’è un passaggio, in uno dei più noti episodi de I Simpson, dove a causa dell’inquinamento del sottosuolo la città di Springfield l’intero abitato deve essere smontato e trasportato a chilometri di distanza. Nella realtà questo accade in Germania. In Sassonia, ad esempio, come riporta La Stampa in un recente reportage, una chiesetta del ‘300 è stata impacchettata e trasferita in un altro luogo. Ed anche nella realtà c’entra l’inquinamento o lo sfruttamento intensivo del sottosuolo. L’esempio in questione proviene da Pödelwitz, un piccolo paesino a nord di Lipsia che, durante la Ddr, conta 200 abitanti. Adesso ne ha 26: il centro, con le sue palazzine medievali o del ‘700, è destinato ad essere spazzato via per l’avanzata della vicina miniera di carbone.
Il piano della Merkel verso il fallimento
Eppure il carbone, secondo le intenzioni del governo di Berlino, dovrebbe rappresentare il passato. Attualmente rappresenta una bella fetta di presente: circa il 38% del fabbisogno energetico tedesco è prodotto dalla combustione del carbone, molto di meno rispetto alla dipendenza quasi totale di qualche anno fa, ma sempre un’enormità per un paese che consuma molto e che al suo interno deve rispondere alle esigenze di più di ottanta milioni di abitanti. Nell’ultima Cop tenuta a Katowice, la Germania afferma di voler abbassare entro il 2020 questa quota, la realtà invece dice esattamente l’opposto. Se da un lato è pur vero che investimenti nel nucleare e nelle energie rinnovabili non sono mancati, dall’altro i dati evidenziano un rallentamento negli obiettivi vocati all’energia pulita. E qui sta uno dei possibili fallimenti di Angela Merkel, al governo dal 2005 e fresca di annuncio di addio alla cancelleria alla scadenza del mandato nel 2021. Lei, proveniente tra l’altro dall’ex Germania Est e dunque ben cosciente dei problemi causati da queste parti dalle miniere sotto il profilo ambientale, più volte nei suoi programmi annuncia l’uscita del suo paese dalla dipendenza dal carbone.
Ma le miniere continuano ad avanzare. L’esempio sopra riportato di Pödelwitz, è solo uno dei circa 200 casi in cui quartieri, centri abitati od interi paesi risultano demoliti per fare spazio a nuove miniere. Segno che la Germania non sta investendo sull’abbandono del carbone o su un ridimensionamento del suo utilizzo. Si scava ancora, si cerca ancora, si estrae ancora anche al costo di spazzare via paesi che devono essere sventrati per ricavare la primaria fonte di energia per i tedeschi. Il piano della Merkel sembra, da questa prospettiva, rallentare. Mentre, ad avanzare, sono al momento soltanto le miniere.
Le implicazioni politiche
In Baviera, così come in altre regioni, a fronte di una Spd in picchiata è invece da registrare un’ascesa incredibile dei Verdi. Oramai il partito un tempo spalla dei socialdemocratici nei governi di centro – sinistra di Gerhard Schroder, si prende quasi per intero la scena dell’opposizione. Molto di più non solo degli ex alleati, ma anche di Afd e della destra. Ed a constatare gli scenari di Pödelwitz, non si fatica a comprendere il motivo. A fronte delle promesse di un abbassamento dell’inquinamento e di un miglioramento della qualità dell’aria, coniugato ad una seria ricerca di fonti alternative, invece si è costretti ad andare via per fare spazio a nuovi fronti minerari. E quando poi, tra le altre cose, ben si legge tra gli obiettivi del governo la drastica diminuzione dalla dipendenza dal carbone, si fa fatica ad immaginare i motivi per i quali arrivino dirigenti d’azienda che offrono compensi in cambio della vendita delle case per far posto alle miniere. “La Cdu – dichiara a La Stampa un residente della zona – Si definisce un partito cristiano, dovrebbe avere a cuore i problemi del creato. Invece qui lo distrugge”.
E non è un caso che molti elettori della zona dichiarino di votare per i Verdi, a prescindere dalle proprie idee. Un fronte trasversale quello dei “Grune”, non più oramai solo di sinistra e che giustifica dunque quelle percentuali a doppia cifra che oramai il partito raggiunge in gran parte della Germania. A Pödelwitz ad operare è la Mibrag che, come si può leggere dal suo sito, è controllata al 100% dalla società ceca Eph. L’azienda offre 75mila Euro di indennizzo per la casa, più 60mila Euro a famiglia. Ed in tanti qui hanno firmato la vendita in cambio dei soldi. Ma 26 abitanti resistono, non vogliono andarsene. Il paese deve rimanere lì, non deve essere sacrificato in nome del carbone. E chi è rimasto si dichiara pronto ad andare fino in fondo, specie se la Mibrag ha intenzione di operare lo sfratto coatto. Salvaguardia dell’ambiente, tutela di paesaggi e paesi dove si è cresciuti, ma anche delusione per le mancate promesse della Merkel e sfiducia negli attuali piani del governo tedesco: nei 26 che rimangono a Pödelwitz c’è un po’ tutto questo, che è anche la sintesi del clima attuale che si vive nell’intera Germania.